Mario Incudine: “Affidiamo i teatri agli artisti”

Mario Incudine: “Affidiamo i teatri agli artisti”

Domenico Colosi

Mario Incudine: “Affidiamo i teatri agli artisti”

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martedì 14 Marzo 2017 - 14:26

Intervista al cantautore ennese, incontrato a Palermo in occasione dello spettacolo Il casellante di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale

La guerra arriva anche nella remota Vigata. Il frastuono delle bombe su un’umanità in tensione; storie di mafia e spionaggio si affastellano nell’ordinaria routine della provincia. Si dipana in questo contesto la storia di Nino e Minica, coppia modello col sogno di dare alla luce un figlio dopo anni di attesa: incubi e tormenti in agguato mentre una metamorfosi è già in atto. Andato in scena al Teatro Biondo di Palermo, Il casellante è racconto corale che Andrea Camilleri e il regista Giuseppe Dipasquale restituiscono come ritratto epico delle incoerenze siciliane; sul palco un titanico Moni Ovadia, interprete di sei personaggi diversi, il cantautore Mario Incudine e l’attrice Valeria Contadino. Canti e serenate in serie, espressioni di una cultura popolare che si rinnova nel paradosso di un’apparente staticità fino al lirismo finale dell’ennesimo sogno fatto in Sicilia. “Un passaggio fondamentale nel mio percorso artistico perché riesce ad unire i miei due mondi, il cunto e la ballata – spiega Incudine, musicista, attore e direttore artistico del Teatro Garibaldi di Enna -. Sono cresciuto suonando il mandolino per le strade, sento questo personaggio mio in un senso profondo e particolare”.

Un adattamento che lavora su diversi piani espressivi.

Il casellante è uno spettacolo musicale che tende alla melopea greca: la melodia è parte integrante della drammaturgia, la parola cantata scava dentro l’umanità della narrazione. Dopo l’uccisione del bambino, Nino affida ad un’aria del dolore quella disperazione che poi sfocia nel cunto; anche la musica subisce una metamorfosi: il protagonista abbandona il mandolino per accordare la moglie come fosse il suo strumento prediletto. Camilleri e Dipasquale dipingono la tragedia come una favola per adulti, un’opera al contempo ilare e drammatica che accetta vari inserti popolari come la serenata a sconcica. Credo che questo lavoro non sia facilmente collocabile nelle classiche categorie teatrali, ma le attraversi tutte con una grande potenza espressiva.

Dopo Le supplici e Anime migranti si arricchisce la tua collaborazione artistica con Moni Ovadia.

In questi anni abbiamo dato vita ad un intenso scambio generazionale, formando così un sodalizio umano ormai indissolubile. Considero Ovadia tra le persone più importanti della mia vita, lo ammiro da quando ho visto per la prima volta il suo Oylem Goylem: in un certo senso mi ha passato un testimone artistico di cui devo far tesoro. In futuro proveremo a realizzare una rilettura musicale del Liolà pirandelliano e uno spettacolo sulla Sicilia sefardita: mondi e ispirazioni diversi che convergono in una poetica comune.

Quali politiche sono necessarie per irrobustire il percorso di circuitazione teatrale in Sicilia?

Cito un aforisma di Pino Caruso: “In Sicilia abbiamo tutto, è il resto che manca”. Ironia a parte, questo è un momento di grande salute per il nostro teatro, penso a quello che realizzano da anni realtà come la Rete Latitudini o il nostro ossimorico “Teatro Stabile diffuso” tra Enna, Caltanissetta, Noto, Modica e Marsala. Il vero problema non risiede nella mancanza di risorse economiche, ma nella carenza di strutture dove mettere in scena gli spettacoli. Credo sia oramai necessario far tornare in Sicilia i tanti artisti che hanno lasciato questa terra e coinvolgere quelli che qui lavorano in un piano di affido di teatri abbandonati e spazi idonei all’attività culturale: la nostra sfida è quella di porre le basi per un ricambio generazionale del pubblico. Conquistare finalmente nuovi occhi.

Cosa ne pensi della diffusione dei bandi a titolo gratuito nel mondo culturale?

Ad Enna ho accettato questa tipologia di incarico, ma è un caso particolare rispetto ad altre realtà poiché parliamo di un teatro di soli 300 posti. Discorso diverso a Messina se si considerano le complessità di un ente come il Teatro Vittorio Emanuele: di fronte ad un lavoro così articolato da svolgere con tante nodi da sciogliere, dagli orchestrali al sistema delle produzioni, credo sia doverosa una giusta retribuzione.

Prosegue il tuo sodalizio con il musicista barcellonese Antonio Vasta.

È la mia prosecuzione, credo rappresenti il 70% della mia cifra stilistica. Ci siamo conosciuti al DAMS di Palermo e da quel momento non ci siamo più separati. La provincia di Messina dovrebbe andare orgogliosa di una personalità di questo calibro: Antonio è uno di quegli artisti che rendono grande questa terra; non è un caso che De Gregori lo abbia voluto per la registrazione del suo ultimo album.

Domenico Colosi

2 commenti

  1. sarebbe peggio del Ministero della Sanità ai Medici ( De Lorenzo docet) ahahahahahahahahaaaaaaahahahahahah

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  2. sarebbe peggio del Ministero della Sanità ai Medici ( De Lorenzo docet) ahahahahahahahahaaaaaaahahahahahah

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