Rigore e sacrifici, ma per quale idea di società?

Rigore e sacrifici, ma per quale idea di società?

Aldo Liparoti

Rigore e sacrifici, ma per quale idea di società?

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venerdì 29 Giugno 2012 - 14:04

L’impegno di risanamento dei conti dello Stato imposto ai cittadini con un discutibile grado di equità e la riduzione dei diritti sociali ed economici verso quale obiettivo sono rivolti? Non è indifferente saperlo quando si chiedono pesanti sacrifici.

“Ce lo chiede l’Europa!”. Quante volte abbiamo sentito e certamente continueremo a sentire queste parole, come se fossero risolutive di qualunque discussione: questa cosa va fatta!
E’ indiscutibile che portare i conti in ordine sia indispensabile per un sistema-Paese, come per un sistema-azienda, come per una famiglia e per i singoli individui. Avere i conti in ordine, cioè non essere in condizioni che conducano al dissesto, in ogni caso è ineludibile ma non sufficiente, ossia dev’essere una condizione, un presupposto per qualche altra cosa. Allora, la domanda è: quale Europa lo chiede e per fare cosa? Quindi, a seconda delle reali finalità, come deve avvenire il riordino?
Lo chiede un’Europa (quali Stati, leader, partiti, lobby) per perpetuare e accrescere diseguaglianze se non addirittura iniquità, ricchezze di pochi contro povertà e incertezze di tanti, oppure lo chiede un’Europa che vuole il risanamento per raggiungere maggiori livelli di solidarietà ed equità?

Dalle risposte a queste interrogativi deriva coerentemente come fare il risanamento. Coloro che hanno un po’ di confidenza con i riequilibri di conti aziendali sanno come si può procedere, a seconda delle finalità, con ristrutturazioni da costi o da ricavi o ancora miste, con logiche cioè quasi liquidatorie o al contrario espansive della crescita e dello sviluppo.
In altri termini, quale Europa ci chiede cosa per ottenere cos’altro? Questo è il vero e cruciale punto.

Fuor dagli equivoci, il percorso di rigore avviato dal governo Monti non aveva né ha alternative per evitare di cadere nel baratro in cui ci stava conducendo il suo predecessore con i suoi orchestrali e ballerini da Titanic. Ma questo rigore è stato ed è abbinato a giuste dosi di equità? I sacrifici che ne derivano sono veramente ripartiti con eque dosi? Ancora: il progressivo risanamento dei conti è propedeutico a cosa? All’Italia che più solidamente si vuol basare sulle diseguaglianze o all’Italia che si avvii a tessere una società meno egoistica e più solidale; più solidale, tanto per fare uno dei tanti e gravi esempi, con i lavoratori di Termini Imerese e più dura, invece, nei confronti di corruttori e concussori?

Le risposte vanno ben al di là dei “conti in ordine che ci chiede l’Europa” e devono venire dalla politica che si renda realmente sensibile ai cittadini che si fanno sentire. Ma la politica è ancora capace di ascoltare? I cittadini di farsi sentire? Qui sta il nodo decisivo.

Il parlamento ha legiferato il 27 giugno, con la cosiddetta riforma del lavoro, l’attenuazione delle tutele già previste dal 1970 contro i licenziamenti giudicati illegittimi (non ritenuti né considerati, si badi, ma giudicati illegittimi con sentenze della magistratura!). A cosa serve questa innovazione? Quale Europa ce lo chiede e per far cosa? Cosa c’entra con il risanamento dell’economia e delle finanze del Paese?

Si può dire, allora, con un altro tormentone apodittico, che “ce lo chiedono i mercati”. Chi sono in concreto? Ce lo chiedono, forse, quei pochi che dal 2006, con crescente e incontrastata mancanza di scrupoli, stanno giocando con la vita di miliardi di persone manipolando flussi finanziari e schierando nei loro eserciti agenzie di rating di cui frequentemente controllano l’azionariato? Ce lo chiede la grande speculazione? Per raggiungere quali risultati?

E’ arrivato il momento che le forze politiche europee e italiane affrontino apertamente questi temi, per misurare i propri consensi con chiarezza. Altrimenti si correrà il rischio di avere sì i conti ordinati, ma come le aiuole di un bel cimitero, che può esser tutto fuorché il luogo dove prospera la vita. Non vogliamo trovarci nei panni di Calgaco, lo sconfitto capo dei Caledoni che, parlando dei vittoriosi romani, disse: “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” (Dove fanno il deserto, dicono che è la pace – P. C. Tacito, La vita di Agricola).

P.s. A proposito di lavoro: è un diritto, ministro Fornero, non c’è refuso che tenga. E’ il diritto su cui si basa la Repubblica italiana, come sancito nelle sue fondamenta costituzionali. Art. 1: “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Art. 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Lei ha giurato fedeltà a queste norme, non lo dimentichi mai o si dimetta, ma – anche da semplice cittadina – non attenti alla Costituzione!

P.p.s. A proposito di diritti e di richieste dell’Europa: il 24 maggio scorso il parlamento europeo, a larga maggioranza e compreso il Ppe, ha chiesto agli Stati (tra cui l’Italia) che non l’abbiano già fatto, di “condannare con forza tutte le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” e di fare in modo che i diritti degli omosessuali “siano sempre rispettati garantendo appieno la loro protezione”. La risoluzione aggiunge che tali diritti sarebbero più tutelati “se queste persone avessero accesso a unione registrata o matrimonio”. Ecco uno riforma a costo zero, che metterebbe più in ordine i conti di civiltà, solidarietà e rispetto. Anche questo ci chiede l’Europa, con una visione che al rigore sostituisce la fraternità.

