Gotha 3, a fine mese parlerà il boss pentito Carmelo D'Amico

Gotha 3, a fine mese parlerà il boss pentito Carmelo D’Amico

Alessandra Serio

Gotha 3, a fine mese parlerà il boss pentito Carmelo D’Amico

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mercoledì 07 Gennaio 2015 - 23:31

Riaperto in appello il processo che ha portato alla condanna di Saro Cattafi. Alla sbarra i boss del Longano. E in aula sará ascoltato l'ex capo militare del clan che ha parlato degli intrecci tra mafia e logge coperte.

Sará ascoltato il pentito Carmelo D’Amico al processo d’appello Gotha 3, l’inchiesta del Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri che ha portato all’arresto di Rosario Pio Cattafi, nel luglio 2012. Proprio i rapporti tra l’avvocato barcellonese e il clan del Longano sono al centro dei verbali rilasciati dal boss pentito e depositati agli atti del processo soltanto qualche giorno fa.

La deposizione del quarantaquattrenne ex capo militare di Cosa Nostra barcellonese, passato alla collaborazione con la giustizia dopo che sono diventate definitive a suo carico le condanne all’ergastolo per l’omicidio, e dopo 3 anni al carcere duro, é stata fissata per il 27 gennaio prossimo.

La decisione dei giudici d’appello è arrivata nel tardo pomeriggio di oggi. Su istanza dell’avvocato Mariella Cicero, avvocato dell’altro capomafia pentito, Melo Bisognano, la Corte ha deciso di riaprire il dibattimento, e ascoltare quindi D’Amico.

Si trattera’ della prima,attesissima “uscita pubblica” di D’Amico, che ha chiuso la sua verbalizzazione a metá dicembre. D’Amico sarà interrogato dai magistrati che sostengono l’accusa, e dovrà rispondere anche a quelle dei difensori degli imputati. Alla sbarra non c’è soltanto Cattafi, condannato in primo grado a 12 anni di reclusione, ma anche gli altri componenti del clan di Barcellona, accusati delle estorsioni più rilevanti che in questi anni hanno arricchito l’organizzazione.

La decisione dei giudici riguarda proprio questo secondo capitolo. Sia l’accusa che le parti civili, infatti, si erano limitati a chiedere l’acquisizione dei due verbali depositati, quelli relativi in gran parte alla posizione di Cattafi. L’avvocato Cicero, invece, ha chiesto la formale riapertura del dibattimento.

Si riapre il processo, quindi, e si ridiscutono in todo -non soltanto la sentenza di primo grado decisa in abbreviato – le accuse che hanno portato alle codanne a 6 anni e 8 mesi per Tindaro Calabrese, il boss dei Mazzarroti al 41 bis; 4 anni e 4 mesi per Agostino Campisi, 7 anni e mezzo per il cassiere del clan, Giuseppe Isgrò; 5 anni e 8 mesi per il boss Giovanni Rao, di Castroreale, 4 anni e 8 mesi per Salvatore Carmelo Trifirò. Nel 2013 in primo grado erano state anche definite le liquidazioni alle parti civili costituite: 10 mila euro cadauno ai comuni di Mazzarrá Sant’Andrea e Barcellona, 5 mila euro all’Associazione Vittime della Mafia presieduta da Sonia Alfano, 10 mila euro all’Associazione antimafia Pio La Torre; 120 mila euro alla Sicilsaldo e 10 mila euro a Giacomo Venuto, titolare della Venumer, l’impresa che denunció di io racket durante i lavori alla galleria Scianina- Tracocia sulla A20, teatro di molti incidenti, anche mortali, anche a causa delle lungaggini nei lavori. Poi: 30 mila euro a Patrizia Torre, titolare dell’impresa attiva nel settore inerti e movimento terra; anche loro hanno denunciato il pizzo, e 15 mila euro ad Alesci, altro imprenditore che ha deciso di testimoniare contro i clan. Infine, 5 mila euro andranno anche al pentito Carmelo Bisognano, ex capo del clan di Mazzarrá, e 25 mila euro all’avvocato Fabio Repici, il principale accusatore di Cattafi.

I verbali di D’Amico che saranno ora passati al vaglio, invece, sono due e risalgono all’ottobre ed al dicembre scorso. Zeppe di omissis, inquadrano Cattafi nel profilo già tracciato dagli inquirenti messinesi: un uomo cerniera tra i servizi segreti e il clan. “Mezzo sbirro e mezzo mafioso”, come ribadito oggi in aula dall’avvocato Repici, il quale ha inoltre chiesto di ascoltare uno degli agenti dei servizi che era ai tempi uno dei riferimenti di Cattafi. D’Amico afferma di aver saputo, allora ventenne, direttamente dal capo Gullotti che Cattafi era organico al clan, dopo aver avuto l’ordine, in seguito revocato, di uccidere l’avvocato, “reo” di aver “venduto” la latitanza del boss catanese Nitto Santapaola.
In seguito, spiega D’Amico, Gullotti si convinse che non era stato Cattafi a fare la soffiata, e lo presentó allo stesso
D’Amico nel corso di un incontro al quale prese parte anche Ciccino Cambria. D’Amico rivela poi l’esistenza di una loggia coperta che aveva contatti col clan tramite Gullotti, loggia guidata dallo stesso Cattafi insieme ad un altro “insospettabile” di Barcellona, il cui nome è omissato.

D’Amico si autoaccusa, infine, dell’omicidio di Antonio Mazza, l’editore di Tele News, la tv locale per la quale lavorava il giornalista Beppe Alfano, il cui ventiduesimo anniversario dell’assassinio ricorre dopodomani.

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