Progetto Beethoven: il duo Macrì-Fuga per uno sguardo al futuro

Progetto Beethoven: il duo Macrì-Fuga per uno sguardo al futuro

giovanni francio

Progetto Beethoven: il duo Macrì-Fuga per uno sguardo al futuro

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mercoledì 01 Marzo 2017 - 09:31

Si è concluso, con l'esecuzione dell'ultima avveniristica sonata, l'integrale delle sonate per violoncello e piano di Beethoven

Massimo Macrì al violoncello e Giacomo Fuga al pianoforte hanno concluso al Palacultura, nell’ambito dei concerti inseriti nei filoni Progetto Beethoven e Progetto Chopin, organizzati dall’Accademia Filarmonica, la serie delle sonate per violoncello e pianoforte di Beethoven.

Il concerto si è arricchito anche delle 7 variazioni in mi bemolle maggiore Wo 46 sul tema “Bei Mannern, welche Liebe fuhlen” dal Flauto magico di Mozart, e della celebre Introduzione e Polacca Brillante op. 3 di Chopin. Ludwig Van Beethoven ha composto cinque sonate per violoncello e pianoforte fondamentali sotto il profilo storico musicale, in quanto per la prima volta nella musica da camera il violoncello assume dignità pari allo strumento con cui dialoga, e non si limita ad accompagnare il piano solista. Le sonate però sono anche importantissime per il loro sommo valore estetico, tanto che il musicologo Carli Ballola ha definito le ultime due (op. 102) “le più belle per piano e violoncello che mai siano state scritte”. Dopo le 7 variazioni sul duetto fra Pamina e Papageno del primo atto del Flauto magico, un brano di non particolare interesse, molto meno riuscito (e meno eseguito) delle più celebri variazioni sulla celebre aria di Papageno “Ein Madchen oder Weibchen” del secondo atto, il concerto ha proseguito con l’esecuzione dell’op. 5, n. 1, la prima delle sonate per violoncello di Beethoven, composta, appena venticinquenne, insieme alla n. 2 nel 1795, per il famoso violoncellista francese J.P. Duport. Due anni dopo il violoncellista, maestro di violoncello dell’imperatore Federico Guglielmo II, eseguì a corte la sonata con al piano lo stesso Beethoven, il quale ricevette da un soddisfatto imperatore una tabacchiera d’oro piena di monete, come si usava all’epoca. La sonata consta di due tempi: il primo:Adagio sostenuto – Allegro, movimento estremamente lungo, dal carattere gioioso ed energico, ove si intravede in più punti l’unghia del leone del giovane maestro; il secondo, – Rondò: Allegro vivace – molto più breve, anch’esso ricco di slancio. Nella sonata ancora non vi è equilibrio fra violoncello e pianoforte, la parte dedicata a quest’ultimo strumento è infatti nettamente preponderante, dando modo al bravissimo Giacomo Fuga di sfoggiare tutto il suo talento. La seconda parte della serata si è aperta con l’esecuzione dell’”Introduzione e Polacca Brillante op. 3” di Chopin. Il musicista polacco, si sa, dedicò quasi tutta la sua opera al pianoforte solista, nondimeno aveva una predilezione per il violoncello, a cui ha dedicato alcune notevoli pagine cameristiche, la prima delle quali è costituita proprio da questo brano, dal carattere slanciato, un po’ salottiero, comunque gradevole per la bellezza dei temi. Il concerto si è concluso finalmente con il piatto forte della serata: la Sonata op. 102, n. 2, in re maggiore di Ludwig Van Beethoven. Si tratta dell’ultima sonata che il grande musicista tedesco dedicò a questo organico, e, insieme con la op. 102 n. 1, rappresenta praticamente l’inizio di quello che viene spesso definito il terzo periodo compositivo di Beethoven, l’ultima fase della sua esistenza durante la quale, già completamente sordo, il grande maestro si avventura in terreni artistici allora impensabili, sperimentazioni sonore, dove gradualmente viene abbandonata la forma sonata in favore di altre, come, ad es., l’arte della variazione, portata alle sue estreme raffinatezze, o la rielaborazione della fuga barocca in chiave drammatica e fortemente caratterizzata. Questo percorso che, passando per le ultime composizioni per pianoforte, vedrà il suo coronamento negli avveniristici ultimi cinque quartetti per archi, inizia proprio con queste due sonate per violoncello e pianoforte. La n. 2 dell’op. 102 consta di tre movimenti: il primo – Allegro con brio – nel quale l’armonia si fa ardua e complessa, ma mai arida, senza rinunciare quindi alla nobiltà dei temi, caratteristica propria di ogni composizione beethoveniana; il secondo movimento – Adagio con molto sentimento d’affetto – che rappresenta uno dei momenti più toccanti mai scritti dal musicista di Bonn, un canto sommesso, dolce e rassegnato, desolato ma sempre composto, reso ancor più commovente dal magico timbro del violoncello; il terzo movimento – Allegro. Allegro fugato – che non fu ovviamente compreso dai contemporanei, e anche oggi il giudizio che se ne da è spesso contraddittorio. Si tratta in realtà di un brano assai complesso, dove per la prima volta la fuga ed il contrappunto classici si scontrano con il linguaggio romantico e drammatico, con altre strutture armoniche, e da qui nasce la difficoltà di comprensione. È ovviamente un capolavoro, che getta le basi alla scelta polifonica dell’ultimo Beethoven, il cui linguaggio fortemente drammatico si manifesterà sotto la forma dell’antica fuga barocca. Tale ricerca, che trascende di molto il suo tempo, troverà la perfetta sintesi nella fuga della sonata per piano op. 110 e soprattutto nella “Grande fuga” per quartetto d’archi.

L’esecuzione dei due musicisti è stata all’altezza delle ardue sonate beethoveniane, ed eccellente per la polacca di Chopin. Ottimo affiatamento dei due artisti, ci è piaciuto particolarmente il pianista Giacomo Fuga, che ha palesato una padronanza tecnica e sensibilità di tocco non comuni, sempre attento a non sovrastare il suono più flebile del violoncello. I due artisti hanno concesso al pubblico (è inutile ripeterlo, davvero sparuto in proporzione al valore artistico del programma e degli esecutori) come bis, “Vocalist” di Sergei Rachmaninoff, un breve brano cantabile di sapore melodico post romantico.

Giovanni Franciò

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