Contrada Acquaviola n° 1. Il capitale umano

Contrada Acquaviola n° 1. Il capitale umano

Tosi Siragusa

Contrada Acquaviola n° 1. Il capitale umano

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martedì 15 Maggio 2018 - 10:59

Quando i costi umani e sociali di un progresso poco sostenibile si fanno davvero alti

L’Associazione Culturale QA-QuasiAnimaProduzioni anche in questa V edizione continua un percorso ricercato e sempre denso di contenuti etico-sociali attraverso autori e artisti di elevato spessore professionale. E così domenica la chiesa di Santa Maria Alemanna è andata in scena la piece oltremodo significante già dall’intitolazione, con rimandi a quella contrada dal nome poetico, ma che concretamente contribuisce invece all’incremento delle morti per cancro in territorio milazzese e paesi limitrofi.

Il giovane autore messinese, Simone Corso, nel suo script ci ha trasportati all’interno di una casa ove un padre e un figlio – la moglie e madre, spesso evocata, è venuta a mancare, come altri in quelle località a causa di un tumore- specchio del passato e dell’avvenire, trascorrono la quotidianità in vista delle imminenti nozze del giovane, per le quali fervono i preparativi. Quando anche la futura suocera sarà ricoverata con diagnosi di cancro, esploderanno le contraddizioni, forse insanabili, fra l’anziano pensionato che rifiuta di identificare – almeno a parole – la raffineria (che gli ha dato per lungo tempo da vivere) con un pericolo assoluto per la salute umana e il ragazzo che, molto più realisticamente, tira le somme sulle motivazioni di tanti lutti con identica causa. Simone Corso è stato anche il riuscito interprete della rappresentazione, unitamente a Antonio Alveario, straordinario e noto attore cinematografico e teatrale, che anche in questi panni non ha deluso le aspettative. Alveario ha messo il suo corpo, la sua mente e la sua fantasia a servizio del personaggio, ben tipizzandolo anche a mezzo dell’abbigliamento indossato per tutta la durata dello spettacolo: una giacca di lana, un pantalone sformato, un berretto e delle pantofole. Dal canto suo il regista Roberto Bonaventura ha ben diretto questo rapporto padre-figlio, spesso problematico, innestandolo, come risulta dallo script, in un luogo – quella casa situata in quella contrada – ove risuona costante la sirena dell’amata-odiata raffineria, e la vicinanza al centro storico e al mare è deturpata dagli scempi industriali con i loro veleni. Le posizioni dei due personaggi sulla responsabilità derivanti da quell’inquinamento sembrano radicalmente opposte e riflettono quelle di due generazioni a confronto.

La tematica scottante lascia certamente riflettere e sgomenta in uno e il tutto è ben stemperato dai toni di tenera ironia che caratterizzano i dialoghi. Bellezza e poesia sono svilite dalla scelleratezza delle scelte industriali, e le scene, ove campeggiano, quali installazioni, dei velieri di diverse dimensioni, realizzati con la tecnica dell’origami su carta da un esimio Nunzio Laganà, acquistano profondità e rendono sapientemente quel contrasto fra sogno e disfatta e quel muoversi di continuo dell’anziano padre fra un dentro e un fuori di sé. Infine, Stefano Barbagallo si è occupato, sempre con felice coordinazione, delle luci.

Tosi Siragusa

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