Il tendagate e quel che resta del clima da "volemose bene" dell'estate 2013

Il tendagate e quel che resta del clima da “volemose bene” dell’estate 2013

Rosaria Brancato

Il tendagate e quel che resta del clima da “volemose bene” dell’estate 2013

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giovedì 10 Settembre 2015 - 06:58

Quel che resta del clima dell'estate 2013 è ben poco. Quel che resta dei 40 consiglieri è la metà, quel che resta della giunta è una rivoluzione al palo, quel che resta dell'idillio tra Aula e amministrazione è un coro di richieste di dimissioni.

Dalla seduta durata 6 ore e conclusasi in modo burrascoso emerge un dato: poco o nulla resta di quell’estate 2013, di quell’atmosfera di speranza, di quel clima da “volemose bene”, di quell’annuncio di rivoluzione.

Quel che resta adesso è una frattura profonda tra amministrazione e consiglio, una giunta rimasta ferma al palo degli annunci del 2013 e che adesso si sente sotto assedio, un’Aula che dopo 2 anni di silenzio-assenso oggi nel puntare il dito sul fallimento della rivoluzione registra anche il suo. Finito il clima da “tarallucci e vino” anche se il gioco delle parti, come lo hanno chiamato Nina Lo Presti e Gino Sturniolo vedrà ancora andare in scena lo spettacolo sotto “la tenda” (per restare in tema), ed ognuno sarà bravo ad interpretare il suo ruolo, anche inconsapevolmente, fino in fondo.

Due anni dopo quell’estate in cui si respirava ottimismo, fiducia, dialogo, aria di cambiamento, quel che resta è una città attraversata dalle emergenze, che assiste all’inasprimento ideologico di ogni questione, allo scontro tra fazioni. La stagione di pacificazione e di confronto ha lasciato il posto agli integralismi, ai toni accesi, all’aggressione verbale. Resta poco o nulla di quei giorni, con un’amministrazione sfilacciata che ha perso gran parte della sua base ma ha imparato bene le regole di quella politica che voleva cambiare, resta poco della maggioranza bulgara persino più ferrea dei soli “4” di CMdB del 2013 e soprattutto dei quei 40 resta pochissimo, meno della metà. Quel che resta di quel 2013 è un coro che reclama dimissioni e sfiducia al quale il sindaco risponde rinviando a mercoledì, di fronte ad un’Aula vuota,non la sua replica quale capo dell’amministrazione, ma quella di tutti, facendosi da scudo e dandosi un’altra settimana di tempo per dare riscontro ai consiglieri.

Ma la crepa c’è e solo i prossimi voti in Aula diranno fino a che punto è “quella strategia della distrazione”, ricordata da Nina Lo Presti, che invece di far accendere i riflettori sui veri problemi li fa puntare sul tendagate o se l’idillio è finito.

QUEL CHE RESTA DEL CONSIGLIO

Nell’estate del 2013 i consiglieri erano 40. Ieri ad inizio seduta, per quello che doveva essere il primo forte confronto con sindaco e assessore Ialacqua, i presenti erano 32. Quando Accorinti ha detto “buongiorno” erano scesi a 29 ed i primi allergici a qualsiasi forma di presenza che vada oltre l’inserimento del tesserino, si erano già dileguati alla chetichella. Tra il primo intervento, quello di Trischitta e l’ultimo, quello di Risitano il numero è sceso a 15. Alle 18.30 quando si è capito che il sindaco non intendeva replicare da solo ed è andato via il numero è sceso a 11, ed infine, a contestare il rinvio a mercoledì sono stati in 5. Ecco quel che resta dei “40” valorosi eletti del 2013. La giunta, sindaco e assessori hanno ascoltato la metà dei 40 lanciare le freccette a turno, ma li hanno visti andar via uno per uno. A pochissimi interessava sapere cosa avrebbe risposto Accorinti alle loro richieste di dimissioni o di sfiducia, a meno che, sin dalle 13.30 non avessero avuto la sfera di cristallo e previsto che alle 19.20 Accorinti avrebbe deciso di replicare 7 giorni dopo.

Passare da 32 a 11 presenti è una mancanza di rispetto verso l’amministrazione, verso i colleghi che sono rimasti e verso la città e i messinesi.

Quel che resta è uno sparuto gruppo di meno di 20 consiglieri, ma è su quello che conta l’amministrazione ed anche Messina. E’ giusto sottolinearlo, i consiglieri non sono tutti uguali, così come non lo sono tutti gli amministratori, né del passato né del presente. Chi resta dopo 2 anni, chi è rimasto fino alla fine, non può essere messo sullo stesso piano di chi usa verso le Istituzioni lo stesso rispetto che ha quando getta una carta per terra.

