Di scena all'Ars l'inizio della Caporetto per la riforma delle Province

Di scena all’Ars l’inizio della Caporetto per la riforma delle Province

Rosaria Brancato

Di scena all’Ars l’inizio della Caporetto per la riforma delle Province

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martedì 07 Aprile 2015 - 22:02

Inizia tra tuoni e fulmini l'esame della riforma delle Province all'Ars. Un disegno di legge atteso per due anni, finito al centro delle polemiche dell'opposizione e dei sindacati che terranno un sit-in contro "la legge spot". Nel mirino dei 5stelle anche le indennità,dapprima abolite e adesso fatte rientrare dalla finestra.

Nel marzo del 2012 è stata annunciata in tv come “la prima riforma delle Province in tutto il Paese”. Due anni dopo il testo arrivato oggi all’Ars per un voto sul fil di lana (domani scade l’ennesima proroga per quelli che sono nel frattempo divenuti commissari-vicere) finisce al centro del fuoco incrociato delle opposizioni e delle fibrillazioni interne al partito, mentre Cgil Cisl e Uil annunciano il sit-in di protesta in difesa del personale il cui destino è più incerto di questa primavera. Oltre mille emendamenti alla riforma più annunciata e più modificata della storia e che si appresta a vivere una vera e propria Caporetto in Assemblea. Il disegno di legge sconta anche due anni di guerre ma soprattutto il fatto che ancora oggi la Finanziaria, ormai campo minato e ultimo baluardo prima del default, non è pronta per l’esame dell’Aula, anche perché dai vertici romani è apparso chiaro che mancano all’appello quasi 300 milioni di euro di tagli da aggiungere ai previsti 200. Il governo regionale sta lavorando di lima e forbice ma quando il testo della riforma delle Province è arrivato in Assemblea è esplosa la protesta del centro-destra: “Come facciamo a votare la riforma se non abbiamo ancora votato lo strumento finanziario?”. E’ stato un pomeriggio di scontri in Aula, liti che comunque non hanno aggiunto nulla di nuovo ad un testo che strada facendo ha “tradito” i presupposti iniziali al punto che gli stessi 5Stelle che due anni fa avevano salutato con favore il taglio agli sprechi, alla luce dei cambiamenti operati, si sono schierati per il no.

Mentre il governo la riforma l’ha già fatta senza tanti proclami in Sicilia la montagna ha partorito, anzi ancora no, continua ad avere in gestione, un topolino e non è detto che il lieto evento arrivi. Nel frattempo la parola caos rende in modo efficace quel che è successo sia negli Enti intermedi, che sono ex ma non del tutto, né quel che è accaduto in Aula. I primi a sparare a zero sono stati gli esponenti del centro-destra che hanno chiesto il rinvio dell’esame del ddl fino a quando non sarà votata la Finanziaria. Toni duri per l’ex presidente dell’Ars Francesco Cascio che non risparmia frecciate al governatore: “Crocetta non solo è inadeguato a guidare la Sicilia, ma è anche scollegato dalla realtà. A chi nel Pd lo contesta replica annunciando la riforma elettorale con la doppia scheda, con sé svincolato dai partiti. Evidentemente le sue abitudini non gli consentono di capire che anche i siciliani che lo hanno votato non lo vogliono più. Se oggi Crocetta si candidasse, riceverebbe l'1%cento. Dato da tutti i suoi nominati e destinatari di incarichi e prebende".

Immediata la replica del Presidente della regione: “Ho querelato per diffamazione una sola volta, ma sinceramente oggi, di fronte alle ennesime offese personali che Francesco Cascio fa nei miei confronti, lo voglio fare. Così, per educarlo alle buone maniere. Quelle buone maniere che non riesce ad avere, nonostante quella faccia da bravo ragazzo della prima Repubblica. Quando è troppo, è troppo. Cosi chissà, forse la prossima volta magari farà ragionamenti politici senza insultare".

