Io danzerò. Un ipnotico gioco di seta e luce

Io danzerò. Un ipnotico gioco di seta e luce

Tosi Siragusa

Io danzerò. Un ipnotico gioco di seta e luce

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giovedì 29 Giugno 2017 - 06:00

Sulla rotta della decima musa: le bianchi ali della regina della Belle Epoque Loie Fuller nel biopic di Stéphanie Di Giusto. Riflessioni a cura di Tosi Siragusa

Il lungometraggio, già reduce da una standing ovation a Cannes 2016 e presentato in anteprima italiana con successo al Biografilm Festival di Bologna, ci riconsegna l’essenza dell’artista americana di origini contadine che negli anni d’oro della Belle Epoque aveva affascinato il bel mondo parigino con l’ipnotica serpentine dance di sua creazione. Personaggio indomito, fuori dal coro, l’iconica star, proveniente dal Midwest, povera, dal fisico massiccio e orfana del padre con cui, bambina, aveva vissuto in una casa nella prateria, si nascondeva con quel suo cumulo di macerie dietro i drappi bianchi, volteggiando sui palcoscenici parigini quale farfalla attraverso due enormi teli di seta che, con l’ausilio di proiettori, conferivano la luce, inondandola però di radiazioni ionizzanti.

Eppure ai nostri tristi tempi questa pioniera della danza moderna (incarnazione stessa dell’Art Nouveau e dea delle Folies Bergere attraverso i ritratti di Jules Cheret) non era ancora annoverata fra i grandi, prima che Giovanni Lista nel saggio Loie Fuller danseuse de la Belle Epoque le rendesse giustizia. Lo script ha costituito canovaccio del bel film diretto dalla francese Stephanie Di Giusto. L’interprete, Stephanie Sokoliski, alias la poliedrica pop star Soko, è una perfetta Louise-Loie e il ruolo le calza a pennello nella sua energica dedizione all’arte, risultando ben evidente come si sia data senza limiti nella resa artistica, di difficile realizzazione anche tecnicamente. Lily Rose Depp è poi Isadora Duncan, e della bionda danzatrice – sfrontata al punto da esibirsi quasi nuda, e rivoluzionaria interprete della danza moderna per l’uso del corpo privo di orpelli, con le sue vestine in stile greco antico – possiede appieno il phisique du role. Se per Loie la prestazione artistica era sacrificio, insicurezza e dolore, ed era da perseguire con versatilità per “uscire” dalla propria vita, per Isadora, ben conscia del suo potere sulla gente, che viveva con spregiudicatezza, da giovane naturalmente aggraziata, era una predisposizione, un donarsi completamente senza artifici; se Loie rifiutava la sua fisicità, Isadora al contrario ne era compiaciuta. Nell’opera filmica poi si intuisce solo il delicato rapporto saffico intercorso fra Loie e la sua fedele assistente Gabrielle, interpretata da una composta Melanie Thierry. Il conte D’Orsay (alias Gaspard Ulliel, già segnalatosi nel ruolo di Yves Saint Laurent) aristocratico decadente della fin du siecle,è un personaggio di finzione che intrattiene un intenso rapporto con Loie, non riuscendo però ad avere con la stessa rapporti sessuali, un dandy malinconico, vizioso, con l’ossessione della bellezza, dell’arte ma soprattutto della morte. Il conte è concepito quale una sorta di vampiro della vitalità di Loie, uno straniante individuo e straziante, che entra in comunione spirituale con l’artista, si imbottisce di etere e assenzio per sopravvivere ai suoi fantasmi, infelice e impotente, con l’assillo del suo ego da sbrogliare (somiglia molto ai personaggi decadenti di viscontiana memoria). Appare più che doveroso restituire giustizia alla Fuller, che, pur avendo rivoluzionato le arti sceniche della fine del secolo XIX, visse il successo in solitudine, schiacciata dai confronti con artiste quali Isadora Duncan, dapprima affettata adorante sua allieva, ma presto sprezzante nei suoi confronti, professionalmente e umanamente, spezzandole il cuore (anche sentimentalmente) e dimenticando gli aiuti ricevuti all’inizio. Se un’intera generazione di artisti (da Toulouse Lautrec a Mallarmè e Rodin, da Claude Debussy fino ai fratelli Lumiere) e scienziati (quali Pierre e Marie Curie) la idolatrarono, anche noi le dobbiamo la devozione meritata; fra i suoi amici si citano ancora anche Edison e l’astronomo Flammarion. In conclusione, non trattasi di una biografia convenzionale e molti particolari della vita dell’artista, come il difficilissimo rapporto con la madre (con la quale passa del tempo a New York in una congregazione religiosa alla morte del padre crivellato dai colpi di una banda fuorilegge) sono di pura creazione artistica. Quella fata, silfide e salamandra, essere libero, puro e indomito, rivive nelle sue magie in questa fantasmagoria appassionata, fra visibile e invisibile anticipando le performances della Light Art, inventando costumi, coreografie e effetti speciali, gettando le basi dell’astrattismo e delle arti multimediali e rivoluzionando con ferrea disciplina, energia inesauribile, implacabile testardaggine e intelligenza le arti sceniche. Isadora la condannò all’oblio, trascinando al suo seguito il pubblico prima adorante. Per ironia della sorte saranno sepolte entrambe a Pere Lachaise, a Parigi, le loro tombe ad una distanza di cento metri ne rifletteranno le differenze nel riconoscimento agli occhi del mondo le polarità entro le quali si svilupperà la danza del '900.

Film celebrativo dell’energia salvifica del movimento del corpo, dell’effervescenza della danza e delle altre arti (dalla poesia simbolista al cinema) del dinamismo delle moderne performances, arricchito da una fotografia di gusto pittorico di Benoit Debie, eleganti scenografie, costumi ricercati, con quelle bacchette di bambù nascoste sotto le stoffe.

Tosi Siragusa

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