Pierluigi Battista: “Non esiste una Storia infetta”

Pierluigi Battista: “Non esiste una Storia infetta”

Domenico Colosi

Pierluigi Battista: “Non esiste una Storia infetta”

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sabato 19 Marzo 2016 - 08:38

Intervista al giornalista del Corriere della Sera Pierluigi Battista, autore del libro autobiografico “Mio padre era fascista” presentato a Messina presso la libreria Feltrinelli

Da una parte il poster di Tommie Smith e John Carlos sul podio dei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico, dall’altra un pacchetto di Lucky Strike o il boogie-woogie trasmesso alla radio, simboli del tradimento e della sconfitta. Un giovanissimo giornalista imbevuto di afflati rivoluzionari ed un avvocato fieramente fascista iscritto al MSI, cultore dell’architettura razionalista e di linguaggi e costumi da preservare di fronte alle invadenze anglofone. A Messina per presentare alla libreria Feltrinelli “Mio padre era fascista” (Mondadori) con la scrittrice Nadia Terranova e il direttore artistico di Naxoslegge Fulvia Toscano, il giornalista del Corriere della Sera Pierluigi Battista si intrattiene tra ricordi personali e narrazioni di un mondo al tramonto: il limes tra giusto e sbagliato, cronache di una lacerante guerra civile rimaste perdute nel solco della Storia. “Da ragazzo imputavo a mio padre persino la morte di Antonio Gramsci”, racconta Battista, “dopo lo scioglimento del MSI a Fiuggi ho provato a comprendere le ragioni di un orientamento politico così orgogliosamente manifesto e inconsuetamente esibito se raffrontato a quello di tanti altri fascisti rimasti nell’ombra o opportunisticamente transitati dalla parte del vincitore”.

Mettersi a nudo per raccontare una storia così intimamente famigliare. Quali le motivazioni più profonde?

Oggi, ancor di più rispetto agli anni della grande incandescenza ideologica, è necessario raccogliere quelle testimonianze di vite comuni inserite nell’alveo della grande Storia italiana. Nessun eroismo in determinate posizioni politiche, ma modi di vivere differenti alla norma da recuperare dal cono d’ombra dell’infamia.

Cos’è rimasto della concezione fascista della vita negli attuali costumi degli italiani?

Il fascismo ha lasciato in eredità soprattutto cose non dette, nessuno ha mai voluto fare veramente i conti sul consenso popolare ottenuto da Mussolini: nel dopoguerra molti hanno provato a nascondere le tracce di un’intera epoca. Il fascismo e l’antifascismo, comunque, sono discorsi chiusi che non possono più infiammare alcun tipo di scontro ideologico.

Perché nel nostro paese appare sempre come una forzatura raccontare la storia degli sconfitti?

Gli italiani badano molto alla convenienza ed è dunque difficile narrare la storia di chi ha perso. Come diceva Flaiano, i nostri connazionali amano sempre volare in soccorso del vincitore. Per aggiungere un’altra citazione, sono interessanti in questo senso anche le celebri parole di Simone Weil: “La verità diserta il campo del vincitore”. In Italia questo accade con maggior frequenza.

In una stagione profondamente post-ideologica qual è il ruolo della letteratura di impegno civile?

La passione civile non corrisponde alla passione ideologica: determinati avvenimenti, penso ad esempio ai moti risorgimentali, sono stati oramai storicizzati ed acquisiti nel sentire comune, al di là delle appartenenze politiche. Cambiano i riferimenti: se in passato abbiamo discusso di fascismo, comunismo e guerra fredda oggi stiamo vivendo un momento “post” poiché particolari processi storici sono giunti definitivamente a conclusione.

Le manovre tra Mondadori e Rizzoli e l’assorbimento dei quotidiani La Stampa e il Secolo XIX da parte di Repubblica possono minare la libertà di informazione?

La garanzia della libertà di informazione risiede nel pluralismo: questa garanzia non consiste nel rapporto con l’editore, ma nella possibilità di poterlo cambiare agevolmente. Le recenti fusioni non intaccheranno il pluralismo: da una parte si è creato un blocco del 32% per quella che volgarmente possiamo chiamare Mondazzoli, dall’altro uno del 68% costituito dagli altri editori; personalmente ho la possibilità di pubblicare i miei libri con chi desidero. Come giornalista non mi spaventa affatto la concorrenza con il nuovo imponente gruppo Repubblica: aumenterà solo la volontà di superare quotidianamente un avversario così agguerrito.

Domenico Colosi

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