Forgione: "L'antimafia trasformata in fabbrica di icone è crollata. E' tempo di verità"

Forgione: “L’antimafia trasformata in fabbrica di icone è crollata. E’ tempo di verità”

Rosaria Brancato

Forgione: “L’antimafia trasformata in fabbrica di icone è crollata. E’ tempo di verità”

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lunedì 27 Febbraio 2017 - 08:51

L'ex presidente della Commissione nazionale antimafia affronta nel suo libro gli errori di quel movimento che si è trasformato in una fabbrica di falsi miti e della necessità di rifondarlo lontano dai talk show.

Lentamente, anche se non è semplice indicare l’inizio di questo percorso, l’antimafia si è trasformata in una fabbrica di icone, di miti che si sono autoproclamati detentori dell’unica verità e che hanno utilizzato la loro posizione per costruire carriere ed un sistema di potere intoccabile.

E’ di questa fabbrica di icone che l’ex presidente della Commissione nazionale antimafia Francesco Forgione, racconta la genesi e le peculiarità, ma soprattutto le conseguenze che si ripercuotono sulla credibilità e validità di una battaglia che è lontana dall’essere vinta definitivamente.

Ha scelto un titolo per il suo libro, presentato a Messina in una sala consiliare di Palazzo dei Leoni affollata da tantissimi giovani: I tragediatori, che in gergo mafioso indica chi finge di essere quello che non è. U tragediaturi è colui che non racconta la verità e si costruisce un “personaggio” utile all’occorrenza. In oltre 20 anni l’antimafia ha creato alcuni di questi “tragediatori” e il 2015 è stato l’anno che ne ha svelati numerosi, squarciando il velo sulla necessità di ripensare l’antimafia stessa.

“C’è stata una deriva, un uso strumentale della giusta indignazione verso la mafia per acquisire ruoli, fare carriera e che ha ridotto l’antimafia ad una fabbrica di icone. Nel 30esimo anniversario del noto articolo di Sciascia (ndr.la mafia dell’antimafia), che pure sbagliò la critica a Borsellino, dobbiamo dire aveva avuto l’intuizione giusta”, ci racconta Francesco Forgione a margine dell’incontro organizzato dall’associazione Artù e dalla libreria Bonanzinga.

Nel libro Forgione si sofferma in particolare su alcune figure “simbolo” di questo crollo dei miti dell’antimafia e che non a caso sono esponenti di categorie che affollano i movimenti della lotta ai clan, magistrati, giornalisti, associazioni, imprenditori. Il 2015 (con code nel 2016) è stato l’anno del caso di Silvana Saguto (ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo), accusata di corruzione e concussione, dell’icona antimafia Roberto Helg, (ex presidente della Camera di commercio di Palermo arrestato mentre chiedeva una tangente ad un commerciante), dei vertici di Confindustria Sicilia Antonello Montante (indagato per concorso esterno alla mafia) e Ivan Lo Bello (coinvolto nelle indagini in Basilicata), del giornalista Pino Maniaci (direttore di Telejato arrestato per estorsione)o ancora gli scontri interni a Libera, legati alle dichiarazioni del pm anticamorra Catello Maresca. E infine quel dibattito interno alla stessa Commissione antimafia (non dimentichiamo le audizioni del professor Lupo) che si è finalmente interrogata sull’incapacità di esprimere punti di vista diversi rispetto ad un gruppo che si è autoproclamato detentore della verità.

“Penso a Montante che per anni ha deciso ruoli e persone all’interno delle giunte regionali di governo-prosegue Forgione- e ha dato patenti di legalità e oggi è indagato. Penso alla Saguto che gestiva uno dei settori fondanti della lotta alla mafia come quello dei beni confiscati. A Maniaci divenuto una vera e propria icona. Si è creata una fabbrica che ha creato un sistema di potere. Penso all’uso che ha fatto una parte della magistratura di questa proiezione pubblica. Penso ad Ingroia e ribadisco che la magistratura deve essere autonoma ed indipendente rispetto alla politica. Le inchieste e i processi si fanno nei tribunali non nei salotti tv. Il magistrato non ha un ruolo etico. Per anni abbiamo visto negli stessi talk show insieme Ingroia, Travaglio e Massimo Ciancimino. Il problema è che i giovani hanno creduto a tutto questo e di fronte al crollo delle icone dobbiamo interrogarci. Come Commissione antimafia abbiamo sbagliato anche noi perché abbiamo subito l’egemonia di questi antagonisti. Lo abbiamo fatto anche perché in quegli anni Berlusconi ha basato tutta la sua politica attaccando i magistrati, ha condizionato un dibattito. Su Libera il discorso è diverso. Deve poter aprirsi il dibattito interno, sulla natura del movimento e sulla necessità di un’autonomia e indipendenza totale. Il movimento antimafia ha bisogno di scrivere una pagina nuova. La politica deve assumersi le responsabilità e fare un’operazione di pulizia senza delegare alla magistratura ed il mondo dell’informazione che tanti falsi miti ha creato, deve avere un ruolo chiarificatore. L’errore è stato nostro, ma ci sono centinaia di sindaci, associazioni antiracket, migliaia di persone che possono costruire questa nuova pagina antimafia. Con rigore e lucidità”.

Il danno maggiore è stato fatto ai giovani, a quelle generazioni nate negli anni delle stragi e che hanno conosciuto l’antimafia delle carriere e delle passerelle (denunciate nell’estate 2015 dallo stesso Manfredi Borsellino) e che oggi assistono sgomenti, privi quasi di strumenti per decifrare il futuro.

Andrea Faraone, Giuseppe Ziino, dell’associazione Artù hanno pensato a questi crolli nell’organizzare insieme a Daniela Bonazinga l’incontro con Forgione, moderato dal giornalista Francesco Celi, alla presenza di numerosi magistrati, del procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino di Tano Grasso (tra i pionieri dell’antiracket), del parlamentare Francesco D’Uva (componente della Commissione antimafia) ed introdotto dal presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone.

“E’ un libro coraggioso questo di Forgione, perché fa nomi e cognomi- ha detto Ardizzone- I giovani oggi conoscono i magistrati che vanno nei talk show e che rilasciano decine d’interviste. Il libro invita a riflettere anche sul ruolo dell’informazione. Io penso che dalle macerie si può sempre ricostruire, ma l’antimafia non può essere fatta nelle aule dei tribunali, quella è la verità processuale. Non può essere fatta in tv. I magistrati non fanno audience, non fondano partiti. Altrimenti poi potrebbe venire il dubbio che quel giusto lavoro processuale lo hai fatto pensando ad altro, alla politica. L’antimafia si fa ogni giorno esercitando il proprio ruolo, pensando alla propria coscienza e lontano dai riflettori”.

Rosaria Brancato

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