"La spia - A most wanted man", dal genio letterario di John le Carré

“La spia – A most wanted man”, dal genio letterario di John le Carré

Lavinia Consolato

“La spia – A most wanted man”, dal genio letterario di John le Carré

sabato 01 Novembre 2014 - 10:50

Dopo la raffinatezza de "La talpa" nel 2011, ecco un nuovo intrigante thriller, o meglio spy-story, tratto da un romanzo di Le Carré, "Yssa il buono". L'ultima grande interpretazione di Philip Seymour Hoffman.

Dopo gli attentati terroristici del 2001, si sta combattendo una guerra segreta: ad Amburgo, un’unità antiterroristica, guidata da Gunther Bachmann (P.S. Hoffman), indaga su Faisal Abdallah, un uomo molto potente che sotto la parvenza di opere di beneficienza sostiene il terrorismo in Medio Oriente. Arriva clandestinamente un ragazzo ceceno, Yssa Karpov, che, aiutato da una avvocatessa (Rachel McAdams), si mette in contatto con un banchiere (Willem Dafoe) per prendere l’eredità di denaro sporco lasciatogli dal defunto padre generale russo. Yssa sarà la chiave per Gunther per smascherare il falso benefattore, ma la stupidità dei superiori e soprattutto l’agente della CIA, Martha Sullivan (Robin Wright), renderanno tutto più complicato. Ancora una volta gli americani rovinano con metodi brutali la raffinatezza del lavoro europeo che vuol evitare la violenza, giocando d’astuzia.
Una storia che gira intorno ad una serie di tradimenti, soprattutto tradimenti dei figli, che devono espiare i peccati dei padri.

La storica paura del comunismo russo delle trame di Le Carré si trasforma in paura del mondo arabo: sono passati tredici anni dal 2001 e possiamo dire che oggi il tema sia spiacevolmente attuale. Il rapporto tra la Cecenia e la Russia e tra il mondo occidentale e quello arabo: insomma è il mondo reale, è il vero mondo delle spie che Le Carré conosce bene e sa dipingere perfettamente, e che il regista Anton Corbjin ha saputo rendere ottimamente.
Un cast perfetto, che gira intorno alla recitazione magistrale di P.S. Hoffman, che sapeva dare il meglio di sé nei ruoli drammatici. Dopo la sua morte per overdose, il 2 febbraio di quest’anno, abbiamo perso un attore che ancora poteva dare tanto, al pubblico, a se stesso. Nel ruolo di Gunther rende perfettamente l’idea della spia che vive per il suo lavoro, al di là del quale non ha niente e nessuno: per questo beve ed è un fumatore incallito.
Noi non possiamo sapere cosa si celi dietro la maschera dell’attore, e non è certamente per moralismo che ci arrabbiamo per la sua morte, ma la droga è veramente una piaga che toglie tanta bellezza a questo mondo. Tanti attori sono morti così: penso a Heath Ledger pochi anni fa, ancora giovanissimo, e ad altri.

Consiglio la visione di due film con Hoffman protagonista: “Truman Capote – A sangue freddo” per il quale ha vinto l’Oscar al miglior attore, e “Synecdoche, New York” del 2008, ma distribuito in Italia quest’anno.

Lavinia Consolato

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