Arrivano gli esperti dell’Anci e il dissesto diventa “affare” del Comune. A rischio il "salva-comuni"

Arrivano gli esperti dell’Anci e il dissesto diventa “affare” del Comune. A rischio il “salva-comuni”

Danila La Torre

Arrivano gli esperti dell’Anci e il dissesto diventa “affare” del Comune. A rischio il “salva-comuni”

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lunedì 22 Luglio 2013 - 16:56

La sentenza 219 della Corte costituzionale “censura” alcuni articoli del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 . L’ iter sulla dichiarazione di default non potrà più essere condizionato e subordinato alla volontà della magistratura contabile. Buone notizie anche sul fronte del patto di stabilità, mentre pessime notizie arrivano dalla Commissione bilancio del Senato

L’operazione verità in quel di Palazzo Zanca è ormai solo questione di ore. In arrivo (martedì 23 luglio) due esperti contabili dell’Anci, che dovranno raccogliere tutta la documentazione necessaria ad analizzare e quantificare esattamente i debiti che pendono sulla testa del Comune, siano essi certificati o potenziali. L’amministrazione Accorinti vuole mettere fine alla guerra dei numeri innescata durante la fase commissariale, quando sono emerse due versioni che più distanti non potevano essere: quella dell’ex commissario straordinario, Luigi Croce, che si è congedato parlando di mezzo miliardo di euro di debiti e quella l’area economica del Comune, guidata dal ragioniere generale Ferdinando Coglitore e Giovanni Di Leo, secondo cui il buco dell’ente non va oltre gli 80 milioni di euro. Adesso toccherà ai tecnici dell’Anci fare luce sulla reale situazione economico-finanziaria di Palazzo Zanca e dare i numeri… definitivi.

Intanto, a proposito dei conti del Comune di Messina , è arrivata come una manna dal cielo la sentenza 219 della Corte costituzionale depositata il 19 luglio, che “censura” alcuni articoli del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 . Senza entrare nel dettaglio della sentenza – che fa seguito ai ricorsi presentati da varie Regioni tra cui quelle a Statuto Speciale – ciò che ci interessa da vicino è che la Regione siciliana, e dunque anche il Comune di Messina, godrà di enormi benefici sia sul patto di stabilità, ritenuto inapplicabile da queste parti, sia sulla dichiarazione di dissesto finanziario degli enti , il cui iter non potrà più essere condizionato e subordinato alla volontà della Corte dei Conti. Le modifiche introdotte dal decreto legislativo 149 erano entrare in vigore senza la preventiva e necessaria concertazione tra Stato e Regioni e senza passare dalla sede istituzionale ad essa preposta, la Conferenza Stato- Regioni. La Consulta ha, dunque, deciso di mandare all’aria molte delle previsioni di quel decreto, riconoscendo in base a precisi articoli della Costituzione italiana un più ampio margine d’azione alle Regioni ricorrenti.

L’avvocato Arturo Merlo, che per conto del Comune ha condotto, sul fronte ammnistrativo, la battaglia legale iniziata con la sanzione per lo sforamento del patto di stabilità 2011, spiega che gli effetti della sentenza della Corte costituzionale saranno immediati sul patto di stabilità 2012, sforato dal Comune di Messina per oltre 7 milioni di euro (vedi correlato), perché di fatto «la legge non c’è più» ma non sul patto di stabilità 2011, su cui si dovrà esprimere il Tar Lazio. Il legale è comunque ottimista sull’accoglimento del ricorso, «che dovrebbe portare all’annullamento della sanzione del 2011», pari a 7 milioni di euro, che si erano raddoppiati con lo sforamento patto anche nel 2012.

Patto di stabilità a parte, la sentenza emessa dal presidente Gallo, dal redattore Lattanzi e dagli altri giudici della Corte costituzionale, tra cui il messinese Gaetano Silvestri, apre una via d’uscita inaspettata sul fronte del dissesto finanziario, su cui la Corte dei Conti non avrà più alcun potere impositivo. In altre parole, è stata sottratta alla magistratura contabile la possibilità di obbligare i Comuni alla dichiarazione di dissesto attraverso al Prefettura: dovrà essere l’ente locale stesso, in maniera del tutto autonoma, a decidere, con delibera del Consiglio comunale, se dichiarare o meno il default. Il Comune di Messina può quindi tirare un profondo sospiro di sollievo e procedere al risanamento dei conti senza più avere il fiato sul collo da parte dell’Organo contabile, che può ovviamente continuare a porre rilevi e richiedere chiarimenti contabili ma “perde” ciò che la Costituzione non gli ha mai riconosciuto, cioè poteri di amministrazione attiva. Detto questo, la voragine nei conti del Comune resta e l’amministrazione in carica dovrà continuare a lavorare per rimettere i conti a posto. L’ancora di salvezza a cui la giunta Accorinti sta disperatamente cercando di aggrapparsi è il Fondo di Rotazione, al quale si potrà accedere solo con l’approvazione del Piano decennale di riequilibrio. Il vice-sindaco Guido Signorino è già concentrato sulla rimodulazione del piano, ma arrivano brutte notizie da Roma sull’emendamento presentato in Senato dal messinese Bruno Mancuso (Pdl) che concedeva alle amministrazioni insediatesi da poco di modificare il documento di risanamento. Il testo è stato bocciato dalla Commissione bilancio del Senato e adesso ne andrà ripresentato un altro per non perdere l’unica possibilità di “afferrare” i 50 milioni di euro del prestito statale. (Danila La Torre)

