Preghiera per chi resta, vorrei che non dimenticaste

Preghiera per chi resta, vorrei che non dimenticaste

Alessandra Serio

Preghiera per chi resta, vorrei che non dimenticaste

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mercoledì 01 Ottobre 2014 - 07:56

Non c’è una maniera per farsi una ragione di simili tragedie. Non c’è. Ho osservato negli occhi il lutto delle madri, dei padri, dei fratelli, la rabbia mal celata che un dio contro cui imprecare non basta a ricomporre. Ecco a cosa servono le tombe, a che "serve" la memoria: a conservare quel che non si cancella lontano dall’anima abbastanza per non consumarla. Per questo vi chiedo di non dimenticare

Di loro ho conosciuto solo i nomi, Lorenzo e Francesco, scritti a penna nera grossa su due palloncini candidi, appesi alla bara della madre. E la sensazione di strazio devastante – come se per un attimo il fango mi fosse entrato anche nel cuore dilaniandolo – provata quando una signora, a Giampilieri, mi parlò di loro per la prima volta dicendo:“secondo me sono proprio sotto i tuoi piedi”. Poco lontano, appoggiato al davanzale di una finestra che una volta era al primo piano adesso s’apriva sul fango, all’altezza delle mie ginocchia, c’era il casco rosa e bianco che, mi disse sempre la signora, era della loro mamma “L’ho trovata io, camminando sul fango, pensavo fosse uno scalino invece era il suo corpo”.

Ecco cosa ti fa il fango. Ti sbriciola nel corpo, nella mente, cancella i ricordi e il futuro, spazza via passato e presente. Il padre ha seppellito la moglie, ora avrà dove poggiar il gomito per piangere fuori tutta la sua disperazione. L’angoscia che ti consuma dietro gli occhi, dentro il cervello, si fa largo nell’anima e la tara per sempre, quando perdi i tuoi figli, il tuo amore, è un pozzo senza fondo e tu puoi solo caderci. Solo, quell’uomo non ha alcun motivo, forse, per attaccarsi con le unghie e con i denti per evitare di scivolare giù. Ora ha almeno le tombe dei suoi piccoli per piangerci sopra.

Non c’è una maniera per farsi una ragione di simili tragedie. Non c’è. Ho osservato negli occhi il lutto delle madri, dei padri, dei fratelli, la rabbia mal celata che un dio contro cui imprecare non basta a ricomporre. Ecco a cosa servono le tombe, a che “serve” la memoria: a conservare quel che non si cancella lontano dall’anima abbastanza per non consumarla. Per questo vi chiedo di non dimenticare.

Vorrei che non dimenticaste. Non cancellate con l’oblio la disperazione, la rabbia muta e quella urlata, il peso del dolore che sfianca il corpo e viene scambiato per gelida rassegnazione, lo strazio di questa gente. Ricordatevi che oggi, nel momento in cui tutto crolla, per chi resta è quasi più semplice farsi forza, per evitare di implodere. E’ una forza primordiale a tenerli in piedi. Domani, l’istinto di sopravvivenza lascerà il posto ad un dolore sordo, allo smarrimento, l’angoscia di non sapere dove andare, cosa fare, ma soprattutto perché, dove cercare un senso a una vita che un senso non ce l’ha più, è rimasto sotto metri di fango, ridotto a brandelli. Domani affiorerà il tarlo del ricordo insieme la paura di scordare, quasi fosse il peggiore dei peccati, quasi il futuro cominciasse già con un tributo di sensi di colpa da scontare anticipatamente.

Oggi, mentre io, voi, tutto il mondo, abbiam spento le luci su quel che per noi è cronaca, pur tragica, i loro visi incrociano i nostri e noi non capiamo il perché di tanto silenzio dietro le parole, del perché non torna il sonno, disturbato dal fango che affiorerà dai loro corpi, nelle loro menti, nella loro anima.

Non si dovrebbe mai andare così vicino alla morte e tornare indietro. Sopravvivere è la peggiore delle condanne. I vivi troppo spesso non comprendono, e non comprendendo incidono ancor più profondamente ferite che a carne viva sono come un susseguirsi di elettrochoc.

Vorrei che non dimenticaste. Che non copriste le tombe con la terra fatta di carte di sentenze che non puniscono nessuno, tra mille anni, delle parole vuote della politica che tutto usa e dimentica, dell’ignavia di chi passa accanto ai sopravvissuti pensando che tutto ciò non li riguardi. Vorrei che non dimenticaste. E vi prego, pregando senza fede come forse le donne soltanto sanno fare, risalendo litanìe antiche fatte di promesse d’amore disattese, di figli che se ne vanno, di ventri che si svuotano. Vi prego di non dimenticare.

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