Incendio al serbatoio RAM, lo studio: "Alta presenza di cancerogeni nelle polveri"

Incendio al serbatoio RAM, lo studio: “Alta presenza di cancerogeni nelle polveri”

Giovanni Passalacqua

Incendio al serbatoio RAM, lo studio: “Alta presenza di cancerogeni nelle polveri”

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mercoledì 18 Novembre 2015 - 15:53

Il professor Biggeri ha parlato di PM 2.5, IPA e metalli pesanti "largamente rappresentati" nei 47 campioni analizzati; ma l'analisi non risolve i dubbi sulle conseguenze dell'incidente sulla catena alimentare e sulla salute della popolazione nella valle del Mela

“In sintesi, abbiamo certificato l’abbondante presenza di polveri sottili, IPA e metalli pesanti; molti di questi elementi sono classificati come cancerogeni certi dall’OMS”. Sono queste le conclusioni principali dello studio commissionato da tre Comuni della valle del Mela – San Pier Niceto, Monforte San Giorgio e Santa Lucia del Mela – al professor Annibale Biggeri sulle conseguenze dell’incendio al serbatoio TK-514della raffineria di Milazzo, avvenuto il 27 settembre 2014.

Lo studio è stato presentato in un incontro al teatro Trifiletti alla presenza dei sindaci dei Comuni richiedenti, dell’assessore all’Ambiente milazzese Damiano Maisano e del professore Pasquale Andaloro, rappresentante locale dell’OMS. Ad assistere in platea anche il responsabile RAM Luca Franceschini. Moderatore Peppe Maimone, presidente ADASC e Coordinamento ambientale Milazzo-valle del Mela.

Lo studio di Biggeri

Biggeri è ordinario di statistica medica presso l’Università di Firenze e presidente di “Epidemiologia e prevenzione”. Lo studio è stato effettuato a partire dalla raccolta di due coppie di campioni delle polveri sprigionate dall’incendio, prelevate da 47 volontari in un raggio di 10 km dal serbatoio. Le coppie sono state poi aggregate seguendo una suddivisione in quattro zone. Non è stato possibile stimare il peso complessivo delle polveri, né la loro concentrazione in atmosfera.

I valori assoluti – la quantità totale di polveri e altri elementi – rinvenuti nelle aree aggregate presentano importanti criticità nelle aree di Archi e Giammoro, ma anche nelle dirette vicinanze a est e a ovest dell’evento, con delle caratterizzazioni dovute ai cambiamenti della direzione e intensità del vento nelle giornate in cui la virgin nafta ha continuato a bruciare.

Una comparazione è stata effettuata con il complesso industriale di Sarroch, in Sardegna, nel quale insiste un polo petrolifero. Dal confronto sono emersi valori per gli idrocarburi policiclici aromatici superiori di circa 30 volte alla media del comune cagliaritano. Tuttavia, non è stato possibile determinare l’effettiva quantità di IPA sul territorio; nello studio si dice che essi sono “largamente rappresentati” nei campioni.

Lo studio ha considerato anche le PM 2.5; per analizzarle si è utilizzata una centralina posta sul campanile di Archi proprio dal Coordinamento Ambientale Milazzo-valle del Mela in occasione dell’incendio. Dai dati è emerso che la media giornaliera delle PM 2.5 rilevate si attesta intorno alla metà dei limiti di legge, e poco al di sopra delle linee guida dell’OMS. I dati – visionabili sul sito www.incendiomilazzo.it – non sono però certificabili, in quanto la centralina non risulta conforme alle prescrizioni di legge.

Lo studio conclude dunque sottolineando l’abbondante presenza di PM 2.5, IPA e metalli pesanti, che secondo Biggeri avranno certamente delle ricadute inquinanti sul territorio; mancano però ulteriori approfondimenti perché, come ha spiegato lo stesso professore, non si poteva fare di più con i fondi a disposizione. Lo studio è stato finanziato dai 3 Comuni commissionanti per un importo totale di 7500 euro.

Valenza dello studio e relazioni causali

“Lo studio vuole affiancare il lavoro di Asp e Arpa, senza sostituirsi a loro né creare scontri istituzionali”. È stato chiaro nella sua premessa il professor Biggeri, a proposito della effettiva valenza dello studio presentato. E proprio in questo senso è andato anche l’intervento del direttore sanitario dell’Asp, Domenico Sindoni: “Le istituzioni, in seguito all’incendio al serbatoio RAM, hanno immediatamente attivato un complesso monitoraggio dell’aria, del suolo e delle acque, utilizzando anche strumenti straordinari. Si è proceduto all’analisi di 60 campioni di prodotti agricoli, che risultano incontaminati. Infine si è fatto un censimento delle richieste di pronto soccorso medico successive all’incidente, e anche qui non sono state rilevate criticità. Questo non significa negare il problema ambientale della valle del Mela, ma semplicemente analizzarlo in dettaglio, evitando facili generalizzazioni”.

Tutti i presenti hanno convenuto sulla bontà dell’attività effettuata da Arpa e Asp, sollevando però importanti questioni. Anzitutto, l’Arpa non dispone di centraline adatte a misurare le PM 2.5, e misura con due sole centraline sul territorio – a Gabbia e nella centrale Edipower – esclusivamente le PM 10, ormai considerate poco utili per delle analisi dettagliate; c’è poi una generale carenza di mezzi e personale che condiziona l’attività dell’ente, e che non viene adeguatamente affrontata dalla politica regionale.

Altro punto ancora da approfondire è quello legato alle relazioni causali tra l’attività industriale e l’incidenza delle patologie: se infatti esistono numerosi studi che arrivano a una correlazione tra di esse, per arrivare a stabilire un nesso causale è necessario un lavoro molto più organico e approfondito: “Con il nostro studio empirico intendiamo evidenziare un problema sotto gli occhi di tutti” – ha spiegato Andaloro – “e gli studi dimostrano che, all’aumentare della presenza di alcune sostanze inquinanti, aumenta anche l’incidenza di alcune patologie, riguardanti soprattutto il sistema respiratorio e la metilazione del DNA. È chiaro, poi, che per gli effetti a lungo termine il discorso diventa ancora più complesso. Intanto, però, è necessario fare qualcosa: altrimenti a cosa servono i vari AERCA e SIN?”.

Giovanni Passalacqua

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