“Steve Jobs”, la biografia di un genio visionario

“Steve Jobs”, la biografia di un genio visionario

Tosi Siragusa

“Steve Jobs”, la biografia di un genio visionario

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domenica 24 Gennaio 2016 - 06:51

Sulla rotta della decima musa: la storia del padre della Apple nel nuovo lungometraggio di Danny Boyle. Impressioni a cura di Tosi Siragusa

Questo lungometraggio – in uscita negli USA il 9 ottobre 2015 e nelle sale italiane il 21 gennaio 2016 – diretto e coprodotto da Danny Boyle, con un Michael Fassbender, splendido e ambivalente nei panni di Steve Jobs, è basato, ma solo liberamente, sulla biografia autorizzata dello stesso, composta da Walter Isaacson, del 2011, ma è stato riscritto da Aaron Sorkin (e questo fa la differenza) grande sceneggiatore di Hollywood.

L’importanza della pellicola sta nelle pennellature del personaggio co-fondatore dell’Apple, colosso americano, dipinto fra manipolazione e genialità – talchè neanche l’amico e socio di sempre, Steve Wozniak, genio informatico, sembra lo conosca fino in fondo, “e tu chi sei?” gli chiede infatti – Kate Winslet, come Fassbender in corsa per la statuetta come migliore attore protagonista, è candidata agli Oscar come migliore attrice non protagonista nella parte dell’executive di ferro della Apple, super manager e braccio destro, Joanna Hoffman, persona a lui devota, rispettosa e fedele, come una “moglie da lavoro” mai subalterna, però o intimidita dal suo carisma, piuttosto in ammirazione per la sua passione, che condivide. Il biopic attuale non è mai, per scelta, agiografico ed è stato preceduto da “Jobs” del 2013, diretto (non bene) da Joshua Michael Stern, con interprete principale, nel ruolo, Ashton Kutcher (abbastanza improbabile) pellicola più emotiva e meno controversa, in quanto più univoca nel rappresentare le luci del personaggio, l’idealismo e la ieraticità, tralasciando per lo più le dense ombre. L’opera cinematografica attuale è molto teatrale, ed è stata realizzata superando i no della famiglia, in quanto intenderebbe (e riesce bene) andare oltre il mito, raffigurando uno Steve algido, cinico, non rispettoso delle regole, con manie e crisi affettive. Il film è stato un po’ un flop al botteghino americano e alle nominations della Academy è stato ignorato in sé, al di là delle candidature degli attori.

Jobs è indagato fra le pieghe e le piaghe dell’anima, e, non riuscendo a superare l’abbandono dei genitori biologici, che gli ha causato un prostrazione profonda, appare divenuto un maniaco del controllo. L’opera è perfetta nella sua struttura, quasi da “design”, nel delineare una figura di guru, brillante nelle intuizioni e comunque rivoluzionaria nella personalità ed è assente quasi del tutto ogni operazione di retorica. Gli altri interpreti sono Seth Rogen, nel ruolo di Steve Wozniak, “Woz”, che lo mollerà e sarà candidato al fallimento, Jeff Daniels, in quello dell’ex Ceo Apple, John Sculley, Michael Stuhlbarg, nel ruolo di Andy Hertzfeld, uno degli originari membri del team e Katherine Waterstone nei panni di Chrisami Brennan, e funzionano bene quali figure secondarie, ma mai marginali. La storia si apre nel 1984, quaranta minuti prima del lancio del Macintosh, e si conclude nel 1998, quaranta minuti prima della terza convention, passando per i quaranta minuti prima della seconda convention, e con il mutare dei decenni e dei costumi cambieranno i prodotti commerciali (il NeXT e l’iMac) ed è sempre ambientata dietro le quinte dei lanci dei tre importanti prodotti. I rapporti familiari, amicali e professionali dell’anomalo e visionario stratega, inventore del mouse, delle icone, dell’iPhone, dell’iPod e dell’iPad, sempre alla ricerca della diversificazione, sembra fossero da lui vissuti (o perché veramente anaffettivo, o in quanto incapace di esprimere i propri sentimenti) quali problematici per la sussistenza di frizioni: si pensi alla relazione con la figlia Lisa, con l’ex fidanzata e madre di Lisa, con il partner degli inizi, con l’ingegnere del software Andy, etc. Entriamo così a far parte dei tre momenti topici della vita del padre della Apple. Si parte dal successo umano, faticosamente costruito dopo anni di insuccessi professionali e perfino pubbliche umiliazioni, per dipingere un intimo ritratto, e Jobs appare quasi incompatibile con il resto del mondo, nella sua testarda arroganza, ma anche consapevole delle sue debolezze e fiero nei suoi difetti, quale essere umano sommamente imperfetto ma che è riuscito a creare prodotti imperituri.

Il regista, preso per mano dal grande sceneggiatore del “dietro le quinte”, ci conduce nei sobborghi dell’attività commerciale, facendoci conoscere i retroscena del mito, duramente criticato, che non ha tempo, però, per leccarsi le ferite, dovendo concentrarsi sulla sua visione, per mettere a punto un sistema di “moto all’uomo”, che quello operativo concorrente non contemplava. Imprenditore appassionato e paziente dunque ma anche artista dotato di gigantesca personalità, che riesce a dirigere ogni singola componente (come un direttore con l’orchestra) per generare un prodotto finale eccellente, forse come non riusciva a sentirsi. Le musiche, composte da Daniel Pemberton, completano e conferiscono armonia al film, rallentato, ma solo un pò, dalla verbosità dei dialoghi, comunque ben articolati e brillanti. Assodato l’estro dell’industriale, del carismatico Steven, ancor oggi identificato con i suoi prodotti, rimane il mistero sulla sua opera, di rivoluzionario che ha democratizzato l’uso della tecnologia o non piuttosto del pioniere della prigionia informatica? Ed è aperto l’interrogativo di fondo, se la rivoluzione digitale abbia apportato beneficio reale ad una umanità, che appare invero sempre meno umana. In conclusione, il giudizio che si assegna a questo lavoro cinematografico coraggioso è più che buono, e la figura controversa è geniale nella sua rinuncia al gradimento dei suoi simili per omaggiare i posteri del suo segno profondo, della sua intelligenza e appare grandissimo nelle conventions, ove dava il meglio di sé, motivando collaboratori (dopo averli redarguiti) e clienti.

Tosi Siragusa

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