Nel far west dei cartelloni pubblicitari tante stranezze, danni erariali e imprenditori inferociti

Nel far west dei cartelloni pubblicitari tante stranezze, danni erariali e imprenditori inferociti

Nel far west dei cartelloni pubblicitari tante stranezze, danni erariali e imprenditori inferociti

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giovedì 13 Ottobre 2011 - 00:59

Nessun impianto è a norma, il primo inadempiente è il Comune e chi vuole mettersi in regola trova comunque ostacoli. Anche giovani imprenditori ai quali viene suggerito di «lasciar perdere». Perché? Le testimonianze di chi "lotta" in questo settore

Lo abbiamo definito il “far west” della cartellonistica pubblicitaria (VEDI QUI)e a ragion veduta: se gli uffici comunali stessi ammettono che tutti gli impianti cittadini sono, di fatto, abusivi e se questa “deregulation” prosegue da anni, come altro definire una situazione dai molti lati oscuri? Già, perché nel ricostruire tutti i vari passaggi di questo caotico settore della vita amministrativa del Comune viene fuori un dato: che è proprio il Comune il primo e più grave inadempiente. Andiamo indietro. In base a quanto previsto da una legge del 1993 (parliamo di diciotto anni fa), il Comune è obbligato ad adottare un apposito regolamento per l’effettuazione del servizio delle pubbliche affissioni. Regolamento dal quale dovrebbero emergere le tipologie e il numero degli impianti pubblciitari, le modalità per ottenere l’autorizzazione e lo “scheletro” del Piano generale degli impianti. Prima inadempienza: il Comune avrebbe dovuto adottare il regolamento entro il 30 giugno 1994, lo ha fatto solo nel dicembre 2006. Seconda inadempienza, anzi, qui si può parlare di grossolano errore: Palazzo Zanca prima adotta il Piano generale degli impianti (12 dicembre) e poi il regolamento (28 dicembre), invalidando automaticamente il primo, che infatti viene annullato dal Cga. Cga che “boccia” anche il regolamento per alcuni vizi sostanziali, che sono stati poi riveduti e corretti nella nuova formula del regolamento, approvata dalla giunta Buzzanca il 30 giugno 2010. E il Piano generale degli impianti? Per quello ancora si attende, in una recente conferenza dei servizi il dirigente dell’Urbanistica ha manifestato l’opportunità di affidarsi ad un tecnico esterno, ma siamo di fronte ad una nuova incongruenza: il 4 marzo 2010 il consiglio comunale, su proposta della Giunta, ha approvato una delibera con oggetto “Modifica al Piano generale degli impianti”. Si tratta della modifica che ha equiparato, di fatto, le parafarmacie alle farmacie. Il punto di domanda, piuttosto ovvio, è: come si fa a modificare (rendendo immediatamente esecutivo l’atto, tra l’altro) un Piano che non c’è? Mistero. Uno dei tanti.

Anzi, troppi. In numero tale da creare una sorta di giungla dove finisce per prevalere la legge del più forte e il singolo imprenditore si trova spiazzato, perché non riesce ad operare. E fioccano, questo è ovvio, i contenziosi. Il titolare della Start Affissioni srl, ad esempio, Tommaso Marchese, ha presentato un atto extragiudiziario sulla vicenda. Marchese, insieme a Salvatore Drago dell’Aspes (un’associazione di categoria), dopo il nostro articolo ci ha spiegato caos è aumentato, se vogliamo, è aumentato da quando, nel 2011, è stata abrogata la Tassa occupazione del suolo pubblico (Tosap) ed è stato approvato il regolamento comunale che ha istituito il Canone di occupazione di suolo pubblico (Cosap). Il valore degli impianti veniva calcolato in metri lineari ma, al tempo stesso, veniva esentato l’impianto al di sotto del mezzo metro quadro. Motivo per cui la Start (così come altre ditte) si riteneva esentata dal pagamento, ritenendo al tempo stesso legittimamente rinnovate le concessioni. Poi ecco le prime richieste di pagamento dal Comune, per il periodo 2003-2009: inevitabili i ricorsi, tutt’oggi pendenti. Ma la Start, ha spiegato Marchese, è andata oltre: «al solo fine di non cessare l’attività, abbiamo provveduto ad attenerci alle prescrizioni del Comune, pagando con riserva». Nonostante questo, la concessione non può essere rinnovata, perché non esiste il Piano generale degli impianti. E tutti gli altri? Marchese sintetizza così nell’atto extragiudiziario: «L’inerzia del Comune ha consentito l’esercizio di concorrenza sleale da parte di tutte quelle aziende che, risparmiando il pagamento del canone, possono effettuare una politica dei prezzi decisamente fuori mercato, dirottando in loro favore risorse che potenzialmente potrebbero incrementare il fatturato della nostra società».

