Dieta ed endometriosi, un supporto alla terapia

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mercoledì 27 Febbraio 2013 - 18:27

Il più elevato consumo di acidi grassi insaturi (Omega 3) riduce il rischio di endometriosi del 22%, mentre al contrario un eccessivo consumo di acidi grassi saturi- “grassi cattivi”- può aumentarlo del 48%

L’endometriosi è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale al di fuori della cavità uterina. Ogni mese, ad opera degli ormoni prodotti dall’ovaio, questo tessuto presente in sede anomala subisce le stesse modificazioni dell’endometrio uterino, con sanguinamento che comporta a sua volta irritazione dei tessuti limitrofi.

Le conseguenze sono invalidanti,nel senso che la donna soffre di dolori mestruali, di infiammazioni ricorrenti con cistiti e coliti, di dolore all’evacuazione e prima e dopo l’atto sessuale. Specialmente quando aumenta il tessuto endometriosico. E’ chiaro che la terapia debba essere clinica o chirurgica,in specie nei casi più gravi.

Sicuramente un’equilibrata alimentazione e un giusto e regolare controllo della funzione intestinale favoriscono una vita sana e una minor incidenza di patologie croniche e degenerative.

Per quanto riguarda l’endometriosi, uno studio pubblicato su Human Reproduction dagli studiosi della Harvard Medical School di Boston, ha messo in evidenza come il più elevato consumo di acidi grassi insaturi (Omega 3) riduca il rischio di endometriosi del 22%, mentre al contrario un eccessivo consumo di acidi grassi saturi- “grassi cattivi”- può aumentarlo del 48%. Per cui è meglio ridurre il consumo di cioccolato e grassi saturi in genere, burro e grassi animali,così come di alimenti potenzialmente irritanti quali caffeina e carboidrati raffinati (di recente è stata dimostrata una correlazione tra carboidrati raffinati ed aumento dell’acidità così come degli stati infiammatori).

Così come è meglio ridurre l’eccesso di latte e di formaggi responsabili della produzione di ecosanoidi “cattivi” tipo le prostaglandine PGE2 e PGE2A alla base di alcuni processi infiammatori. Divorare quantità industriali di carne significa esaltare la produzione delle stesse prostaglandine PGE2A. Tra l’altro le carni possono anche contenere grosse quantità di inquinanti ambientali.

Bisognerebbe aumentare invece il consumo di pesce,soprattutto salmone e tonno (ricchi di Omega 3) e consumare frutta fresca (per l’apporto di vitamine) e secca, per l’abbondanza di acidi grassi polinsaturi che contribuiscono alla formazione di eicosanoidi “buoni” in grado di contrastare l’infiammazione correlata alla malattia (prostaglandina PGE1)

Perciò, se pure come difesa di contenimento, una sana educazione alimentare può quantomeno ridurre la sofferenza correlata alla malattia garantendo una migliore qualità di vita.

“Avvertenza: questa rubrica ha come fine quello di favorire la riflessione su temi di natura  nutrizionale e benessere Le informazioni e le risposte fornite dal Centro hanno carattere generale e non sono da intendersi come sostitutive di regolare consulenza professionale.”

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