9 commenti

  1. Questo del dissesto ormai è diventato un “Tormentone”.
    Proposta da inesperto contabile per risanare i conti: perchè non vendere palazzo Zanca a qualche sceicco arabo magari ne farà un hotel stile Dubai e ne curerà anche le antistanti palme. L’ Atm la vedo bene come deposito compravendita di ricambi usati per mezzi pesanti (di fatto lo è già). I cittadini non credo si accorgeranno di qualche differenza e nel frattempo qualche privato (lui si molto attento alla redditività) magari si attrezzerà con qualche minibus per coprire qualche tratta cittadina.

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  2. La CORTE COSTITUZIONALE fa uscire di scena, per le regioni a statuto speciale, il decreto legislativo 149/2011, che assegni alla Corte dei Conti un ruolo decisivo per sanzionare i Comuni, si ritorna al Testo Unico e al ruolo decisivo del Consiglio Comunale. ART.244 “ Si ha stato di dissesto finanziario se l’ente non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell’ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte con le modalità di cui all’articolo 193, nonché con modalità di cui all’articolo 194 per le fattispecie ivi previste.” ART.246 “ La deliberazione recante la formale ed esplicita dichiarazione di dissesto finanziario E’ ADOTTATA DAL CONSIGLIO COMUNALE dell’ente locale nelle ipotesi di cui all’articolo 244 e valuta le cause che hanno determinato il dissesto. La deliberazione dello stato di dissesto non è revocabile. Alla stessa è allegata una dettagliata relazione dell’organo di revisione economico finanziaria che analizza le cause che hanno provocato il dissesto. C’è una domanda per la presidente Emilia BARRILE, attraverso la bravissima danila LA TORRE, l’ART. 247 sempre del Testo Unico sull’OMISSIONE DELLA DELIBERAZIONE DEL DISSESTO da parte del Consiglio, subisce modifiche rispetto a questa formulazione, “ Ove dalle deliberazioni dell’ente, dai bilanci di previsione, dai rendiconti o da altra fonte l’organo regionale di controllo venga a conoscenza dell’eventuale condizione di dissesto, chiede chiarimenti all’ente e motivata relazione all’organo di revisione contabile assegnando un termine, non prorogabile, di trenta giorni. Ove sia ritenuta sussistente l’ipotesi di dissesto l’organo regionale di controllo assegna al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine, non superiore a venti giorni, per la deliberazione del dissesto.. Decorso infruttuosamente tale termine l’organo regionale di controllo nomina un commissario ad acta per la deliberazione dello stato di dissesto. Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al Prefetto che inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio dell’ente, ai sensi dell’articolo 141.” Se così fosse non cambia di molto la sostanza, ma la forma. I tempi sono ristretti, sia per la Giunta, deve fornire tutti gli elementi contabili, sia per il Consiglio per dotarsi al più presto della commissione Politiche Finanziarie, cioè dei suoi consiglieri più esperti di finanza locale. Da domani i festeggiamenti sono finiti per tutti.

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  3. La nostra non è una DEMOCRAZIA ma una BUROCRAZIA, e a leggere la sentenza della CORTE COSTITUZIONALE, se ne comprende meglio la sua scarsa competenza, in questo caso riguarda i burocrati del parlamento, che abbiano scritto il secondo periodo del’art.13 del decreto legislatico 149 del 2011, insipienza oramai molto diffusa tra quelli degli enti locali, che favoriscano una spesa legale oramai a percentuali significative d’incidenza sulla spesa corrente. Leggete l’art.13 del decreto, quello smontato e rimandato al mittente, incompatibile, il secondo periodo dell’articolo, con il modello costituzionale, al quale doveva, invece, uniformarsi. ART.13 Disposizioni concernenti le Regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano
    (PRIMO PERIODO)La decorrenza e le modalita’ di applicazione delle disposizioni di cui al presente decreto legislativo nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, nonche’ nei confronti degli enti locali ubicati nelle medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome, sono stabilite, in conformita’ con i relativi statuti, con le procedure previste dall’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni. (SECONDO PERIODO)Qualora entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo non risultino concluse le procedure di cui al primo periodo, sino al completamento delle procedure medesime, le disposizioni di cui al presente decreto trovano immediata e diretta applicazione nelle Regioni a statuto speciale e
    nelle province autonome di Trento e di Bolzano.FINE ARTICOLO.
    La CORTE non ritiene lesivo il primo periodo, che, anzi, è finalizzato a tutelare le prerogative statutarie delle regioni a statuto speciale, mentre il secondo periodo, viceversa, contraddice il primo, imponendo una diretta applicabilità del decreto ai soggetti ad autonomia speciale. Ne consegue che le questioni di legittimità costituzionale del secondo periodo sono fondate, in riferimento all’art. 76 Costituzione. Di conseguenza gli articoli che ci interessano si basano, infatti, sull’erroneo presupposto interpretativo, secondo cui queste norme dovrebbero applicarsi nei confronti dei soggetti ad autonomia speciale. Anche chi come me ha la terza elementare, quella di una volta, capisce che solo un’asino possa scrivere il secondo periodo.