QUEL CHE RESTA DELLA RIVOLUZIONE

Della cartolina del luglio 2013 resta ben poco. Gli ultimi tratti di colore li ha cancellati Mantineo con il suo j’accuse. Il tendagate ha messo a nudo le fragilità e gli equivoci di una rivoluzione annunciata e di una giunta che sotto il profilo dell’immagine si identifica con un solo uomo, Renato, e con un solo verbo “il migliore dei mondi possibili”, per dirla alla Lo Presti, che non accetta confronto o critiche. Un’intera Aula ha chiesto le dimissioni dell’assessore Ialacqua e non per il tendagate ma per il degrado in cui versa la città, l’ex maggioranza ha parlato di mozione di sfiducia, per mancanza di progetti e di fatti, il sindaco ha rinviato le risposte ma sono questi i due punti, come suggerito a fine serata da Mondello sui quali il sindaco deve riflettere. E’ un dato politico su cui una giunta politica (come di fatto lo è diventata 2 anni dopo) deve ragionare. Alle 19.35 Santalco ha dichiarato: “La colpa della questione tenda è di Signorino che era assente, se ci fosse stato avrebbe impedito all’assessore Ialacqua di partecipare alla manifestazione degli antagonisti”. Una frase che la dice lunga sugli equilibri interni alla giunta e sulla fase di sfaldamento tra le varie anime che la compongono, nonché sull’effettivo ruolo del sindaco.

QUEL CHE RESTA DELL’IDILLIO GIUNTA-CONSIGLIO

Saranno i voti su Tari e Tasi, sui bilanci che erano stato annunciati da Accorinti a gennaio “ci metto la faccia, li porteremo in Aula a marzo” a dire se sarà opposizione vera o tarallucci e vino. Ma da ieri indietrononsitorna e far finta che la frattura non ci sia sarebbe da ingenui persino per chi, come questa giunta, si è sempre trincerata dietro le differenze con i “brutti e cattivi” del passato.

Da Trischitta a De Leo passando per Faranda il giudizio sull’amministrazione è stato netto, senza appelli e si è basato su quel che è oggi Messina e su quel che resta del programma del 2013 e di un ritornello diventato dogma.

“Lei si definisce sindaco fuori dal Comune-ha detto Mario Rizzo- e secondo me lei è davvero rimasto fuori da Palazzo Zanca nel 2013”, e dai banchi Pd mentre Paolo David, ha annunciato la mozione di sfiducia Nicola Cucinotta ha riletto il programma accorintiano elencando tutto ciò che non era stato fatto. E se Elvira Amata ha invitato Ialacqua “a farsi un giro nei cimiteri piuttosto che andare ai sit-in”, Adamo, si è soffermato sull’individualismo di un’amministrazione che non può più basarsi solo sulla “narrazione” della vita del suo leader “lei ancora una volta ci ha raccontato l’epopea della sua vita, che è stata bellissima e ne siamo lieti, ma adesso in questa sua vita bellissima c’è anche l’amministrare. Lo faccia”. Stessi argomenti per Claudio Cardile “senza poesia, senza enfasi, si serva dei suoi 40 anni di battaglia per un processo di beatificazione, noi non abbiamo bisogno di un piccolo Budda, ma di chi ci tolga da questa miseria”. Il mantra della cravatta è stato ricordato come strumento mediatico per apparire e come alibi per non entrare nei luoghi dove si decidono le sorti della città e parlare di contenuti piuttosto che di accessori d’abbigliamento. Al sindaco tutti i capigruppo hanno ricordato che rappresenta tutti e non una parte. E alla sfida di Accorinti “sfiduciatemi” ha risposto Daniele Zuccarello “non le forniremo il modo per passare per martire. La sfido io, si dimetta, dimettetevi ammettete il vostro fallimento, andiamo tutti a casa. Ma prima puliamo insieme quelle scritte vergognose sui muri. Se Adamo è infame lo sono anch’io”.

A tenere banco è stato il tendagate e le “varie versioni” dei fatti, ma è chiaro che l’idillio tra amministrazione e maggioranza non c’è più. “Caro sindaco non si può essere promotore finanziario e contestatore delle banche nello stesso tempo” ha detto Adamo, “c’è un Accorinti diverso per ogni interlocutore diverso” ha tuonato la Lo Presti.

Quel che resta del 2013 è la fine dell’idillio, è Accorinti che davanti ad 11 consiglieri dopo 6 ore di contestazioni decide di rinviare e di farsi da scudo degli assessori. “Sindaco mi aspetto che lei risponda subito e non abbia bisogno di prepararsi altri 5 giorni cosa dire. Mi aspetto che risponda subito e lo faccia lei” ha detto Donatella Sindoni, una dei 5 consiglieri rimasti fino alle 19.45.

Un sindaco deve sentire di rappresentare tutta la giunta e gli assessori devono sentirsi rappresentati dal sindaco.

E’ al capo dell’amministrazione, al leader carismatico che i consiglieri si sono rivolti ponendo questioni concrete e attinenti al programma da lui presentato nel 2013.

Non era un question time.

Ma anche questo fa parte di “quel che resta dell’estate del 2013.”

Rosaria Brancato

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