Il caso kafkiano dei pensionati del Policlinico "vessati" dall'Inps: assegno dimezzato

Il caso kafkiano dei pensionati del Policlinico “vessati” dall’Inps: assegno dimezzato

Rosaria Brancato

Il caso kafkiano dei pensionati del Policlinico “vessati” dall’Inps: assegno dimezzato

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giovedì 27 Ottobre 2016 - 07:15

Sono andati in pensione negli anni scorsi, in base a diritti acquisiti e consolidati, ma improvvisamente, da un anno, l'Inps di Messina, unica ad applicare una disposizione a macchia di leopardo, chiede la restituzione di parte del TFS e ha dimezzato l'assegno mensile

La storia che stiamo per raccontare è ai limiti del kafkiano ed è finita all’attenzione della Corte dei Conti e del Tribunale del lavoro.

La storia inizia negli anni scorsi, quando un gruppo di dirigenti non medici del ruolo sanità, dopo una vita dedicata al lavoro al Policlinico sono andati in pensione.

Fino ad allora, da personale universitario che presta servizio in un Policlinico, hanno versato contributi come previsto dalla legge ed hanno immaginato la loro vita da pensionati con serenità, in base a progetti personali che ognuno coltiva nel cuore.

Fino a quando non è arrivata l’Inps di Messina che da oltre un anno in base a provvedimenti che sta applicando a macchia di leopardo e contestati sia nel merito che nel metodo, ha iniziato a trattenere ingenti somme dalle loro pensioni fino al 50%, contestando il TFS e disponendo anche il recupero di somme fino a 100 mila euro.

In pochi minuti quella che doveva essere una tranquilla vecchiaia si è trasformata in un incubo burocratico inspiegabile. Così una trentina di pensionati del Policlinico si è recata dagli avvocati per chiedere giustizia. Nel frattempo si vede tolta ogni mese dalla pensione una cifra che varia dai 400 agli 800-900 euro mensili. Praticamente, secondo l’Inps, in attesa che la magistratura chiarisca chi ha ragione, gli ex dirigenti dovrebbero vivere di aria.

Ma andiamo per ordine, aiutandoci sulla base dell’esposto che attraverso gli avvocati Fernando Rizzo e Andrea Vadalà hanno presentato alla Corte dei Conti.

Grazie ad una legge del ’79 il personale universitario che presta servizio presso i Policlinici ha avuto diritto ad un’indennità di equiparazione al personale delle Unità sanitarie locali (oggi divenute Asp). Nel 1981 quell’indennità di equiparazione è diventata, dopo una sentenza della Corte Costituzionale, pensionabile. E’ cioè utile ai fini sia della buonuscita che della pensione, ovvero ai fini previdenziali. Il Policlinico di Messina si è adeguato alla norma e con una delibera del ’94 ha equiparato i dirigenti non medici versando i relativi contributi ed aumentando l’orario settimanale a 38 ore.

Dal 2009 al 2015 quindi i protagonisti di questa storia kafkiana sono andati regolarmente in pensione ed hanno ricevuto sia il TFS che l’assegno mensile in base a quanto previsto da quell’equiparazione.

Fino a quando, un mattino di oltre un anno fa, una trentina di loro, non sappiamo ancora in base a quale criterio (dal momento che in pensione con quelle stesse caratteristiche e ruoli ne sono andati 150 e nello stesso arco di tempo), hanno iniziato a ricevere lettere dall’ufficio Inps di Messina con le quali veniva contestato l’indebito arricchimento. Stando all’Inps infatti quei calcoli su pensione e trattamento di fine pensione erano sbagliati e quel diritto acquisito da 30 anni, ovvero l’ indennità di equiparazione, non aveva alcun valore nonostante la sentenza della Corte Costituzionale del 1981.

C’è di più: l’Inps ha chiesto la restituzione di somme che vanno dai 40 mila ai 100 mila euro ai singoli pensionati, trattenendole mensilmente alla fonte ed ha anche decurtato la pensione in base ai nuovi calcoli. Il tutto ignorando qualsiasi forma di “appello” o di controdeduzione, nonché il fatto che in alcuni casi sono trascorsi 5 anni dall’erogazione del TFS (e quindi la somma non può più essere richiesta dall’Inps). Il testo unico n°1032 del ’73 prevede che il TFS può essere revocato o rivisto solo entro un anno dall’erogazione.

Le stranezze non finiscono qui. L’INPS di Messina è l’unica sede in Italia ad aver agito così e peraltro solo nei confronti di un gruppo di ex dirigenti non medici del Policlinico. Lettere analoghe non sono più arrivate nei confronti di altri dirigenti non medici andati in pensione anche nello stesso periodo dei ricorrenti. Dei 150 andati in pensione dal 2005 ad oggi al Policlinico, negli stessi ruoli, solo 30 hanno ricevuto le lettere che hanno trasformato la loro vita in tragedia.

“Nel corso della nostra vita-scrivono nell’esposto- abbiamo potuto disporre di una retribuzione che ci ha permesso d’improntare la nostra vita patrimoniale ed affettiva contando sul fatto che, anche andando in pensione, avremmo potuto far fronte ad impegni di spesa già effettuati, come mutui, prestiti, mantenimento dei figli all’università. Ma adesso l’Inps vuole indietro somme dai 70 ai 300 mila euro accusandoci di indebito arricchimento”.

Al di là delle conseguenze sul piano psicologico del trovarsi la pensione dimezzata e nel vedersi richiedere la restituzione del TFS, la cosa che li ha spinti a rivolgersi alla Corte dei Conti ed al Tribunale del lavoro è l’essere considerati dall’Inps quasi dei ladri, nonostante una vita di lavoro e di regolare versamento dei contributi.

Gli uffici di Messina si basano sull’applicazione retroattiva di una norma che però, nello stesso testo normativo esclude le posizioni giuridiche ed economiche già conseguite, come sono appunto quelle maturate dai pensionati del Policlinico di Messina sin dal ’94, data della delibera di equiparazione.

Nell’esposto alla Corte dei conti gli avvocati Rizzo e Vadalà evidenziano come solo la sede di Messina abbia intrapreso queste iniziative di recupero e solo a macchia di leopardo. Proprio per questo chiedono che venga accertato un eventuale danno erariale da parte dei funzionari che hanno intrapreso tali azioni. Se infatti i magistrati dovessero ritenere illegittima la richiesta dell’Inps, dovranno essere restituite tutte le somme e pagate e spese legali con gli interessi. Se invece l’azione dell’Inps verrà considerata legittima il danno è causato dal fatto che la misura di recupero non è applicata per la generalità dei soggetti in posizione analoga né a Messina né in Italia. In entrambi i casi c’è danno erariale.

In una delle note che Rizzo e Vadalà hanno inviato all’Inps vengono richiesti: “1)i criteri con i quali gli uffici hanno individuato i destinatari dei provvedimenti, escludendone altri nelle medesime condizioni giuridiche 2)se i funzionari preposti all’azione di recupero godano d’incentivi o premi produttività in relazione a tali attività intraprese nei confronti dei nostri assistiti”.

Il Tribunale del lavoro a novembre ha fissato le prime udienze, mentre il percorso alla Corte dei conti è appena iniziato.

Nel frattempo ci sono intere famiglie che non dormono, angosciate sia perché con 300 euro di pensione non si può che sopravvivere, sia perché da persone perbene ed in regola con il fisco, sono stati trattati alla stregua dei 40 ladroni.

Resta da chiedersi come a fronte di questa vicenda kafkiana ci sono persone che invece la notte dormono sonni sereni.

Rosaria Brancato

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