Filarmonica Laudamo, una scelta coraggiosa

Filarmonica Laudamo, una scelta coraggiosa

giovanni francio

Filarmonica Laudamo, una scelta coraggiosa

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mercoledì 19 Ottobre 2016 - 07:14

La musica colta per eccellenza inaugura la nuova stagione concertistica: sul palco del Palacultura il Quartetto di Cremona con il giovane Quartetto Echos

Scelta coraggiosa quella della Filarmonica Laudamo di inaugurare la stagione concertistica con un quartetto d’archi, il genere più colto e “difficile” della musica da camera. Per di più il concerto si caratterizzava per una sorta di esperimento, in quanto nella prima parte il programma prevedeva l’esibizione di quattro giovani musicisti, allievi del quartetto di Cremona, mentre nella seconda parte entravano in scena i maestri del prestigioso quartetto, integrati però da un componente del quartetto giovane, il violoncellista, per eseguire il quintetto di Schubert. Infine il programma presentava un repertorio assai impegnativo e per nulla popolare, sebbene di altissimo valore artistico.

Tale scelta, se da un lato è stata premiata da una più che soddisfacente affluenza di pubblico, dall’altro, purtroppo, non è stata assistita da altrettanta attenzione e competenza di parte del pubblico stesso, che ha avuto il disdicevole vezzo di applaudire alla fine di ogni movimento, disturbando alquanto l’altra parte più attenta di pubblico, e probabilmente deconcentrando i giovani musicisti del Quartetto Echos (Andrea Maffolini e Ida Di Vita violini, Giorgia Lenzo viola, Martino Maina violoncello) che non hanno così fornito una prova memorabile. Apparsi singolarmente dotati, troppo spesso si è avvertita la sensazione di una mancanza di amalgama, di un suono non proprio pulito. Alcune sbavature si sono avvertite già nel Langsamer Satz (Movimento lento), il primo brano eseguito, composto da un giovane Anton Webern, intriso di quella vena poetica e decadente che accompagnerà tutte le composizioni del musicista austriaco, anche quando si distaccherà dal sistema tonale, abbracciando gli insegnamenti della scuola di Schoenberg che lo porteranno a comporre solo musica dodecafonica e seriale. Anche nel bel quartetto in la minore di Johannes Brahms, op. 51, n. 2, gli allievi non sono apparsi a loro agio, forse troppo giovani per affrontare il più equilibrato e maturo dei quartetti di Brahms, ma soprattutto disturbati dai rumorosi applausi, del tutto fuori luogo, al termine di ogni movimento. È il caso di dire che nella seconda parte del concerto abbiamo assistito a ben altra musica. Infatti il Quartetto di Cremona (Cristiano Gualco e Paolo Andreoli, violini, Simone Gramaglia, viola, Giovanni Scaglione, violoncello, integrato dal giovane violoncellista Martino Maina), ha eseguito superbamente il quintetto D956, op. postuma di Franz Schubert, regalandoci delle emozioni indimenticabili. Il quintetto in do maggiore per due violini, viola e due violoncelli appartiene alle supreme creazioni della musica da camera di tutti i tempi, e costituisce in tal senso il testamento spirituale di Schubert. Composto probabilmente uno o due mesi prima della precocissima morte del musicista, vide la sua prima rappresentazione ben ventidue anni dopo, al Musikverein di Vienna. Ascoltando il lunghissimo primo movimento Allegro ma non troppo, dalla durata di oltre venti minuti (ma parliamo di quella divina lunghezza schubertiana, come definita da Schumann) già dalla lenta e quasi maestosa introduzione, che precede il bellissimo tema principale, si ha immediatamente l’impressione di stare per assistere a qualcosa di grandioso. Il tema subentra del tutto naturalmente, come per magia, quasi una cantilena dolcissima, serena ma velata di quella malinconia propria dell’ultimo Schubert. Lo sviluppo è denso di accenti ora drammatici, quasi a ritmo di marcia, ora dolcissimi, e il tessuto armonico si arricchisce di quella forma antica, il contrappunto, che Schubert aveva cominciato a studiare sul finire della propria parabola musicale, e che purtroppo non ci è dato sapere a quali risultati lo avrebbe condotto. Commovente è la ripresa del tema dopo l’intreccio dello sviluppo, introdotta dal ritorno dell’introduzione a sua volta preceduta da splendidi arpeggi del violoncello.

I musicisti, a parte qualche piccola e trascurabile imperfezione in alcuni punti, hanno interpretato splendidamente il brano, rispettando esattamente l’indicazione Allegro ma non troppo, ed anche il giovane violoncellista è sembrato ben amalgamato con gli illustri colleghi, veri mostri sacri nel panorama della musica cameristica italiana. Dopo un movimento che raggiunge vette così elevate sembrerebbe impossibile che la musica si mantenga allo stesso livello, e invece il momento centrale e culminante della composizione deve ancora venire. L’Adagio rappresenta infatti l’apice del quintetto: dopo una prima parte ieratica, solenne nella sua mistica bellezza, quasi statica, scandita dal pizzicato del violoncello, ecco irrompere con violenza uno dei temi più struggenti mai composti, concitato, che sfocia in un’accorata frase del violino, alla quale rispondono tre note strazianti del violoncello, quasi il rimpianto di ciò che poteva essere e non è stato. Senza voler fare voli pindarici letterari, che in musica sono sempre azzardati, ogni volta che ascolto questo brano mi vengono in mente i celebri versi di Leopardi “Ahi Pentirommi, e spesso, ma sconsolato, volgerommi indietro”. Lo Scherzo, così come l’Allegretto finale, pur interrompendo l’insostenibile tensione creata dall’Adagio, si mantengono ad altissimi livelli, con quei ritmi di danza austriaca, quelle atmosfere proprie del clima Biedermeier, appartenenti a molte composizioni giovanili di Schubert, un mondo spensierato, ma che ora avvertiamo come trasfigurato, con un’ombra di inquietudine, di amarezza, si pensi in particolare all’enigmatico Trio del terzo movimento (interpretato splendidamente e con i giusti accenti dai musicisti); è la fine del bel mondo viennese, visto, agli occhi del compositore, come ormai lontano, perduto per lo sfortunato musicista, che di lì a poco avrebbe trovato la morte, a soli trentuno anni. Impeccabile, e molto sentita, l’interpretazione di tutto il quintetto, musicisti apparsi perfettamente amalgamati, strepitosa, a mio avviso, l’esecuzione degli ultimi due movimenti. Impossibile eseguire un bis dopo un pezzo simile, che ha concluso pertanto il concerto.

Giovanni Franciò

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