Ma gli scontri sono tutti sul testo che tra l’altro finisce pure con l’ignorare quei referendum già svolti in alcuni Comuni e previsti inizialmente dalla riforma,e con i quali la popolazione avrebbe potuto dire la sua sull’adesione o sull’uscita ad un Libero Consorzio piuttosto che un altro. La confusione è anche sull’elezione di secondo grado, che viene prevista per la prima volta e lascia poi agli organismi decidere sul futuro,nonché su quelle indennità, due anni fa dichiarate “abolite” e adesso fatte rientrare dalla finestra con l’art. 20, per non parlare delle figure dei consulenti. Insomma un testo un po’ gattopardiano che ha finito con lo scontentare tutti, compresa la maggioranza di Crocetta con Cracolici che non sapendo come arginare i colpi si limita a dire: “Ma non si può dire che l’origine di tutti i disastri sia l’elezione di questa giunta nel 2012”.

Le incognite maggiori riguardano il futuro dei lavoratori,ma ci sono molte perplessità sulle funzioni, sulle risorse, sul fatto che il sindaco della Città Metropolitana sia anche sindaco di un altro comune quindi con un “peso” sulle spalle notevole. Insomma due anni di parole per essere peggio del punto di partenza.

Contrario,sin dall’inizio, Nello Musimeci “ E' una legge inutile e dannosa. Una delle più folli e delle più schizofreniche. Non chiude le Province, ma cambia solo il nome. Che non porta a risparmi ma forse accrescerà le spese. Per questo ddl ci sono voluti 760 giorni dal marzo 2013, quando da Ballarò, un ballerino-presidente della Regione, perché instabile nei suoi giudizi politici, ha detto: Abbiamo abolito le Province e abbiamo risparmiato 50 miliardi di euro… Di fronte a queste parole forse sarebbe stato il caso, lo dico con un eufemismo politico, di chiamare il 118".

Stessa posizione per Cantiere Popolare che attraverso Cordaro ha definito il testo arrivato in Assemblea una legge truffa:: "Abbiamo assistito a una occupazione militare della Sicilia. Dalle Province, al sottogoverno, alle partecipate. Più di trenta assessori, sei finanziarie in due anni, costanti valzer dei direttori generali. Le Province sono allo sfascio. Quella norma ha provocato danni al personale delle Province, ai disabili, alla stessa democrazia”.

Il M5S che due annifa aveva visto con favore gli albori di una riforma che ha cambiato pelle più di un serpente non hanno risparmiato strali: “Un bluff buono solo per i titoli sui giornali. La legge è una spolveratina alla legge 9 del 1986, un'alchimia che porterà a chiamare liberi consorzi le ex Province e nulla più. Non possiamo prendere in giro i cittadini spacciando qualcosa per quello che non è. Quella in discussione è pura restaurazione e conservatorismo. Si poteva fare tantissimo ed invece si è avuto paura di toccare interessi politici e di potere e i collegi regionali, si è preferito toccare il meno possibile assecondando i desiderata dei sindaci di Catania e Palermo, con tre città metropolitane di cartapesta e con grossi buchi sul fronte della gestione, della governance e della salvaguardia dei posti di lavoro. E' una spending review che inizia dal cittadino e là si ferma. Ci batteremo per fare rispettare la volontà dei Comuni che hanno tentato di decidere il loro futuro col referendum e che si sentono traditi dalla marcia indietro del governo”.

Oggi alle 16.00,alla ripresa dei lavori all’Ars si terrà il sit in di Cgil, Cisl e Uil “La riforma è uno spot che non risolve le questioni essenziali: la garanzia occupazionale per i lavoratori, l'individuazione delle risorse necessarie e le competenze da attribuire ai nuovi enti".

Crocetta ha già avvisato i “suoi”: chi vuol toglierlo dalla poltrona deve sfiduciarlo in Aula e lui in ogni caso è pronto al voto e sta già pensando alla doppia scheda, una per le liste ed una per il presidente. Ma tra Finanziaria e riforma delle Province il rischio è forte, con i renziani che tessono da tempo a Roma la tela per l’attacco frontale in autunno.

Rosaria Brancato

2 commenti

  1. Basta una legge di un solo articolo: “A decorrere dal giorno successivo al voto favorevole, le Provincie sono abolite ed il personale licenziato. Le competenze passano alla Regione Sicilia.”.
    George

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  2. Basta una legge di un solo articolo: “A decorrere dal giorno successivo al voto favorevole, le Provincie sono abolite ed il personale licenziato. Le competenze passano alla Regione Sicilia.”.
    George

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