Barcellona anno zero, protagonisti e analisi del dopo D'Amico, il killer pentito

Barcellona anno zero, protagonisti e analisi del dopo D’Amico, il killer pentito

Alessandra Serio

Barcellona anno zero, protagonisti e analisi del dopo D’Amico, il killer pentito

Tag:

lunedì 28 Luglio 2014 - 09:13

Gli scavi a Mazzarrà alla ricerca dei corpi uccisi dal boss Carmelo D'Amico fanno trapelare in anticipo la notizia del suo pentimento. Ecco chi è "U cacciaturi" e chi trema. L'appello di Città aperta agli imprenditori liberi

"Un validissimo motivo per sperare in una svolta importante nelle indagini contro la mafia barcellonese".

Così Il Movimento Citta' Aperta commenta il pentimento di Carmelo D'Amico, considerato uno degli irriducibili del clan di Barcellona e che ora, dopo quasi tre anni di carcere duro, sta riempiendo fiumi di verbali. Un altro pentimento eccellente tra i quadri della mafia tirrenica, un altro duro colpo agli assetti di potere e, probabilmente, anche ad alcune verità cristallizzate dall'antimafia di professione. Così il Movimento fondato dall'attuale sindaco Maria Teresa Collica lancia un appello in particolare agli imprenditori economici del territorio.

"In particolare la vicenda dell'Aias e le informazioni sul meccanismo del racket consentiranno finalmente alle forze dell'ordine di arginare il potere economico delle famiglie locali" scrive Città Aperta. "E' necessario spronare sempre di più le forze sane barcellonesi, i cittadini e gli imprenditori, a rialzare la testa. Se si contribuisce alle azioni degli inquirenti con coraggio e con una ferma presa di coscienza potremo permettere alla nostra città uno sviluppo economico reale e finalmente libero".

La portata del pentimento di D'Amico è intuibile proprio dalle reazioni che ha generato a Barcellona, dove sia sui social network, sui blog, che nella vita affatto virtuale si registra parecchio fermento. E proprio Città Aperta in questi giorni sta studiando i prossimi passi per agire sul contesto sociale locale.

Intanto alla Dda di Messina si lavora. I magistrati non hanno ancora chiuso la raccolta dei verbali di "U cacciaturi", che oggi ha 43 anni ma che quando ha cominciato la sua carriera criminale ne aveva appena 20. La notizia della sua collaborazione era nell'aria da tempo: a inizio maggio era stato assolto in appello al processo Sistema, dopo una pesante condanna in primo grado, dall'accusa di aver taglieggiato le imprese dei Marchetta. Assolto, qualche settimana dopo, dall'accusa di aver taglieggiato l'Aias. Proprio in quel processo Carmelo D'Amico aveva rilasciato alcune dichiarazioni, peraltro eclatanti: l'Aias era "Cosa loro", non una realta' economica oggetto di estorsione ma una vera e propria impresa del clan, che ci aveva investito attraverso Luigi La Rosa, il direttore della struttura, anche lui testimone di giustizia. Lo stesso La Rosa aveva consentito al clan di entrare nella gestione di un grosso centro commerciale locale, frutto di investimenti catanesi.

E in queste dichiarazioni ci sono già i due più importanti punti della collaborazione di D'Amico: puó infatti offrire agli inquirenti una lettura inedita, e in gran parte diversa rispetto a quella scritta sin qui dalle sentenze, di alcune importanti vicende, puó essere banco di prova importante di alcune collaborazioni di colletti bianchi sin qui sfruttate dagli investigatori.

A cominciare dal commercialista La Rosa, ad esempio, gola profonda degli inquirenti nella vicenda Aias. Un punto importante per gli investigatori, quello della struttura per disabili, perchê si lega a doppio filo con l'omicidio del giornalista Beppe Alfano. "'I mandanti occulti dell'omicidio di mio padre sono ancora impuniti", ha sempre sostenuto la figlia Sonia, presidente della Commissione nazionale europea non rieletta a Strasburgo alle ultime votazioni, " E' stato ucciso per le cose che sapeva e diceva, a cominciare dalla gestione dell'Aias". L'indagine bis sull'omicidio del giornalista è ancora aperta. Dopo aver chiesto e non ottenuto per due volte l'archiviazione, i magistrati della Dda all'inizio dell'anno hanno avviato nuovi accertamenti, chiamando a deporre tanti protagonisti di quel maledetto gennaio 1993.

