Le cento Sicilie di Pietrangelo Buttafuoco

Le cento Sicilie di Pietrangelo Buttafuoco

Tosi Siragusa

Le cento Sicilie di Pietrangelo Buttafuoco

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sabato 24 Febbraio 2018 - 07:04

Autore dotato di liricità e giornalista oltre la propaganda: ma come si riesce a divenire “Pietrangelo Buttafuoco”?

Nella serata del venerdì si è svolta una conversazione presso il circolo messinese “Talatta”, del quale è presidente Silverio Magno, moderata da “Cara Beltà”, Associazione Culturale presieduta da Milena Romeo, con Luca Fiorino, interprete di letture da testi dell’autore. Milena Romeo ha messo in risalto la libertà di pensiero, l’impegno e la statura morale e umana di Pietrangelo Buttafuoco, e come il giornalista nel caso di specie identifichi proprio la persona.

A suo dire, l’autore racconta di una Sicilia non ortodossa, con un punto di vista in uno distaccato e affettivamente coinvolto, una Sicilia dei contrasti, anzi cento Sicilie, edonè e ade, lutto e luce. E quelli di noi, continua la Romeo, che vogliono guardare a ciò che siamo, con orgoglio appassionato, non sempre sono apprezzati. La location, veramente magica, guida gli sguardi allo stretto di Messina, luogo intriso di storia e altamente connotativo. Per Quasimodo la Sicilia è stata “terra bella, ma che ci amareggia” e il suo è stato uno sguardo davvero ambivalente sulla nostra Isola, un canto d’amore, contrappunto di dolcezza e lamento insieme. Secondo Leonardo Sciascia la Sicilia è “differente” e lacera persone e sentimenti, crudele e insieme bellissima, scomoda da mordere, ma è possibile viverla. Buttafuoco prende poi la parola per ringraziare i presenti, questo mare e questo rovello su cui si è forgiata la nostra storia e attraverso le meraviglie di questa terra è possibile tentare di cancellare le brutture che pure la identificano. E proprio con focus su Messina, prosegue l’autore, Il lupo e la luna, edito da Bompiani, narra la storia di un giovane messinese, Scipione Cicala, della genia di razziatori e mercanti, che a Istanbul trovò la gloria e nella città delle 200 moschee, Palermo, intravide una donna già maritata e lasciò gloria e eserciti per consegnarsi al suo destino inatteso al centro dell’Isola. Grazie a questa terra che mescola dannazione e speranze, luce e ombre, prosegue Buttafuoco, in ognuno di noi c’è una grande storia, che inconsciamente continuiamo a trasmettere, al di là del bene e del male. Disperazione e speranza, rabbia e gioia, umorismo e tristezza. Si evidenzia allora, da parte della Romeo, che Il lupo e la luna è stato presentato al messinese Monte di Pietà e rivela la natura di cantastorie di Buttafuoco, attraverso quella storia favoleggiante, nella forma de “I Cunti”, quali quelli tramandati nelle piazze paesane dai pupari, che cantavano di fatti, gesta e amori di tempi andati, e che sono stati antesignani del nostro teatro.

La forma del testo è estremamente poetica, e denota una devozione per la parola, raccontata e declamata. Milena Romeo prosegue lodando e definisce Pietrangelo Buttafuoco un giornalista controvento, puro, testardo e irriverente, un poeta di sicuro, ricordandone le origini catanesi, e il suo aver vissuto ad Agira nell’ennese, i suoi studi filosofici a Catania e Roma, e l’aver scritto tanto, su “Il Foglio”, “Repubblica”, “Il Sole 24 Ore”, “Il Fatto Quotidiano”, solo per citare alcuni giornali; Buttafuoco, si evidenzia, ha molto lavorato per la televisione, è narratore e saggista e la Sua ultima fatica è, per “La Nave di Teseo” di Elisabetta Sgarbi, Strabuttanissima Sicilia, opera rispetto alla quale la Sicilia ivi rappresentata, pur essendo cresciuta negli ultimi mesi, presenta ancora molte criticità. Questa Sicilia al centro del Mediterraneo, si è detto, è ancora rappresentata da quelle 2 “A”, Autonomia da una parte, motore di sprechi e “Antimafia”, dall’altra, e in essa convivono il “Gigante” Camilleri e il “Caduto” Cuffaro, ad esempio; Buttafuoco precisa che nel corso della campagna elettorale per le Regionali ha ritenuto di dover portare avanti una Sua Campagna “lettorale” e a Messina, alla “Gilda dei Narratori”, ha già presentato quel suo testo. L’autore ricorda poi che un affermato medico legale, molto apprezzato in quel di Marsala, in una serata presso il locale teatro aveva affermato con solennità “I nostri figli sono tutti fuori”, e trattavasi di persona agiata che avrebbe potuto avere esiti diversi per la propria prole in terra siciliana (e molti personaggi in vista, di diverse generazioni, avevano in quella fattispecie convenuto su tale assunto). Ciò è ancora più singolare se si pensi che molti dei vertici attuali o pregressi dello Stato hanno o hanno avuto radici siciliane e che, invece, tutta l’elite economico-culturale siciliana ha la prole fuori dall’Isola e tale ricognizione, già cruda, implica in realtà molto più di quanto potrebbe sembrare e iscrive un’ipoteca sul futuro siciliano.