Sarebbero più di 600 gli impianti senza concessione, con perdite per le casse comunali che, negli ultimi cinque anni, supererebbero i 6 milioni di euro di canoni non pagati. «Soldi che il Comune rischia di non vedere mai – ha sottolineato Drago – perché i mancati accertamenti effettuati nel tempo rendono nulle le richieste relative agli anni precedenti». Gli imprenditori, poi, si chiedono perché un impianto a Messina debba costare 22 volte un corrispettivo a Palermo, in netto contrasto con la redditività offerta da una città ben più grande della nostra, capoluogo di Regione. Qui un impianti 6 per 3 arriva anche a costare 4 mila euro, con la grande differenza costituita proprio dal Cosap. «Le regole ci sono, c’è pure diversità di applicazione e di interpretazione», è l’analisi di Drago. Marchese parla apertamente di «comportamento omissivo da parte della Pubblica amministrazione». E il Comune che fa? «Il sindaco non ci ha mai ricevuti in tre anni», la risposta, indispettita e a braccia aperte, dei due.

Che non sono gli unici a lamentarsi. Perché in una città che si piange addosso andando dietro alle solite storie delle “fughe di cervelli” e dei “giovani che scappano” perché non hanno opportunità, proprio dei giovani, che investono denaro e parecchio, si ritrovano costantemente coi bastoni tra le ruote in virtù di quel “far west” di cui sopra. Un altro caso emblematico legato all’affaire impianti pubblicitari, infatti, è quello di Giuseppe Gazzara, altro imprenditore che ha fatto causa al Comune (finendo per rivolgersi anche alla Procura). Nell’agosto 2010 Gazzara avanzava richiesta a Palazzo Zanca per la collocazione di un impianto in viale Annunziata, sulla parete dello stabile privato Casa Famiglia Regina Elena, proprio all’altezza della rotatoria (è lo schermo che in molti avranno visto, passando di lì). «Sin dal primo giorno – racconta Gazzara – ho riscontrato un atteggiamento teso a rendere il nostro intento il più complicato e difficile possibile». “Lasci perdere”, la frequente risposta del funzionario del Comune, nonostante una prima e parziale disponibilità a seguire la pratica. Gazzara montava comunque l’impianto, forte del parere del proprio avvocato. Il giorno stesso interveniva il funzionario di Palazzo Zanca intimando di smontare subito la struttura per mancanza di autorizzazione (come «metà degli impianti in città»). Il giovane imprenditore oscurava l’impianto e “aggirava” l’ostacolo trasformandolo in quotidiano murale multimediale, con tanto di direttore responsabile. Niente da fare, la “guerra” col Comune continuava. Gazzara faceva notare che anche il Comune stesso aveva installato degli schermi identici al suo e forse non a caso da allora il primo dei due, in via Garibaldi (nei pressi del Catasto) è spento, mentre l’altro (a piazza Duomo) non è stato mai acceso.

«Com’è possibile – si chiede Gazzara – che un giovane di 31 anni venga costretto ad abbandonare un’attività per la quale ha investito 60 mila euro per decisione di un funzionario? Come può un funzionario consigliarmi di fare causa al Comune in quanto inadempiente e quindi farmi vedere come ottima prospettiva un risarcimento cospicuo da parte dell’ente che rappresenta? Perché una situazione così semplice da regolarizzare viene (forse) volontariamente non risolta?». Perché il problema è sempre quello. Nessun impianto è a norma. Lo ha sottolineato lo stesso giovane imprenditore nel suo esposto alla Procura: «Si ogni cartello o mezzo pubblicitario autorizzato deve essere saldamente fissata una targhetta metallica sulla quale sono riportati amministrazione rilasciante, soggetto titolare, numero dell’autorizzazione, progressiva chilometrica del punto di installazione. In realtà le mie indagini personali non sono riuscite ad identificare un solo cartello pubblicitario avente regolare targhetta identificativa». Abusivi, non a norma, ma “intonsi”, a differenza di altri impianti regolarmente “castigati” (come quello di Gazzara ce ne sono altri, sempre di giovani imprenditori, come lo schermo di viale della Libertà). Nel caos è più facile muoversi. E nel far west vince sempre il più “forte”.

3 commenti

  1. il comune è inadempiente sul Piano di protezione civile, figuriamoci il Piano generale degli impianti pubblicitari…

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  2. marianna.muscara 13 Ottobre 2011 09:00

    Dovrebbero pagare di tasca propria questi amministratori INCAPACI ED INETTI…e messi li chissà come…

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  3. Questo governo cittadino, gli amministratori ed i politici messinesi, ogni giorno dimostrano sempre più di essere “boyscout”

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