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  4. La sentenza emessa dalla Corte Costituzionale non significa certo che il Comune può abbandonarsi ad una “allegra” gestione delle risorse finanziarie ma deve rappresentare l’occasione per porre in essere in tempi congrui tutte quelle azioni dirette al risanamento economico-finanziario dell’Ente ed al ripiano del disavanzo economico che sarà finalmente quantificato – si spera definitivamente – dai tecnici dell’ANCI.

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  5. Però a Messina i soldi si sprecano per fare:”Dal 1 al 4 agosto la Rievocazione dello sbarco a Messina di don Giovanni d’Austria”

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  6. Io la vedo… che le responsabilità degli amministratori vecchi e nuovi su eventuali manovre elusive della dichiarazione di dissesto, non cambiano di una virgola, così come quelle derivanti dall’aver provocato il dissesto.

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  7. Il dissesto viene proposto dalla giunta su relazione dei revisori dei conti al Consiglio Comunale quanto sussistono i motivi previsti dal testo unico per la finanza locale. La corte dei Conti, in sede di esame dei documenti contabili degli enti non può sollecitare o imporre la dichiarazione di dissesto, ma rimane sua possibilità avvisare delle accertate irregolarità la “procura della Corte dei Conti” che può dare inizio ad un procedimento per l’accertamento di eventuali responsabilità

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  8. Il dissesto viene proposto dalla giunta su relazione dei revisori dei conti al Consiglio Comunale quanto sussistono i motivi previsti dal testo unico per la finanza locale. La corte dei Conti, in sede di esame dei documenti contabili degli enti non può sollecitare o imporre la dichiarazione di dissesto, ma rimane sua possibilità avvisare delle accertate irregolarità la “procura della Corte dei Conti” che può dare inizio ad un procedimento per l’accertamento di eventuali responsabilità

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  9. Salvatore Vernaci 23 Luglio 2013 12:11

    La Corte Costituzionale, con sentenza n° 219/2013, in accoglimento del ricorso proposto dalle Regioni a statuto speciale, ha dichiarato la illegittimità costituzionale di alcuni articoli del decreto legislativo 149/2011, per mancanza di recepimento da parte della Regione Sicilia. Quali le conseguenze:
    1.- Salta, per i comuni siciliani, l’immediata applicazione delle disposizioni «che autorizzavano la Corte dei Conti –alla procedura del cosiddetto dissesto guidato nei confronti degli enti locali. Ne consegue la caducazione per i Comuni siciliani dell’iter procedurale avviato nei loro confronti dalla Sezione Regionale della Corte dei Conti. Resta però fermo l’iter del piano di riequilibrio decennale, se i Comuni vi hanno chiesto di aderire.
    2.- la determinazione delle sanzioni per la violazione del patto di stabilità entra a far parte della materia di NEGOZIATO TRA STATO E REGIONE speciale. Le sanzioni sono il contraltare dell’impegno che, in materia di finanza pubblica, il nostro Paese ha assunto, al pari degli altri Stati membri, nei confronti delle istituzioni europee: impegno al quale sono chiamati a concorrere anche gli enti territoriali, autonomie speciali incluse”.
    Con la sentenza n. 219 del 19 luglio scorso, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la disciplina che detta le sanzioni per la violazione del patto di stabilità da parte delle Regioni. la Corte ha ritenuto che l’applicazione diretta di queste sanzioni anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome sia illegittima per eccesso dei limiti della delega in tema di federalismo fiscale (legge n. 42 del 2009). Infatti, detta legge riserva la determinazione di tali sanzioni ai singoli accordi che lo Stato deve definire con le Regioni speciali in materia di patto di stabilità. La Corte costituzionale ha censurato il modo e la sede normativa in cui sono state previste le sanzioni per la violazione del patto da parte delle autonomie speciali, ma SENZA ESCLUDERE, con ciò, che debbano PREVEDERSI SANZIONI in caso di violazione degli accordi da parte della singola Regione a statuto speciale.
    Anzi, a questo proposito proprio la Corte costituzionale ha ricordato che i principi di coordinamento della finanza pubblica, con particolare riguardo al concorso al risanamento dei conti pubblici e ai vincoli del patto di stabilità, sono cogenti anche per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome.
    In definitiva, la sentenza in esame non ha sancito che le Regioni a statuto speciale sono libere di gestire la finanza pubblica senza rispettare i vincoli derivanti da interessi primari, come l’unità economica della Repubblica, la quale risponde delle proprie politiche in materia all’Unione europea. IL NON RISPETTO DI VINCOLI O REGOLE, DUNQUE, CONTINUERÀ A COMPORTARE SANZIONI.

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