I giovani pentiti di Mazzarra' parlano nei processi ai boss del Longano

I giovani pentiti di Mazzarra’ parlano nei processi ai boss del Longano

Alessandra Serio

I giovani pentiti di Mazzarra’ parlano nei processi ai boss del Longano

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martedì 24 Dicembre 2013 - 07:43

Artino depone contro i suoi ex sodali e conferma che le amministrazioni locali della zona erano "cosa loro". La Procura vuole che lui e Campisi depongano anche all'appello Gotha. La decisione a gennai

Esordio in aula per Salvatore Artino, figlio del boss ucciso Ignazio Artino, neo pentito della frangia dei “figli d’arte “ di Mazzarrà Sant’Andrea che hanno scelto di collaborare con la giustizia. Artino ha deposto in aula al processo d’appello Vivaio, come richiesto dal pm Giuseppe Verzera. Il giorno dopo, Verzera ed il pg Maurizio Salamone hanno chiesto l’inserimento dei suoi verbali e di quelli di Campisi negli atti di un altro importante processo di secondo grado, il troncone principale di Gotha, il maxi al clan di Barcellona.

Intanto al processo alla mafia delle discariche, cioè, del quale faceva parte il padre, Artino ha confermato quello che aveva messo nero su bianco nei verbali di agosto, depositati agli atti del processo malgrado l’opposizione degli avvocati difensori ha spiegato che anche lui prima persona era inserito nel clan, malgrado il referente attivo degli altri mafiosi fosse il padre. E il padre, ha raccontato Salvatore Artino, aveva preso le redini del clan dopo l’arresto di Tindaro Calabrese, alla fine del decennio scorso, insieme ad Aldo Nicola Munafò, anche lui poi arrestato. Proprio i due avrebbero ucciso Antonino Rottino, l’uomo dei mazzarroti attivo nel movimento terra ed eliminato nel luglio 2006 nella guerra scatenata da Tindaro Calabrese per subentrare agli affari del boss storico, Carmelo Bisognano. Artino ha anche confermato i retroscena delle elezioni del 2007, inquinate dal voto pilotato dei clan. “Mio padre”, ha spiegato grosso modo il giovane pentito “non era d’accordo con Calabrese, voleva appoggiare Pietro Torre e non Navarra, considerato un “pupo” di Giambò, il sindaco precedente, strettamente legato ai clan. Calabrese però minaccio Torre, che malgrado mio padre lo spronasse a continuare, decise di fare marcia indietro, spaventato, e pochi giorni prima delle elezioni ritirò candidatura e lista a sostegno. Alla fine anche mio padre si convinse a votare Navarra, anche perché Carmelo Giambò aveva “comprato” la sua elezione ben un milione e mezzo di euro. Il referente degli uomini di Calabrese nella nuova amministrazione, quello che avrebbe dovuto corrispondere le contropartite, era l’assessore al Bilancio, Carmelo Pietrafitta. (Alessandra Serio)

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