C'è sempre un Hitler dietro l'angolo

C’è sempre un Hitler dietro l’angolo

Gigi Giacobbe

C’è sempre un Hitler dietro l’angolo

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lunedì 18 Febbraio 2013 - 08:51

La resistibile ascesa di Arturo Ui di Brecht al Teatro Verga di Catania sino a domenica 24 febbraio. Bella regia di Claudio Longhi nel ricreare una sorta di Kabaret mitteleuropeo

Quando Adolf Hitler nel 1933 vince le elezioni e diventa il capo assoluto della Germania, Bertolt Brecht fugge in esilio per varie città europee, si ferma nel 1941 in Finlandia in attesa d’imbarcarsi per gli Stati Uniti e scrive in tre settimane La resistibile ascesa di Arturo Ui. Una gangster-story sotto forma di farsa, giusto per chiarire al mondo i fatti che portarono Hitler al potere. Così Berlino diventa la Chicago degli anni ’20 e ’30 in cui prospera l’industria delle verdure, in particolare dei cavolfiori, l’Austria si trasforma nella vicina città Cicero pullulante di sicàri senza scrupoli simili alle squadracce naziste e il capo dei gangster Arturo Ui si metamorfosa lentamente in Hitler. Non prima d’essere a lezione da chi gli insegnerà quanto sia importante conoscere quei testi shakespeariani riguardanti il “Riccardo III”, “Macbeth” e anche il “Giulio Cesare”, lì dove Marco Antonio, accanto al corpo ancora caldo di Cesare morto ammazzato con 23 coltellate, reciterà quel pistolotto che attiene l’elogio agli uomini d’onore compreso Bruto. Personaggi teatrali che serviranno ad Arturo Ui per affinare meglio la sua ascesa al potere, costruirsi un immagine più consona ad un boss che come una piovra allunghi le sue branchie negli organismi statali e acquisire le giuste aderenze del potere politico e finanziario. Lo spettacolo, di 150 minuti con intervallo, messo in scena da Claudio Longhi in bello stile espressionista, quasi da kabaret mitteleuropeo, da sembrare a volte un musical, con maschi in smoking, femmes fatales in abiti da sera e dai riccioli biondi, qualche travestito in guêpière, numeri d’avanspettacolo o da luna park, immagini che possono rinvenirsi in alcuni disegni di Grosz o di Otto Dix, trova il suo milieu nella grottesca interpretazione di un grande Umberto Orsini, atletico e in formissima da non credere possa avere 79 anni, una specie di Al Capone dai vari toni vocali e con un ghigno tipo il “Padrino” di Marlon Brando, da somigliare ad una caricatura del Führer quando con una matita nera infoltisce a vista i peli della sopracciglia, si dipinge sul labbro superiore della bocca inequivocabili baffetti neri, indossa poi un parrucchino con riga di lato e infine un cappello da terzo Reich dalle fogge militaresche. E anche se Orsini afferma di non rifarsi a nessuno gangster famoso, il suo personaggio somiglia ad un dittatore dei nostri giorni, ad un leader pagliaccio e sbruffone, identificabile con una figura circense che racconta barzellette e scopre di poter dire e fare ogni cosa soltanto cambiando look, capigliatura, dentatura e modi di essere. Un po’ quello che Charlie Chaplin realizzò nel suo film “Il Grande Dittatore”, coevo del lavoro di Brecht, che satireggiando intelligentemente demolisce gradualmente il potere nazista. C’è anche da dire che oltre ad Orsini-Ui-Hitler anche gli altri personaggi, quasi delle marionette futuriste, sembrano delle controfigure del mondo reale di quei tempi, colti spesso a cantare song brechtiani, ballare e suonare strumenti vari, dalla fisarmonica al banjo, dal sax al trombone. Lo sgherro di Arturo Ui, Ernesto Roma ( Lino Guanciale ) è Ernst Röhm; Dogsborough (Michele Nani) è Paul von Hindenburg; Giuseppe Givola (Luca Micheletti) è Joseph Goebbels, Emanuele Giri (Giorgio Sangati) è Hermann Göring e così via. A Longhi non sfugge il senso epico della sua messinscena ed ecco allora che ogni scena dello spettacolo è arricchito da cartelli luminosi con didascalia che spiegano le dinamiche correlate all’ascesa al potere di Hitler e quando prende fuoco il magazzino delle verdure in realtà si vuol fare riferimento all’incendio scoppiato nel Reichstag, il parlamento del Reich di allora. Accanto ai già citati protagonisti meritano d’essere citati Diana Manea che interpreta un trio di donne, Simone Francia, Olimpia Greco, Ivan Olivieri, Nicola Bortolotti, Antonio Tintis. La scena di Antal Csaba si compone d’un quantitativo esagerato di cassette per la frutta in plastica bianca, composte e ricomposte in varie fogge e altezze dagli stessi protagonisti che giocano pure a tirarsi in faccia grandi quantità di cavolfiori sparsi tutti intorno alla scena e lungo tutto il proscenio. I costumi di Gianluca Sbiccia sono eleganti e consoni con i tempi in cui si raccontano i fatti. Le musiche originali di Hans-Dieter Hosalla si mischiano a quelle di Chopin, Eisler, Strauss, Kurt Weill e altri ancora. Spettacolo gradevole, divertente, applaudito calorosamente alla fine dall’attento pubblico del Teatro Verga, Stabile di Catania, dove lo spettacolo verrà replicato sino a domenica 24 febbraio.- Gigi Giacobbe

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