Questa nostra Isola, ha proseguito Buttafuoco, potrebbe (e dovrebbe) essere la prima vetrina turistica, dei beni culturali del patrimonio storico-artistico e per le risorse agricole, e ciò solo a titolo esemplificativo. Le Terme di Sciacca, di proprietà della Regione Siciliana, sono dal 2015 chiuse, con arredi d’epoca in cattivissimo stato e si parla ancora di darle in concessione al Comune: nel 1958 la nostra Regione ha inaugurato in pompa magna il villaggio turistico “Mareneve”, senza che ci fosse allaccio idrico ed elettricità, e tale sito oggi è quasi un eco-mostro, che sporca il paesaggio, come il villaggio taorminese “Le Rocce”. Tali grumi non potrebbero mai immaginarsi ad esempio in zona Dolomiti; di contro, la bellissima Villa liberty “Deliella”, già sita in piazza Croci, progettata da Ernesto Basile, venne abbattuta nel 1959 durante il “sacco” di Palermo, lasciando il posto ad un parcheggio abusivo: pensiamo cosa potrebbe accadere se invece una delle ville del Palladio, in territorio Vicentino, fosse demolita. Ricordiamo, continua Buttafuoco, che i nostri nonni erano soliti disporsi a cerchio e tramandare le tradizioni e anche Francis Ford Coppola per la sceneggiatura e le note di regia de Il padrino ha proceduto a chiacchierate con gli anziani del luogo (Savoca) prima delle riprese al bar “Vitelli”. E si loda la coralità, le lunghe tavolate con uno solo a favore di fotografo e la diffusa tendenza siciliana di ascoltare le voci della piazza e di vivere esposti sui balconi. E così i vecchi in un crocicchio, “abbrancicati” a una pietra di barocco, trapunta di gelsomino, ci rimandano al segreto dell’amore: succhiare quel fiore e poi baciare l’amato/amata, tradizione che si tramanda dall’anno mille e ancora è mantenuta viva in Sicilia. Liricità, modo evocativo di raccontare le cose, le doti di Buttafuoco e,attraverso testi di pura poesia, capacità di discorrere di quotidianità. E però l’autore sembra essere anche un combattente, un giornalista oltre la propaganda e gli editori, non parrebbe essere connotato, ed è stato tacciato di tutto: ma la totale libertà è possibile, mi chiedo? E sopratutto: come è riuscito a divenire il “Buttafuoco” celebrato”? E ancora, si può essere guida per il lettore anche oggi in questi odierni tempi di fallimento dell’industria giornalistica, intesa quale mercato, con il relativo chiacchiericcio e le mistificazioni sul web (quello scadente) che scatenano un verminaio? (Ora che non è più come ai tempi di Marx, quando si poteva dire “calunniate, calunniate, qualcosa resterà” e che manca più di prima la libertà per il giornalista e c’è invece la paura fisica di esporsi).

Gli argomenti più attuali oggi all’ordine del giorno, continua intanto Buttafuoco, sono venuti fuori dal programma TV delle Iene, come i rimborsi mascherati dei 5 Stelle. Il giornalismo, certo, continua ad esistere, mentre molti giornali cartacei muoiono per la selvaggia concorrenza di un certo mercato telematico, e comunque in entrambi i casi spesso è carente un buon costrutto professionale e sussiste troppa autoreferenzialità verso l’attuale realtà riportata, che non consente di avere il polso della situazione e prevedere in modo congruo gli scenari, come è accaduto per Brexit e le elezioni presidenziali americane, ove quasi nessuno ha indovinato gli esiti. L’ironia di Buttafuoco, apprendiamo, è di derivazione paterna, e anche gli studi filosofici gli hanno fornito ausilio per acquisire leggerezza e non stancare gli interlocutori. Frattanto, ad intervalli, Luca Fiorino procede a letture dal testo di Buttafuoco, pubblicato nel 2013 Il dolore pazzo dell’amore e trattasi di passaggi densi su personaggi autobiografici quali zio Pino, che in punto di morte ascolta molto e svela il segreto pazzo dell’amore, zia Lia, alle prese con quei suoi pretendenti rifiutati, che, come diceva, “non si devono permettere” (di aspirare alla sua mano). L’autore è un forte fautore della tradizione, intesa non solo quale statica eredità artistico-culturale, ma quale rinnovamento di ciò che ci è stato consegnato e che va riproposto. Buttafuoco ricorda il suo legame con Donnalucata, e il suo mare, divenuto ancor più stretto da quando è genitore, poiché, a suo dire, bisogna darsi un metodo per riuscire a consegnare ai discendenti ciò che è il proprio vissuto, ereditato dagli avi e anche l’assegnare, di generazione in generazione, il nome dei padri ai propri figli, soprattutto nei paesi, è utile strumento perché le contrade siano sempre abitate da persone con eguali denominazioni.

Infine Buttafuoco ricorda il più tragico naufragio di Lampedusa, che ha restituito un immenso ammasso di cadaveri, riconsegnati nudi dall’inesorabile mare, e come in tale contesto i lampedusiani abbiano fatto una gara di solidarietà per vestire i morti che galleggiavano nel liquame di pipì e nafta, con il preventivo aiuto fondamentale del becchino locale, che si industriò utilizzando le foglie di un albero di alloro per asciugare quei liquidi malsani e poter così dividere quei poveri resti, dando loro sepoltura, con uso delle croci “perché sono come noi” così disse. In chiusura, le parole del presidente del circolo a suggello della serata. Buttafuoco è poi stato acclamato dai presenti e ricambiato le cordialità espresse,pur se residua una nota poco comprensibile, quel suo aver declinato l’invito da parte di istituti scolastici, con motivazione che “non lavora per le scuole”, ed è un vero peccato!

Tosi Siragusa

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