L’estro di Corelli e Vivaldi: il grande barocco italiano

L’estro di Corelli e Vivaldi: il grande barocco italiano

giovanni francio

L’estro di Corelli e Vivaldi: il grande barocco italiano

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martedì 14 Febbraio 2017 - 08:07

Pregevole esibizione al Palacultura dell'Ensemble "Alessandro Scarlatti" per la stagione concertistica firmata Accademia Filarmonica-Bellini

Unico concerto della stagione concertistica dell’Accademia Filarmonica, in unione con l’Associazione V. Bellini, dedicato interamente alla musica barocca, come del resto un solo concerto di questo genere musicale figura nella stagione della Filarmonica Laudamo. Troppo pochi, a giudicare dall’entusiasmo con il quale l’ottima performance dell’Ensemble "Alessandro Scarlatti" di sabato è stata salutata dal pubblico non numeroso ma visibilmente interessato e soddisfatto. Non numeroso, e si constata ancora una volta, a malincuore, l’assenza desolante di spettatori giovani, nonostante l’esecuzione di brani prevalentemente di Corelli avrebbe potuto suscitare almeno la curiosità degli studenti del conservatorio di ascoltare musica – di esecuzione sempre più rara – di quel grandissimo compositore che dà il nome al conservatorio di musica messinese.

Arcangelo Corelli riveste un’importanza basilare nella storia della musica barocca, e anche nell’evoluzione della tecnica violinistica. Sebbene non fu l’inventore del concerto grosso – il concerto barocco che vede protagonisti un piccolo gruppo di strumenti solisti, mentre all’orchestra è affidato il ripieno (il primo esempio conosciuto di tale concerto è di Stradella) – Corelli si deve senz’altro considerare il capostipite di questo genere musicale, portato dal musicista di Fusignano (Ravenna) a livelli eccelsi, con la sua unica raccolta di musica per orchestra, i dodici concerti grossi op. 6. Di questi abbiamo ascoltato il n. 1 in re maggiore nei tempi 1 Largo – Allegro; 2 Largo – Allegro; 3 Largo; 4 Allegro; 5 Allegro; il n. 3 in do minore nei tempi 1 Largo; 2 Allegro; 3 Grave; 4 Vivace; 5 Allegro; il n. 4 in re maggiore nei tempi Adagio – Allegro; 2 Adagio; 3 Vivace; 4 Allegro – Giga . Presto (tale ultimo movimento è stato anche bissato). Appartengono agli otto concerti di genere chiesastico – gli altri quattro sono di natura cameristica, più leggeri) di struttura severa e nobile, ma nel contempo con la presenza dell’elemento cantabile, del virtuosismo solistico, e soprattutto ricchi di straordinaria fantasia nello sviluppo dei temi. Il primo e il terzo in particolare sono fra i concerti più belli composti da Corelli, anche se non raggiungono l’altezza del celeberrimo concerto n. 8 “Per la notte di Natale”. I concerti grossi corelliani gettano le basi per i successivi concerti grossi di Albinoni, Vivaldi, Handel (anch’egli autore di “dodici concerti grossi, op. 3”), e perfino Bach con i suoi “Concerti Brandeburghesi”. Ovviamente debitori di Corelli sono soprattutto i suoi allievi, due dei quali sono stati rappresentati durante il concerto: Giovanni Mossi, di cui abbiamo ascoltato il “Concerto grosso op. 2 n. 7 in re maggiore” nei tempi 1 Adagio; 2 Allegro; 3 Adagio; 4 Allegro, e Francesco Geminiani, del quale è stato eseguito il “Concerto grosso n. 5 in sol minore” nei tempi 1 Adagio; 2 Vivace; 3 Adagio; 4 Allegro. Si tratta di concerti di diretta derivazione, anche nella suddivisione dei movimenti, di quelli del grande Arcangelo Corelli. Anche Antonio Vivaldi è debitore di Corelli nel genere del concerto grosso, genere che il compositore veneziano amava particolarmente, avendo composto moltissimi concerti, non dati alle stampe, per piccoli gruppi di strumenti (archi , fiati, ottoni, mandolini, ecc.) accompagnati dal ripieno orchestrale, mentre le opere date alle stampe hanno privilegiato il concerto solista, più richiesto dagli editori dell’epoca. Anche l’op. 3 intitolata “L’estro armonico”, una delle raccolte più felici del “Prete rosso”, fu data alle stampe, nondimeno contiene, insieme a quattro concerti per violino solista, altri otto per due, tre o quattro solisti in concertino, il classico concerto grosso di derivazione corelliana. Tale è quello eseguito come ultimo brano della serata, il “Concerto n. 11 in re minore”, nei tempi 1 Allegro – Adagio – Allegro; 2 Largo e spiccato; 3 Allegro: un concerto grosso per due violini e violoncello. È sicuramente uno dei concerti più amati ed eseguiti di Vivaldi, e, rispetto agli allievi di Corelli, spicca per l’assoluta fantasia delle forme musicali (già la denominazione “Largo e spiccato” del secondo movimento denota una assoluta originalità rispetto al modello di partenza). Grandissima libertà d’espressione nel primo movimento, che inizia con un crescendo impressionante il cui momento culminante è affidato al violoncello, per far posto ad una vera e propria fuga. Di stile severo il secondo movimento, mentre l’Allegro finale è ancora una volta un fugato. Non desta meraviglia se Bach amò questo concerto, e ne fece una splendida trascrizione per organo.

L’Ensemble “Alessandro Scarlatti” con Enrico Onofri direttore e violino solista, ha interpretato le partiture barocche con elevato magistero; bravissimo Enrico Onofri, eccellente virtuoso del violino, molto bene le violiniste che si sono succedute nel formare il concertino (una diversa per ogni brano). Ottima l’esecuzione nell’insieme anche degli altri musicisti che hanno formato l’orchestra, con un particolare cenno per il clavicembalista (Lorenzo Profita), strumento al quale è affidato l’indispensabile compito di eseguire il basso continuo. Letteralmente entusiasta il pubblico, evidentemente affamato di questo genere musicale, il barocco, che probabilmente meriterebbe più spazio nelle stagioni concertistiche.

Giovanni Franciò

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