"Soap opera" di Alessandro Genovesi, un film che non funziona

“Soap opera” di Alessandro Genovesi, un film che non funziona

Lavinia Consolato

“Soap opera” di Alessandro Genovesi, un film che non funziona

sabato 25 Ottobre 2014 - 08:40

Il nulla cosmico portato al cinema: Genovesi dà un'altra prova della sua incompetenza come sceneggiatore, e Fabio De Luigi continua la sua collezione di flop

Passiamo il 30 e il 31 dicembre in un condominio alquanto movimentato: Fabio De Luigi e Cristiana Capotondi si son lasciati, ma lei è incinta di lui, che non lo sa; Ricky Memphis, che ha la fidanzata in ospedale in procinto di partorire, crede di essere omosessuale per un bacio che lui e Fabio si erano dati quando erano lupetti ai boy scout; Ale e Franz sono due fratelli gemelli eterozigoti in eterno conflitto che si vestono uguali; Chiara Francini fa l’attrice di soap opera, ed ha una passione per gli uomini in divisa. Il vicino del piano terra si suicida perché Elisa Sednaoui sta arrivando da Parigi per lasciarlo. Si apre un’inchiesta di cui si occupa il carabiniere Diego Abatantuono (uomo in divisa per Alice).

Gelosie, litigi, bugie, un potpourri che porta all’insofferenza. “Soap opera” è melenso, noioso e inutilmente melodrammatico: devo ammettere che il titolo è azzeccatissimo. Mi chiedo se l’inquilino del piano terra non si sia “suicidato” per aver letto la sceneggiatura.  

Alessandro Genovesi, sia regista che sceneggiatore di questo film, aveva già tediato il pubblico con la sceneggiatura di “Happy family” di Salvatores, in cui pure Fabio De Luigi ricopre un ruolo centrale. Lo stesso De Luigi sembra collezioni film inutili: “Happy family”, “Com’è bello far l’amore”, e tanti altri.

Non si chiede certamente ai registi e ai produttori di creare dei capolavori. I film di seconda categoria hanno la loro utilità e molto spesso sono riusciti, ma “Soap opera” non funziona nemmeno come “film della domenica”. È stato presentato al Festival internazionale del film di Roma 2014: i produttori sono stati coraggiosi. A proposito della produzione, è stata usata la Tax credit, ovvero il credito d’imposta che si usa per produrre film riconosciuti di interesse culturale dalla Commissione per la cinematografia.

Ci si chiede spesso perché gli attori, anche bravi, accettino certi copioni: il grande Peter O’Toole, che aveva fatto pochi capolavori e tanti pessimi film, in un’intervista, ad un giornalista che gli “rimproverava” questo fatto, rispose che “le bollette vanno pagate!”. D’accordo, diciamo noi senza moralismi. Ma anche chi spende per il biglietto, ha diritto ad una commedia, sì leggera, ma ben confezionata.  

Lavinia Consolato

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