È definitiva la prima sentenza contro le ecomafie in Sicilia

È definitiva la prima sentenza contro le ecomafie in Sicilia

Alessandra Serio

È definitiva la prima sentenza contro le ecomafie in Sicilia

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venerdì 13 Novembre 2015 - 13:16

La Cassazione ha confermato le condanne per il clan di Mazzarrà di Sant'Andrea, sciolto per mafia a ottobre, e i colletti bianchi imprenditoriali e politici attivi intorno al business discarica. Confermati i risarcimenti alle associazioni ambientaliste.

È diventata definitiva la storica sentenza contro il clan di Mazzarrà Sant'Andrea, alla sbarra al processo Vivaio sul business discariche, appalti sui lavori e smaltimento del "pastazzo", lo scarto di lavorazione degli agrumi. La Corte di Cassazione, cristallizzando il verdetto arrivato alla fine del primo processo per eco mafie in Sicilia, ha confermato la sentenza d'appello emessa nel marzo 2014. Definitivi, quindi, gli oltre cento anni di carcere ai maggiorenti del clan e le due condanne per concorso esterno decise per il professore Giambó, ex sindaco del piccolo comune- sciolto per mafia un mese fa – e primo presidente di TirrenoAmbiente, e per l'imprenditore del movimento terra Michele Rotella detto "u baruni". Confermati anche i risarcimenti alle parti civili, comprese le associazioni ambientalistiche.

In primo grado nel 2012 la sentenza aveva stabilito 16 condanne per quasi 130 anni di carcere e un ergastolo, e subito dopo erano scattati gli arresti per due colletti bianchi ritenuti collusi ai clan, proprio mentre altrove, in Italia, la Corte di Cassazione infliggeva un duro colpo alla condanna al carcere per gli imputati di concorso esterno alla mafia. Nel dettaglio il verdetto confermato dalla Suprema Corte: Confermato l’ergastolo per Aldo Nicola Munafò, il mazzarroto braccio destro del boss Tindaro Calabrese, al quale sono stati inflitti 16 anni, accusato di aver ucciso Antonino Rottino, il camionista eliminato nell'estate nel 2006 nella guerra tra Calabrese e il boss storico, oggi pentito, Carmelo Bisognano "Melitto", condannato a 7 anni e mezzo. Aveva fatto scalpore, in primo grado, la dura condanna per il collaboratore, al quale i giudici non avevano riconosciuto attenuanti, come all'altro pentito, l'acese trapiantato a Barcellona Alfio Giuseppe Castro: 8 anni e mezzo di reclusione. Ancora, 8 anni e 8 mesi ad Agostino Campisi, 2 anni per Aurelio Giamboi. Otto anni per Sebastiano Giambò e Michele Rotella. Due anni per Thomas Sciotto, l'autista dei mezzi in discarica che smaltiva illecitamente il pastazzo; 8 anni per Nunziato Siracusa, 9 anni per Carmelo Salvatore Trifirò, 2 anni per Giuseppe Triolo.

Confermati anche i risarcimenti alle parti civili costituite: i Comuni di Barcellona Pozzo di Gotto, Mazzarrà Sant’Andrea, Furnari e TermeVigliatore, la Federazione antiracket italiana, l’Associazione antiracket e antiusura Confcommercio “Ugo Alfino”, l’Associazione antiracket etnea, Legambiente, Edil Scavi Spa, Mediterranea Costruzioni Srl. A ognuno sono stati liquidati 5mila euro relativi alle spese di costituzione in giudizio. Il blitz dei carabinieri scattò nell’aprile del 2008 con 15 arresti.

Le indagini invece presero il via proprio con l’omicidio di Antonino Rottino. Al centro dell'indagine la vita del clan di Mazzarrà e i principali affari dal 2003 in poi: il business rifiuti, con lo smaltimento e le assunzioni alle società che gestivano le discariche di Mazzarrà e Tripi, TirrenoAmbiente e l’Ato comprensoriale, lo smaltimento illecito del pastazzo, cioè lo scarto della lavorazione degli agrumi, le estorsioni alle imprese edili titolari di importati commesse pubbliche: le gallerie autostradali e ferroviarie, ad esempio, passando per la faida interna al gruppo, nata dal contrasto tra la famiglia di Bisognano, negli anni in cui il boss era in carcere, e il reggente Tindaro Calabrese, ansioso di emergere, forte dell’alleanza col reggente dei barcellonesi, Carmelo D’Amico, e i contatti con i palermitani, in particolare con i Lo Piccolo. Faida culminata nell’omicidio di Rottino.

Agli atti dell’inchiesta anche un interessante capitolo sulla capacità del clan di pilotare le amministrative dei comuni locali, in particolare le elezioni amministrative di Furnari, comune poi sciolto dal Governo nel 2010 proprio per infiltrazioni mafiose.

(Alessandra Serio)

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