Nuove mafie, nuovi strumenti di contrasto: il dibattito dei Giovani Avvocati

Nuove mafie, nuovi strumenti di contrasto: il dibattito dei Giovani Avvocati

Rosaria Brancato

Nuove mafie, nuovi strumenti di contrasto: il dibattito dei Giovani Avvocati

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domenica 18 Marzo 2018 - 05:35

La trasformazione del fenomeno mafioso rende necessario l'adeguamento della normativa e degli strumenti per fronteggiarlo

La dottrina, la giurisprudenza e gli aggiornamenti normativi, le perplessità della difesa.

L’incontro su “Nuove mafie, nuovi strumenti di contrasto” promosso dall’AIGA (associazione giovani avvocati) sezione di Messina, ha dato voce a tutte le componenti in campo per affrontare la tematica in modo ampio.

Il dibattito, che si è tenuto a Santa Maria Alemanna, introdotto dall’avvocato Giuseppe Irrera, presidente di Aiga Messina, ha visto alternarsi con estrema competenza e capacità di sintesi, delle diverse posizioni, espresse dalla professoressa Maria Teresa Collica, dal sostituto procuratore della Dda di Messina Fabrizio Monaco e dall’avvocato Nino Favazzo.

Il mutamento storico della mafia è stato ampiamente illustrato dalla professoressa Collica che in particolare si è soffermata sul dibattito in corso relativamente al 416 bis. Al momento, proprio in seguito all’emergere di fenomeni mafiosi ma per i quali, come per Mafia Capitale, diventa di più difficile applicazione pedissequa il 416 bis, vi sono due “correnti” di pensiero. Da un lato vi è chi sostiene che poiché è un reato a struttura mista (ovvero non basta l’associazione a delinquere ma serve anche l’utilizzo del metodo mafioso, identificato con l’intimidazione), senza l’acclarata dimostrazione della violenza intimidatoria non può esservi applicazione dell’articolo. C’è poi chi la pensa in modo opposto.

Se parliamo di nuove mafie ci sono alcuni fenomeni facilmente individuabili e per i quali il 416 bis è facilmente applicabile- ha spiegato la Collica– Mi riferisco alle mafie straniere per le quali sin dal ’95 è applicata la norma. Le mafie straniere peraltro nel momento in cui devono conquistare i nuovi territori fanno ampiamente uso della violenza e dei metodi intimidatori. Ci sono poi le cosiddette mafie in movimento, quelle che possiamo considerare figlie dell’associazione madre. Le mafie cioè che per fare un esempio dalla Sicilia si sono spostate al nord. Ad esempio basta ricordare le operazioni Albachiara o Minotauro a Torino. Il problema invece si è posto con le mafie autoctone per le quali non sempre è usato il metodo mafioso tradizionale e questo ha creato divergenze d’interpretazione dell’articolo 416 bis, come nel caso di Mafia Capitale”.

E’ proprio il mutare del fenomeno mafioso che sta ponendo il legislatore nella difficoltà di applicare o meno il 416 bis oppure il concorso esterno alla mafia. Basti pensare ad esempio all’ingresso di figure compartecipi come i cosiddetti “colletti bianchi” o quelle figure imprenditoriali come commercialisti, avvocati, o ancora funzionari, che finiscono con l’assumere ruoli di primo piano nella commissione dei reati e per i quali non si può più parlare di vittime di “intimidazione”.

Il caso Mafia Capitale è emblematico delle difficoltà interpretative, tant’è che mentre la procura (e nel caso delle misure preventive fino ai ricorsi in Cassazione) ha evidenziato come l’associazione fosse di tipo mafioso, la sentenza di primo grado ha invece negato il 416 bis puntando sul fatto che mancava proprio l’intimidazione come metodo tipicamente ed esclusivamente mafioso.

Proprio sulla trasformazione della mafia si è soffermato il sostituto procuratore della Dda Fabrizio Monaco nel suo intervento evidenziando come ad esempio la mafia straniera usi la violenza perché ha la “necessità” di radicarsi nel nuovo territorio.

La mafia già radicata- ha spiegato- non usa più manifestazioni di violenza più eclatanti perché ha accumulato potere economico e adesso non cerca più solo il profitto ma il consenso. Si muove quindi per condizionare lo Stato e arriva persino ad offrirsi come una sorta di agenzia di servizi. C’è quindi oggi un problema reale di capacità d’intervento per fronteggiare adeguatamente quei gruppi di pressione che usano metodi mafiosi anche se non l’intimidazione. Per questo la nuova normativa sta predisponendo una serie di nuove risposte anche per evitare che ad esempio il processo di merito finisca con l’essere una corsa ad ostacoli nella quale vince chi non cade per primo”.

Il magistrato ha quindi illustrato la riforma del novembre 2017 che riguarda le misure di prevenzione personale, come la confisca e per le quali è stato ampliato il numero di destinatari ai quali si possono applicare (come nel caso di fraudolenta appropriazione di fondi pubblici). La nuova mafia infatti cerca i soldi attraverso quei canali per i quali già sa che può minimizzare i rischi di pena. C’è la volontà del legislatore di colpire anche i colletti bianchi che frodano, nonché la confisca per equivalente, le norme relative ad una nuova e diversa gestione dei beni confiscati (dopo il caso Saguto), l’impugnabilità del decreto di sequestro che in precedenza non era previsto, l’irrilevanza penale dell’arricchimento illecito giustificato come evasione fiscale (“sono ricco perché ho evaso e non perché ho rubato”).

Monaco ha poi sottolineato l’importanza di una serie di novità normative per le imprese che non sono state “totalmente” infiltrate dalla mafia. Attraverso un controllo giudiziario (ed un amministratore) è possibile accompagnare l’impresa che abbia avuto solo contatti occasionali con il sistema mafioso in un percorso di bonificazione e legalizzazione. Il controllo giudiziario può essere richiesto dalla stessa impresa, ovviamente nel momento iniziale del “contatto”.

Le novità normative derivanti dalla legge del novembre 2017 saranno comunque monitorate per un anno.

La parola è infine andata alla “difesa”, cioè all’avvocato Nino Favazzo che ha evidenziato le carenze del sistema normativo sia attuale che ereditato e soprattutto l’incapacità di affrontare in modo adeguato proprio la trasformazione del fenomeno mafioso: “Perché dobbiamo ostinarci a voler applicare per forza il 416 bis anche quando non c’è violenza né intimidazione? Serve il coraggio d’intervenire nella norma. L’eccessiva semplificazione è un danno nei confronti dei cittadini perché se un giudice può scegliere tra un processo che rischia di essere lunghissimo o una confisca immediata ed anche di larga portata, finirà con il percorrere sempre questa strada, che addirittura la nuova norma prevede anche per i casi di stalker….. Insomma ti aggredisco sui soldi perché non ho altro modo”.

L’avvocato Favazzo a proposito dell’urgenza di una riforma dell’art.416 bis ha citato un episodio risalente a 15 anni fa quando, durante il governo Berlusconi il legale messinese fece parte della Commissione Nordio, incaricata di predisporre una proposta di riforma giudiziaria “quando provammo a ipotizzare una modifica del 416 bis intervenne direttamente il ministro Castelli per dirci che mai e poi mai Berlusconi sarebbe voluto passare alla storia per aver abrogato il 416 bis. Adesso la necessità di fronteggiare le nuove mafie c’è ma è evidente che il 416 bis non è lo strumento adeguato quando viene a mancare appunto l’evidenza dell’intimidazione”.

Rosaria Brancato

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