Incendi a Caronia, tutto per ottenere risarcimenti. La paura di esser scoperti: "Ti cafuddano dentro"

Incendi a Caronia, tutto per ottenere risarcimenti. La paura di esser scoperti: “Ti cafuddano dentro”

Veronica Crocitti

Incendi a Caronia, tutto per ottenere risarcimenti. La paura di esser scoperti: “Ti cafuddano dentro”

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giovedì 05 Marzo 2015 - 12:39

Il motivo per cui padre e figlio avrebbero messo in scena i roghi sarebbe da ricondurre, secondo l'accusa, all'ottenimento di risarcimenti, indennizzi e nuovi alloggi. Questo emerge da diverse intercettazioni catturate dagli inquirenti.

“Il problema è che se io la gestisco come gli anni scorsi a me finisce poi che dice: con chi te la vuoi prendere? 10 anni fa si sono fottuti 50.000 euro, cose che io non ho preso e che poi me lo spiegano perché io non guardo a nessuno in faccia”. E’ lo stralcio di un’intercettazione telefonica in cui Nino Pezzino dichiara di non voler commettere gli errori del passato, di quelli del post 2004, quando molti ottennero risarcimenti e lui no. Un passaggio-chiave, secondo la Procura, che confermerebbe la “precisa ed astuta operativa dell’indagato”, come si legge nell’ordinanza.

In un’altra conversazione si fa riferimento alla necessità della dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Sindaco per poi poter inoltrare richiesta di risarcimento: “Loro giustamente dicono il Comune si attiva e poi fa richiesta di finanziamento alla Regione e la Regione ci deve dare i soldi per forza”. E ancora: “La Regione si occuperà per la sistemazione nostra” – “Per i rimborsi?” – “Per i rimborsi, lui addirittura ha parlato di delocalizzazione”. Facendo riferimento a nuovi alloggi che potrebbero esser concessi. Ecco che, nell’ordinanza del Gip, si delinea anche la figura del figlio Giuseppe, la cui volontà è quella di “sostenere l’azione del padre, creando le condizioni necessarie affiché questi potesse chiedere ed ottenere indebite somme allo Stato, alla Regione e a qualsiasi Ente pubblico a ciò preposto”.

Più di 15 gli episodi di incendio contestati al giovane, in molti dei quali le sue stesse dichiarazioni andavano poi a cozzare con le immagini riprese dalle telecamere nascoste dei carabinieri. C’è stato anche un momento in cui i due hanno temuto di aver fatto qualche “cavolata” e che i militari dell’Arma potessero averli scoperti. Nino Antonino, in un’intercettazione con figlio, dichiara: “E vabbé, pazienza. L’importante che siamo, che tu non facesti minchiate, io te lo ripeto sempre fino a che muoio… guarda che non è l’assicurazione, qua è una cosa molto grave, ti cafuddano dentro, finì la tua vita…. Perciò se hai fatto una minchiata piglia avanti per non cadere, capito?”.

In un’altra intercettazione, emergono poi riferimenti all’arma utilizzata, quel laser jet mai ritrovato. “Lo sanno tutti Peppe che quel tipo di fuoco con la fiamma ossidrica non si può fare né tanto meno là perché avrebbero visto da una stanza all’altra no?… cioè quello si può fare esclusivamente se uno ha un oggetto da lontano”. E la risposta di Giuseppe: “Su internet la sola cosa che guardai fu il verricello guardai, quello della barca”. E Nino: “Si chiama Laser jet”.

Le indagini della Procura di Patti continuano anche per verificare se vi siano altre persone, in quella contrada di Via del Mare, coinvolte nella “messa in scena” dei misteriosi incendi. Il giovane Pezzino si trova adesso ai domiciliari, mentre al padre Nino è stato notificato un avviso di garanzia. I due rispondono di incendio, danneggiamento seguito da incendio, concorso in truffa e procurato allarme. (Veronica Crocitti)

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