Il Riesame conferma la scarcerazione di Cattafi: le motivazioni

Il Riesame conferma la scarcerazione di Cattafi: le motivazioni

Alessandra Serio

Il Riesame conferma la scarcerazione di Cattafi: le motivazioni

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mercoledì 02 Marzo 2016 - 18:27

Ecco perché il Tribunale ha detto no alla Procura che, contro la sentenza della Corte d'Appello di Messina, avrebbe voluto che Cattafi restasse al 41 bis.

Rosario Cattafi resta libero. Il tribunale del Riesame – presidente Genovese, ha respinto l’appello della Procura Generale, che aveva chiesto al collegio di rivedere il provvedimento col quale la Corte d’appello, l’11 dicembre scorso, ha scarcerato Saro Cattafi, fino a quel giorno al regime del carcere duro. La Procura ha chiesto la revoca di quel provvedimento, ma il Tribunale si è detto sostanzialmente non legittimato ad entrare nel merito di quella decisione.

In primo luogo per ragioni procedurali e di diritto: la scarcerazione della Corte d’Appello si basa sulla sentenza d’appello del processo Gotha 3. Sentenza che condanna Cattafi per associazione mafiosa, ma non gli riconosce il ruolo di “boss”, e quindi fa cadere le aggravanti che ciò comporta, e soprattutto limita tale “mafiosità” al 2000, poiché nel ’99 Cattafi viene arrestato, rimane in carcere per lungo tempo, e i pentiti che lo accusano poco sanno dire del suo ruolo nel periodo successivo.

Il Riesame specifica che il provvedimento che decide della libertà personale dell’imputato – in questo caso la scarcerazione – viene “assorbito” dalla sentenza. E non può il Tribunale del Riesame entrare nel merito della sentenza. Il Riesame rigetta le obiezioni della Procura anche nel punto in cui contesta alla Corte d’Appello “l’assoluzione” per il periodo successivo al 2000 perché per giurisprudenza uno dei presupposti per dichiarare tale “assoluzione” è dimostrare concretamente la dissociazione dalla famiglia criminale.

Il Riesame, rileggendo le motivazioni della sentenza dei giudici di secondo grado, sottolinea infatti che questi ultimi hanno rilevato che non solo mancano le prove della sua associazione mafiosa al periodo successivo al 2000, ma anche per il periodo immediatamente precedente, successivamente al ’93, le accuse mosse dai pentiti si “diradano”, diventano meno contestualizzanti e probanti.

Lo stesso vale per le accuse mosse dal pentito Carmelo D’Amico in relazione al caso di Attilio Manca, la cui morte risale al 2004, quindi al periodo successivo. Morte nel quale avrebbe avuto un ruolo appunto Cattafi, per questo la Procura ha depositato al Riesame i verbali del collaboratore relativi a questa vicenda. Anche in questo caso, però, ribadisce il Riesame, valgono le stesse “perplessità” espresse in relazione alle dichiarazioni dei pentiti.

Così come non basta a dire che c’è un pericolo concreto ed attuale tale da ripristinare un provvedimento di carcerazione per Cattafi sol perché lo stesso non soltanto è stato comunque condannato per mafia ma rinviato a giudizio per un’altra vicenda, poiché in questo secondo caso si tratta di una calunnia, peraltro legata ad un risvolto processuale.

Insomma, il “colletto bianco” che si muoveva tra clan e apparati informativi dello Stato per il momento resta dov’è, fuori dal carcere.

(Alessandra Serio)

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