"La tenerezza" di Gianni Amelio, un messaggio dal sapore leopardiano

“La tenerezza” di Gianni Amelio, un messaggio dal sapore leopardiano

Nunzio Bombaci

“La tenerezza” di Gianni Amelio, un messaggio dal sapore leopardiano

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martedì 09 Maggio 2017 - 05:52

Il cast del film si segnala per la presenza di un attore consumato quale Renato Carpentieri e di altri interpreti ormai noti al grande pubblico, come Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno e Micaela Ramazzotti

L’ultima pellicola di Gianni Amelio può senz’altro piacere a coloro che amano i film “lenti”, marcatamente introspettivi. Buona parte della critica ha espresso giudizi positivi sull’opera, che sta riscuotendo peraltro un notevole successo di pubblico. Il film è “liberamente tratto” da un romanzo. L’avverbio “liberamente” è d’uso corrente, sebbene superfluo: avete mai visto al cinema o in televisione un’opera che riproduca “fedelmente” un libro? Io no, tranne i “Promessi sposi” di Sandro Bolchi. Nel film in parola, anzi, è particolarmente tenue il rapporto tra la trama del film e quella del romanzo dal quale trae ispirazione, La tentazione di essere felici di Lorenzo Marone, autore di libri dal titolo alquanto intrigante. Segnatamente questo romanzo ha avuto un grande successo editoriale, attestato dalle numerose ristampe ed edizioni straniere.

Il cast del film si segnala per la presenza di un attore consumato quale Renato Carpentieri e di altri interpreti ormai noti al grande pubblico, come Elio Germano, Giovanna Mezzogiorno e Micaela Ramazzotti. Carpentieri – vulcanico autore e attore, di teatro prima ancora che di cinema – interpreta il protagonista, un ultrasettantenne (coetaneo del regista, dunque) che vive da solo. Proprio per quanto riguarda l’indole di questo personaggio il film è abbastanza fedele al libro. Nell’uno e nell’altro, si tratta di un avvocato che, ricorrendo ai più abili intrallazzi, è diventato ricco e famoso (“famigerato”, anzi, come egli stesso suole dire). Il Cesare Annunziata del libro corrisponde nel film a Lorenzo Bentivoglio. Cognome, questo, che designa nel modo più sarcastico un uomo che non ha amato molto nella propria vita, e ne è fin troppo consapevole. La tenerezza è davvero la grande assente della sua esistenza. Non ha amato la moglie – o almeno così crede – né ha manifestato abbastanza tenerezza nei confronti dei figli, Elena (Giovanna Mezzogiorno) e Saverio (Arturo Muselli).

La monotona quotidianità di Lorenzo, vedovo e infartuato, viene “terremotata” dall’arrivo della famiglia dei nuovi vicini: Michela (Michela Ramazzotti), Fabio (Elio Germano) e i loro due bambini. Questa famiglia riesce a perforare la corazza della solitudine in cui l’anziano si è rinserrato da tempo. Osservare questo quadretto familiare suscita qualcosa di sopito nel suo animo: la tenerezza, appunto. Da parte loro, i coniugi confidano a Lorenzo le loro fragilità e le incertezze. Direi che Michela, anche per la sincerità da “innocente” e per i tratti infantili della sua indole, è il personaggio che suscita più tenerezza, mentre il male di vivere espresso da Fabio appare subito inquietante, manifestandosi in un’abnorme insicurezza nonché in un iperbolico scatto d’ira nei confronti di un vucumprà.

L’anziano avvocato giunge persino a giocare con i figli dei vicini, mentre non riesce a instaurare un rapporto autentico con il nipote. Come farebbero tutti i bambini di questo mondo, questi volge a suo vantaggio le maldestre “prove di tenerezza” del nonno, pronto a concedergli ciò che la madre gli nega.

L’amicizia con Fabio e Michela sembra quindi elevare in modo significativo il tenore della vita relazionale di Lorenzo, finché una tragedia colpisce l’intera famiglia dei vicini. Quest’esperienza costituisce per Bentivoglio l’occasione per riscoprire la propria capacità di amare. Poiché si accorge di essere “mancato” all’incontro più importante della vita, quello con gli affetti, cerca di instaurare nuovamente un rapporto con i figli. Saverio – uomo irremissibilmente arido, superficiale e avido di denaro – non ne vuole sapere. Di converso, Elena corrisponde al desiderio del padre. Il film si chiude con una scena improntata alla tenerezza tra Lorenzo e la figlia.

A proferire la frase che compendia “il sugo di tutta la storia” è proprio Elena. Per lei, la felicità non è una meta da raggiungere, non è “davanti” a noi, ma “indietro”, agli albori della nostra vita. È quindi una condizione da riconquistare, vivificando il mondo di affetti nel quale, generalmente, l’essere umano vive da bambino. Pertanto, il film trasmette un messaggio dal sapore leopardiano, È significativo, d’altronde, che l’anziano avvocato ami citare alcuni versi del “Passero solitario”. Da parte sua, nella sua interpretazione di Fabio, Elio Germano richiama alla mente dello spettatore (non sono il solo a notarlo) la performance da lui prestata nel ruolo del poeta recanatese (ricorderete il film Il giovane favoloso di Mario Martone).

Il film è ambientato nella Napoli meno “sfruttata” dal cinema, quella dei quartieri borghesi. Per qualche critico si tratterebbe di uno scenario incongruo o perfettamente fungibile. Secondo chi scrive, invece, proprio questa città sembra offrire il setting ideale per un film del genere. I personaggi salgono, trafelati, per le scale ripide del vetusto palazzo in cui vive Bentivoglio. Un palazzo come tanti dei quartieri alti della città partenopea. L’appartamento dell’avvocato, dai muri spessi e dai soffitti alti, è perennemente in penombra, come la sua stessa vita affettiva.

Nunzio Bombaci

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