Cosa potrebbe saperne D'Amico? Il figlioccio di Salvatore Sem Di Salvo era già allora uno dei migliori soldati del clan. Per sua stessa ammissione tra il '92 e il '97 ha ucciso 4 persone. Sono i loro i corpi che le ruspe del Ris stanno cercando tra Mazzarrà Sant'Andrea e Rodì Milici. All'epoca non era ancora un boss, a lui era devoluto il compito di "farsi le ossa" eliminando ladri e emergenti in ascesa, di limitare fermenti e defezioni. L'omicidio di un professore di ginnastica e giornalista vicino alla magistratura, attivo in politica, come era allora Alfano, non era affare che poteva riguardare le retroguardie del clan, a meno che non erano state incaricate di compiere materialmente il delitto. "So per certo che fino al 2003 D'Amico non era un capo", ha detto nel 2011 l'ex boss di Mazzarrà Sant'Andrea, Carmelo Bisognano, pentendosi.

Era comunque un killer di spessore, U Cacciaturi, molto vicino al capo Di Salvo, tanto che la sua ascesa al potere è stata velocissima. Lo stesso Bisognano ha raccontato che all'inizio del 2000 ai capi storici non restó che accogliere la sua richiesta di maggiore spazio ai vertici, alla luce del suo consolidato potere: "Provó a stringere quelli di Barcellona".

Un potere che gli era dato non soltanto dal fatto di essere capo dell'ala militare del clan, ma anche dalla sua longa e ferma mano sulle estorsioni nella zona di Milazzo, dove Di Salvo tesseva i suoi rapporti con i catanesi sempre pronti a investire. Un potere cristallizzato dall'accordo, a metá del decennio scorso, con Tindaro Calabrese, reggente in ascesa dei mazzarroti mentre Bisognano era in carcere. Proprio la minaccia di essere eliminato dai due convinse a pentirsi l'ormai defenestrato Bisognano, scarcerato alla fine del decennio.

I due boss hanno diversi punti in comune: entrambi ergastolani considerati irriducibili, capi delle ali militari del clan, hanno deciso di collaborare con la giustizia. Entrambi hanno curato le estorsioni nella "zona grigia" degli investimenti edilizi e commerciali dei catanesi e non. Entrambi erano difesi dall'avvocato Tommaso Calderone, prima di pentirsi. Oggi, assistito da Mariella Cicero, Bisognano sta godendo più che ampiamente dei benefici riconosciuti ai collaboratori di giustizia. Il suo "passaggio allo Stato" è avvenuto, nel 2011, grazie ai Carabinieri del Ros e della Dia.

La collaborazione di D'Amico, che ha scontato un lungo periodo al 41 bis, vede coinvolto, insieme ai Ros, un altro uomo chiave delle forze dell'Ordine, il poliziotto Mario Ceraolo, dirigente del Commissariato di Barcellona.

Chiusa con un'assoluzione totale una parentesi poco chiara, Ceraolo è collocato strategicamente, dal procuratore Capo Guido Lo Forte e dall'allora Questore, alla guida del Commissariato barcellonese. E' stato lui a scovare ed arrestare, dopo oltre un anno di latitanza, il boss Filippo Barresi, proprio qualche giorno fa condannato a 16 anni di reclusione. Negli anni '90 da commissario di Capo D'Orlando è stato protagonista, insieme al procuratore capo di Patti, Giuseppe Gambino, della maxi retata Mare Nostrum coi primi arresti di mafia tra Barcellona e Tortorici. Fu lui a gestire il pentimento dei capi dei tortoriciani , e fu poi accusato insieme a Gambino della gestione "deviata" di quei pentiti. Entrambi sono stati assolti da quelle accuse, come detto. Oggi Ceraolo è tornati a gestire inchieste delicate. L'ex procuratore capo di Patti è occupato a godersi i frutti della carriera e la pensione.

Un altro personaggio col quale D'Amico ha molto in comune è il "testimone di giustizia" Maurizio Marchetta. Ex vice presidente del consiglio comunale di Barcellona in quota An, imprenditore edile con la CoGeMar di famiglia, ancora attiva a Barcellona e non soltanto, è anche lui un "ex" amico del boss Sam Di Salvo. Un rapporto talmente stretto che rischiava di fare la fine di uno dei tanti "colletti bianchi" stretti tra il racket e l'accusa di concorso esterno. Nel 2008 ha deciso di collaborare accusando di taglieggiamenti lo stesso D'Amico. "Marchetta non era uno di noi", ha detto Bisognano tempo fa. Proprio il legale di Bisognano, l'avvocato Fabio Repici, ha più volte sottolineato gli investimenti in comune di Marchetta con D'Amico – anche lui imprenditore edile, insieme al fratello.

Alessandra Serio

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta
Tempostretto - Quotidiano online delle Città Metropolitane di Messina e Reggio Calabria

Via Francesco Crispi 4 98121 - Messina

Marco Olivieri direttore responsabile

Privacy Policy

Termini e Condizioni

info@tempostretto.it

Telefono 090.9412305

Fax 090.2509937 P.IVA 02916600832

n° reg. tribunale 04/2007 del 05/06/2007