Heath Quartet, visione romantica

Heath Quartet, visione romantica

giovanni francio

Heath Quartet, visione romantica

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martedì 16 Gennaio 2018 - 08:15

Un quartetto di eccezionale levatura protagonista al Palacultura

Un altro eccellente quartetto d’archi si è esibito domenica al Palacultura domenica, questa volta per la stagione musicale della Filarmonica Laudamo. L’ Heath Quartet, composto da Oliver Heath e Sara Wolstenholme al violino, Gary Pomeroy alla viola e Chris Murray al violoncello, ha proposto un programma di grande interesse per gli amanti della musica da camera.

Il concerto è iniziato con l’esecuzione di uno dei più riusciti quartetti di Franz Joseph Haydn, il Quartetto op. 76 n. 2 in re minore. Haydn, oltre che essere considerato il padre della sinfonia e della forma sonata, può essere tranquillamente definito anche il padre del quartetto d’archi – ne ha composti 68 – in quanto per primo ha portato questo genere musicale a quell’evoluzione della quale saranno debitori tutti i grandi compositori successivi, a partire da Mozart e Beethoven, cioè l’equilibrio delle parti suddivise fra i quattro strumenti. Tale equilibrio Haydn lo raggiunse già con i suoi quartetti op. 20 (i “Quartetti del sole”), ma lo portò alle sue vette più alte con i sei quartetti op. 76, composti nell’ultima fase della sua vita, fra il 1796 e il 1797, quando Mozart era già morto. Il secondo di questi è l’unico scritto in minore, tonalità che gli conferisce quel carattere proprio dello Sturm und Drang, che cominciava a pervadere in tutti i campi l’arte europea. Il quartetto è soprannominato “Delle quinte”, a causa degli intervalli ascendenti di quinta che caratterizzano l’incipit del primo movimento, “Allegro”, che rappresenta anche il tema principale, e conferisce a tutto il movimento un aspetto inquieto e drammatico. Dopo un secondo movimento di carattere più sereno, nella corrispondente tonalità maggiore, “Andante o piuttosto Allegretto” sviluppato attraverso variazioni basate su un lento tempo di Siciliano, ecco il “Menuetto: Allegro ma non troppo. Trio” di nuovo in minore, sorprendentemente sinistro, forse il minuetto più “serio” scritto da Haydn, conosciuto anche come “minuetto delle streghe”. Il “Finale: vivace assai”, che inizia anch’esso in minore, conclude invece il quartetto in maniera luminosa. Eccellente l’esecuzione dell’Heath Quartet, quattro artisti perfettamente amalgamati, impeccabili negli unisono, autori di una interpretazione personale, molto sentita, direi entusiasmante.

Curiosamente i musicisti hanno suonato in piedi, contrariamente alla prassi esecutiva del quartetto d’archi, (ma spesso suonano in piedi i musicisti del Quartetto Emerson, uno dei più prestigiosi quartetti d’archi esistenti) ad eccezione ovviamente del violoncellista, che tuttavia ha suonato su una piattaforma rialzata, per collocare il violoncello all’altezza degli altri strumenti. Il quartetto ha poi eseguito il Quartetto n.4 di Jorg Widmann, autore tedesco contemporaneo, in unico movimento. Si tratta di un quartetto composto secondo i canoni moderni, ove la musica si allontana dalla tonalità, fino a diventare sperimentale, con gli esecutori che producono “rumori” oltre che suoni, fruscii prodotti agitando gli archetti all’indietro. Il continuo ricorso al pizzicato, il carattere mesto ed enigmatico della composizione, assai interessante, rivela con assoluta evidenza il modello seguito: i sei quartetti di Bela Bartok. La seconda parte del concerto è stata dedicata all’esecuzione del Quartetto op. 11 in re maggiore di Petr Ilic Cajkovskij, nei tempi “Moderato e semplice”; “Andante cantabile”; “Scherzo: Allegro non tanto e con fuoco”; “Finale: Allegro giusto”. È il primo dei quartetti del musicista russo, di impronta lirica e romantica, ove sono presenti sia gli elementi della musica colta occidentale, da Beethoven a Mendelssohn, ma anche Mozart, tanto amato da Cajkovskij, sia gli elementi della musica popolare russa. Tale commistione dà vita ad una musica tenere ed affettuosa, intima e malinconica, inconfondibilmente “Cajkovskiana”. Molto bello, e giustamente celebre, il secondo movimento “Andante cantabile”, una romanza basata su un tema popolare, intrisa di intensa poesia, con un nostalgico e commovente secondo tema accompagnato dal pizzicato del violoncello, un brano che commosse Lev Tolstoj.

Straordinaria ancora una volta l’esecuzione del quartetto, interpretazione intensa e sofferta, che ha strappato entusiasti applausi del pubblico; peccato per la mancata concessione del bis.

Giovanni Franciò

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