Aldo Liparoti

2 commenti

  1. In Italia, quando qualcuno dice le cose come stanno e presenta la realtà dei fatti per quella che è, scattano subito le “ribellioni” culturali e ideologiche.

    Faccio mie le parole di Pietro Ichino (che di sicuro non si può definire un libertario!):

    Ci sono tre modi di intendere il “diritto al lavoro”. Il modo burocratico: “se vai all’ufficio di collocamento, hai diritto a essere avviato a un lavoro, sulla base di una graduatoria”. Il modo sindacale: “Se hai un posto di lavoro, non puoi essere licenziato”. Il modo costituzionale: “lo Stato ha il dovere di creare le condizioni affinché tutti abbiano una opportunità di lavoro secondo le proprie capacità e la propria scelta”.

    Il primo lo abbiamo sperimentato per mezzo secolo, dal 1949 al 1997, con il nostro monopolio statale del collocamento: l’esperienza mostra che in quel modo, di fatto, abbiamo garantito soltanto il diritto dei collocatori alla bustarella. Il secondo lo abbiamo sperimentato per quarant’anni, dal 1970 a oggi, con l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: è il diritto a tenersi il proprio posto stabile quando lo si è trovato, ma non è affatto il diritto al lavoro stabile per chi ancora non lo ha trovato. Resta il terzo, ovvero il modo più serio e più impegnativo di intendere il diritto al lavoro: l’esperienza degli ultimi due secoli mostra che non vi è modo migliore per garantire a tutti una opportunità di lavoro secondo le proprie capacità e la propria scelta, che quello di un mercato del lavoro ben funzionante, fluido e innervato di servizi efficienti, in un sistema economico aperto.

    Come vede, altro che refusi! Qui si tratta proprio di comprendere a fondo cos’è un diritto (naturale, soggettivo, positivo o negativo che sia) e/o dovere.
    E’ evidente che l’intervento distorsivo dello Stato nell’economia degli ultimi 50 anni ha creato nelle menti della stragrande maggioranza degli italiani, la convinzione che esistano pasti gratis. Anche se questo – nei fatti – si tramuta solo nel posticipare alle future generazioni il costo di quei “diritti” (non esistono pasti gratis). Si parla solo di stato di diritto (che nel breve volgere di qualche anno si tramuterà in stato di miseria) e giammai di stato di doveri.

    Gli avvoltoi (leggasi speculatori), notoriamente, se non vedono/sentono sangue non si precipitano sulle prede. Passano oltre. Bisognerebbe smettere di confondere le conseguenze con le cause della crisi.
    La verità è che con l’ingresso nell’Euro, l’Italia avrebbe dovuto approfittare dei tassi di interesse rasoterra garantiti proprio dall’efficienza di quei paesi per cambiare registro sulla spesa pubblica e sull’elargizione di prebende a fini meramente clientelari: spendendo e spandendo come se non ci fosse un domani.
    Arrivati a un certo punto, la domanda se uno Stato è capace di pagare i suoi debiti (2milamiliardi!), ingessato com’è, qualcuno se la pone pure. Chi investe in titoli di Stato oggi, chiede – giustamente – una garanzia maggiore, visto che il rischio di insolvenza si acuisce. E questi investitori (che ora chiamiamo pure speculatori, sic!) che ci prestano i loro soldi rischiano seriamente di perderli!
    E’ noto a tutti che tra il 1999 e il 2010 (usando un banalissimo deflatore del PIL) la spesa pubblica reale non ha fatto altro che aumentare e aumentare, senza apportare un benché minimo sviluppo a questo paese.

    E ora che qualcuno parla di tagliare via 5-10 miliardi (una goccia nel mare) di spesa pubblica dopo che si è spremuto senza precedenti il settore privato, ecco che si parla di austerità!
    Fin troppo facile è, oggi, prendersela con la Germania, con le lobbies, con il complotto pluto-giudaico-massonico quando la colpa e le responsabilità dello sfascio italiano sono in primo luogo nostre, come cittadini, e dei rappresentanti politici che in questi decenni abbiamo scelto per rappresentarci.

    Tuttavia, per molti, la soluzione è semplice: continuare a credere nella favola che indebitarsi vuol dire benessere. Moneta fiat, inflazione, svalutazioni continueranno a pagarli i produttori veri di ricchezza: i privati additati alla stregua di malfattori e che continuano a pagare, venendo sempre più impoveriti, per uno Stato che ha miseramente fallito.

    Ad maiora.

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  2. Viviamo un tempo di politica immagine, dove gli ideali si materializzano con esse.Il colore della pelle del bravissimo Mario Balotelli sconfigge per sempre il razzismo della LEGA NORD, che ridurrà i consensi elettorali a percentuali insignificanti. L’omessessualità rivendicata da VENDOLA, non solo lo farà primeggiare nelle primarie di quel vasto schieramento che va dalla SINISTRA al CENTROSINISTRA,ma sconfiggerà per sempre l’omofobia della CHIESA CATTOLICA e della DESTRA erede del fascismo.La comicità sfrenata e gestuale di BEPPE GRILLO sta facendo piazza pulita della vecchia politica,quella rappresentata da Berlusconi e Bersani,senza bisogno di scrivere programmi e spendere un euro.L’immagine dei tanti vecchi presenti in tutte le istituzioni elettive, che pretendono di governare i giovani e di decidere il loro futuro, porterà quest’ultimi in massa in politica, li vedremo presto nei Comuni,nelle Regioni,in Parlamento.VOTIAMOLI

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