Caso Genovese-Rinaldi, ecco perché le condanne al processo Formazione

Caso Genovese-Rinaldi, ecco perché le condanne al processo Formazione

Alessandra Serio

Caso Genovese-Rinaldi, ecco perché le condanne al processo Formazione

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giovedì 18 Gennaio 2018 - 19:03

Alcuni passaggi delle motivazioni della sentenza del 23 gennaio di un anno fa che ha definito la condanna per la galassia familiare ed economica di Francantonio Genovese, implicata nello scandalo Formazione.

Sono state depositate due giorni da ed acquisita dalle parti oggi le motivazioni della sentenza di primo grado del processo Corsi d'Oro, un documento di 519 pagine con le quali il Collegio presieduto da Silvana Grasso (a latere Massimiliano Micali e Giuseppa Scolaro) spiegano perché sono state emesse le condanne, decise le assoluzioni, riqualificati i reati rispetto all'iniziale quadro accusatorio.

La prima cosa che balza agli occhi sono i "bolli" finali. 16 gennaio 2018 quello del deposito in cancelleria delle motivazioni, 23 gennaio 2017 quello della sentenza (leggi qui).

Malgrado si fossero riservati inizialmente 90 giorni, ai giudici è servito quasi un anno per ricostruire il processo, le indagini, i motivi giuridici del verdetto.

Agli avvocati, adesso, "fare i conti" per capire se il trascorrere del tempo ha portato beneficio a qualcuno degli imputati, in termini di prescrizione dei reati.

Il secondo aspetto che emerge chiaramente, ad una prima lettura della sentenza, è che malgrado la lunghezza del documento, la lettura non giuridica ma squisitamente giornalistica delle motivazioni è abbastanza semplice: i giudici, infatti, in grossa sostanza hanno confermato il quadro accusatorio delineato dalla Procura di Messina – in primis il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e il sostituto Fabrizio Monaco – nei confronti di Francantonio Genovese e dei suoi, della mente e braccio operativo del settore Elio Sauta e degli altri protagonisti del processo.

Le dichiarazioni rese dai testimoni al processo e dagli stessi imputati – non molti in realtà quelli che hanno accettato di farsi esaminare – secondo i giudici non hanno fatto altro che confermare le accuse che la Procura aveva dedotto dalla gran mole di intercettazioni telefoniche ed ambientali, dai tanti documenti contabili acquisiti, dalle consulenze effettuate sulle carte, sui bilanci e sui conti, dai periti della Procura, che vengono ritenuti fondati.

Poco hanno potuto, a scalfire questo quadro, spiegano ancora i giudici, gli argomenti del nutrito collegio di avvocati difensori. Ecco quindi alcuni passaggi.

Il collegio comincia delineando quale era la situazione del mondo formazione professionale, sia in base alle leggi che la regolavano che alle prassi, in particolare all'assenza di controlli e di assoluto caos che regnava all'interno dell'Assessorato, soprattutto nelle stanze dove veniva definito ed erogato il "budget" agli enti di formazione. Un caso descritto bene ai giudici da Ludovico Albert, il direttore generale dell'Assessorato chiamato dall'allorra Assessore Mario Centorrino proprio per rimettere ordine ne settore.

"…l’Aram era l’ente più costoso in Sicilia, circa 240 euro l’ora..", scrivono i giudici a proposito dell'ente di Elio Sauta, al centro dei passaggi finanziari e immobiliari passati ai raggi x dafgl investigatori.

Pagina dopo pagina, i giudici analizzano i vari reati contestati e le condanne decise, facendo leva sulle intercettazioni raccolte e sulle conferme emerse al processo.

A proposito dell'associazione a delinquere di stampo familiare, ad esempio, scrivono i giudici: "Nessun dubbio può sussistere sulla responsabilità degli imputati Genovese, Galletti, La Macchia, Schirò Elena e Giunta in ordine al delitto di associazione per delinquere. (..) Che Genovese fosse il vero dominus ed organizzatore del sodalizio criminoso (..)emerge evidente dagli atti. Sono particolarmente rilevanti le dichiarazioni rese in dibattimento da Ludovico Albert (…) Dimostrazione dello strapotere e dell’arroganza con cui il Genovese si muoveva nell’ambito dell’ambito della Formazione è quanto riferito dall’Albert riguardo, in particolare, al c.d Avviso 20."

A propisito del sistema formazione, i giudici continuano analizzando i passaggi della vita di tutti gli enti di formazione e le sigle collegate, descrivendoli come veri e propri strumenti utilizzati dagli associati per "dragare" i fondi pubblici.

"Per giustificare la predisposizione degli strumenti descritti, si è anche cercato di sostenere in dibattimento – scrivono i giudici – che, in fondo, quello svolto attraverso le onlus era un metodo diffuso per il recupero di consenso attraverso l’allestimento dei corsi che avevano la funzione di avvicinare l’elettorato di cui necessita la politica. Vi è però che la funzione sociale propria delle onlus era estranea alla gestione affaristica degli enti posta in essere nei casi di specie per evidenti e ampie esigenze di recupero economico e che, se anche l’utilizzo come sistema di avvicinamento dei corsisti poteva non essere estraneo al meccanismo posto in essere, esso era un obiettivo del tutto residuale e collaterale rispetto ai risultati economici che la organizzazione criminale si proponeva in primis di conseguire e che concretamente conseguiva. (…)

Il Collegio ricorda che l’Accusa contesta a tutti gli associati di far parte di un’associazione “..solida, complessa, stabile, duratura, dotata di strumenti e mezzi non comuni in grado di sostenere l’operatività a tempo indefinito per la promozione di una serie illimitata di delitti atti a procurare continuativi incrementi economici elevatissimi ai danni della Regione Siciliana. Ciò è sicuramente", scrivono i giudici.

In questa associazione ognuno aveva un ruolo, pienamente provato col processo, secondo i giudici,e finalizzato agli scopi dell'associazione di generare profitto. Associazione capeggiata sicuramente da Genovese. Anche in questo caso, secondo i giudici, le prove vengono dai risultati concreti delle indagini e dalle deposizioni in aula, nel corso del processo.

"Schirò Elena, cognata di Genovese Francantonio e moglie di Rinaldi Francesco si legge nel provvedimento – è uno dei personaggi più operativi e onnipresenti nella gestione delle onlus e delle società di capitali facenti capo al Gruppo Genovese".

Il Collegio poi "certifica" come provata in pieno la tentata concussione ai danni di Albert – inizialmente indagato e poi archiviato, passando quindi a parte offesa nel processo. Tentata concussione "pienamente provata", anche alla luce delle dichiarazioni di Salvatore La Macchia, allora capo di Gabinetto di Centorrino, anche lui condannato, che ha confermato come si discuteva degli attcchi politici alle gestionedell’assessorato, gestione che veniva considerata fallimentare da parte del gruppo Genovese, visto il "voltafaccia" di Albert.

Alessandra Serio

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