"Hungry Hearts", l'ossessione della purezza

“Hungry Hearts”, l’ossessione della purezza

Tosi Siragusa

“Hungry Hearts”, l’ossessione della purezza

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venerdì 23 Gennaio 2015 - 07:42

Sulla rotta della decima musa: alimentazione, claustrofobia ed una tormentata maternità sono i temi centrali del nuovo film di Saverio Costanzo, già protagonista dell'ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Impressioni a cura di Tosi Siragusa.

Un lavoro cinematografico di egregia resa, quest’opera estremamente drammatica e intimista, a piccolo budget, di Saverio Costanzo (alla sua prova più difficile) in concorso all’ultima edizione della mostra del Cinema di Venezia, ove ha riscosso notevoli consensi e riportato lusinghieri apprezzamenti attraverso le Coppe Volpi meritatamente assegnate ai protagonisti. Adam Driver e Alba Rohrwacher, entrambi grandissimi interpreti. Il film, sceneggiato dal regista stesso, con adattamento del romanzo “Il bambino indaco” di Marco Franzoso, è storia di una coppia contrassegnata dalle inclinazioni naturiste di Mina, che divengono integralismo alimentare e ossessioni nel rapporto assolutista con il figlioletto (che reputa delicato e speciale) generando conflitto con il marito Jude, che deve, suo malgrado, con il supporto materno, imporre la forza del diritto per tentare di salvare il bambino dalla denutrizione e forse dalla morte si arriverà, di fronte ai comportamenti di quella madre parossistica ed affetta da amore incondizionato verso la sua creatura, alle estreme conseguenze.

Il problema di fondo, secondo il regista è “il divenire coppia, genitori, nonni” senza la necessaria preparazione poiché i passaggi non sono naturali e potrebbero essere caratterizzati da pulsioni inconsce e mal gestite. Potrebbe sostenersi che protagonista è – in realtà – l’accesso passionale in ogni sua forma, quell’amore che diviene malamore quando l’attaccamento supera la misura convenzionalmente reputata giusta, divenendo tentativo di fusione e questa esplorazione degli oscuri lati umani acquista le dinamiche del thriller. E così la storia di Jude e Mina contiene in nuce già risvolti negativi, nel momento in cui quell’unione ancora agli albori – che trae origine da un incontro casuale in una situazione di coercizione dei protagonisti, ritrovatisi chiusi nel bagno degli uomini di un ristorante cinese ove Jude sta affrontando un attacco di diarrea per aver mangiato pesce (con connotazione che il cibo, di origine animale soprattutto, sia veleno) – è precipitosamente trasformata in famiglia con prole – per il timore maschile di perdere la compagna e sull’onda della passione carnale, in un crescendo la morbosità investe poi il rapporto madre-figlio, e la creatura è soffocata da attenzioni in quanto vista come una propaggine di sé, da custodire sotto una campana di vetro per sottrarla ad ogni potenziale forma di contaminazione esterna.

Il lungometraggio può contare su una buona recitazione anche degli altri interpreti, Jake Weber e Natalie Gold, “in primis”, su una convincente fotografia, di una New York claustrofobica, e musiche appropriate per sottolineare con convinzione i passaggi fondamentali della storia. Non si attribuisce un punteggio ottimale, essendosi riscontrati dei nei: Costanzo flirta con l’idea che Mina sia mossa dall’istinto materno di proteggere il suo bimbo, ma poi questa cifra narrativa non è portata fino in fondo l’idea di mettersi dalla parte della “madre degenere” certo sarebbe stata, oltreché rischiosa, anche invisa alla coproduzione americana e dunque, pur se il regista tenta di sospendere e farci sospendere il giudizio sui personaggi, non possiamo che schierarci con Jude, l’irresistibile Adam Driver, e certo non con una Mina coraggiosamente indisponente, come magistralmente resa da Alba Rohrwacher, compagna e musa di Costanzo. Mina è una mamma fatale, divorata dall’ossessione e forse la prospettazione di questa maternità “detestabile” irriterà vegani, vegetariani e donne: avocado, semi di lino e legumi sono gli unici alimenti permessi di questa madre per la nutrizione del figlioletto già fin dalla gravidanza, con astinenza forzata da ogni altro cibo inquinato per “purificare” il suo corpicino. Ugualmente il pargolo è preservato dall’aria e dalla luce. In realtà il lungometraggio non svela chi siano i protagonisti ed il perché delle loro scelte, spesso insensate. La storia procede poi per salti temporali, con in mezzo “i neri” (schermo senza immagini) che, però, appaiono stratagemmi artificiosi per creare una sequenza cronologica.
Voto: 8 – In programmazione presso il Multisala Iris, con spettacolo alle ore 23,00.

Tosi Siragusa

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