I tormenti del signor K, cittadino giusto

I tormenti del signor K, cittadino giusto

Tosi Siragusa

I tormenti del signor K, cittadino giusto

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domenica 15 Aprile 2018 - 07:36

Ovvero il signor K, di chiara ispirazione kafkiana, si muove entro i desolati ambiti weissiani e brechtiani

Proveniente dal Roma Fringe Festival 2016 la rappresentazione è approdata a Messina, alla sala Laudamo, nell’ambito della rassegna “Show-Off” nel periodo dal 13 al 15 aprile. Protagonista ne è stato Gaetano Citto, già allievo di Gonciaruk, nel ruolo di cui all’intitolazione, Gerri Cucinotta è stato Brandy, il clochard alcolizzato e Wurst, una casuale conoscenza, e ci sono stati poi quattro allievi della “Scuola Sociale di Teatro”, Marco Dell’Acqua, Simone Le Donne, Kevin Finocchiaro e Matteo Quinci, nell’interpretazione di angeli atipici che, in calzamaglie nere e rossi papillon, hanno intonato un curioso miserere, esibendosi in graziosi siparietti musicali con passi di danza.

Daniele Gonciaruk è stato in uno autore dei testi, regista e poliedrico interprete, riuscendo con ammirevole versatilità a ricoprire ben otto ruoli. La fonica è stata curata da Nicola Bombaci e le luci da Renzo Di Chio, le elaborazioni musicali sono state di Claudio Palana, assistente alla regia è stata Rosalba Orlando e gli allestimenti, davvero ridotti al minimo, collocati a scena aperta. Si è trattato delle disavventure di un onesto e buon cittadino, davvero a modo, improvvisamente – così sembrerebbe – vessato dalle convenzioni sociali e dall’ordine precostituito – che pure rispettava – senza che ciò faccia venir meno, almeno fino agli esiti finali, la sua obbedienza cieca e candida alle regole duramente impostegli. K (in realtà è il signor Mockinpott) mentre si intratteneva sulla pubblica via, è stato derubato del suo bastone e delle sue scarpe e sbattuto in prigione e assistiamo ad un suo risveglio in galera ove sta scontando la detenzione senza saperne minimamente le ragioni e, certo della propria mancanza di colpevolezza, si rivolge, per intercessione onerosa di un losco secondino, ad un legale per essere scarcerato. L’avvocato, però, è talmente poco coinvolto nel caso da non voler neanche tenere a mente il nome del suo cliente (da qui il nomignolo “K”, come viene da lui ribattezzato) interessato come è solo al compenso oltremodo esoso dell’incarico, né va meglio con l’apatico direttore del penitenziario. Altro personaggio reso con fattezze surreali è la moglie del povero individuo, che scaccia via il marito in cerca di conforto, accusandolo, pare per celare gli adulteri perpetrati nel frattempo, di colpe mai commesse (come quella di averla indebitamente abbandonata). Dal canto suo, il datore di lavoro finge di scambiarlo per un barbone e non gli presta retta alcuna, rimproverandolo, assurdamente ancora una volta, di aver lasciato la catena di montaggio alla quale era preposto. Wurst, amico di fortuna, lo conduce poi da un medico esagitato, che lo sottopone a improvvisati interventi per tentare di rimuovere le alterazioni fisiche che lo rendono diverso. Dopo un ulteriore scontro con un ignobile boss locale, il signor K approda alfine sdegnato al cospetto di Dio, e solo dopo questo incontro riuscirà a modificare il suo approccio al mondo. L’essere rispettoso dei valori sociali non potrà bastare dunque, non esistendo proprio quel mondo in cui ha creduto di riconoscersi e non essendo appropriati dunque i mezzi in suo uso per risolvere le problematiche occorsegli. Il suo piccolo microcosmo, che pare in modo compatto essersi rivoltato contro, in realtà è solo diverso, anzi agli antipodi rispetto a quanto da K concepito, e per questo lo esclude e emargina attraverso i propri ingranaggi, il tutto in modo estenuante, non sembra esserci luce nelle democrazie che pure si proclamano evolute, pare voglia significare l’autore. Detto questo, l’opera teatrale, incentrata sui lamenti di un giusto e ingenuo individuo qualunque, da sempre costretto entro le ristrette maglie famigliari e sociali, che divengono all’improvviso meccanismi infernali che gli si rivolgono contro, convince fino a un certo punto.

Il tessuto narrativo, un po’ scontato, reso a mezzo di battute in rima, si dipana con una discreta articolazione grazie alla maestria degli interpreti, virando sovente al grottesco, in un alternarsi tragi-comico. Il sistema borghese fasullo si autoalimenta e va denudato, denunciandone la vacuità, per non rischiare di stare al mondo da fantocci immoti, sembra essere il giusto messaggio, ma non si rinviene nelle modalità utilizzate vera satira sociopolitica in questa piece, che attiva leve un po’ usurate di attacco al sistema convenzionale e non si pone mai, fin dalla scelta delle semplicistiche categorie rappresentative del preteso superno, quale incisiva rottura… manca insomma una invettiva veramente coraggiosa.

Tosi Siragusa

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