“Mi chiamo Raffaele, non voglio andare a rubare”

“Mi chiamo Raffaele, non voglio andare a rubare”

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mercoledì 15 Febbraio 2012 - 00:48

Raffaele, un cittadino come tanti, rappresenta la voce di una città a cui la classe politica e istituzionale non riesce a dare una risposta ma soprattutto non riesce a dare una speranza di futuro

“Siete la commissione servizi sociali? Buongiorno, mi chiamo Raffaele Fornaro, ho 43 anni, ne ho fatti 20 di galera, sono uscito da 6, sono disoccupato. Non riesco a trovare lavoro e sapete perché? Per colpa vostra. Io non voglio andare a rubare, voglio lavorare”. E’ entrato nell’aula consiliare di Palazzo Zanca e le sue parole sono come lame di gelo in quella sala dove era stata organizzata la conferenza stampa dell’Ugl sulle denunce di irregolarità riscontrate nella gestione del personale da parte di una cooperativa, la Nuova Presenza. Si è avvicinato educatamente al tavolo dei relatori, dove erano seduti il presidente della commissione Marcello Greco, il segretario dell’Ugl Salvatore Mercadante e Sebastiano Tamà, capogruppo dell’Mpa al Comune. Avevano appena finito di raccontare la storia e le denunce di alcuni dipendenti della cooperativa che si occupa di servizi sociali. Con gli occhi sereni e la voce ferma Raffaele Fornaro ha continuato “io non voglio andare a rubare, è colpa vostra se non trovo lavoro, non voglio da voi né sussidi né elemosine, io ho le braccia per lavorare, ma qui a Messina lavori solo se hai le raccomandazioni giuste, gli amici giusti che ti fanno entrare in una cooperativa”. Ha braccia forti Raffaele Fornaro, un passato duro alle spalle, e una certezza: non sbagliare mai più. “Ho un bambino di un anno, non so neanche come dargli da mangiare. Ho cercato occupazione presso i cantieri lavoro, ma non so cosa fare. Giovedì tornerò qui, con mio figlio”. Eccola qui questa Messina sempre più povera, eccola qui, nelle parole di una persona che ha fatto quasi 20 anni di carcere e che vuol cambiare, ma ha scoperto che “fuori” è ancora più dura e che se cerchi lavoro non bastano le braccia forti e le gambe, non basta la forza e la volontà, non basta niente se non hai l’amico politico che ti raccomanda per entrare, magari, in una delle decine di cooperative, dove una volta entrato diventi “schiavo del bisogno”, del ricatto del lavoro. Eccola qui Messina, uccisa da decenni di clientelismo di bassa lega, che con la promessa di pochi spiccioli ti lega ad un voto per sempre. Eccola qui la Messina delle cooperative dei servizi sociali, finite da mesi all’attenzione di una commissione ormai stanca di sentir denunce, fare denunce, ma non essere ascoltata mai da nessuno, né dall’amministrazione, né dagli uffici, né dalla procura dove sono finiti decine di fascicoli sui mille rivoli delle irregolarità di una gestione del settore che riporta la civiltà alle caverne, alla legge del più forte. Quando il signor Fornaro è entrato nell’aula consiliare il presidente della commissione Marcello Greco aveva finito di ascoltare l’ennesima denuncia sull’ennesima irregolarità che interessa una cooperativa e anche questa segnalazione finirà insieme alle altre. In oltre 20 sedute della commissione l’amministrazione non si è presentata una volta. Il vero problema è che le cooperative, in un modo o in altro, sono “trasversali”, fanno comodo a tutti i partiti, ogni partito ne ha una sotto l’ala. Nel mezzo ci sono i dipendenti e gli utenti. Da un lato messinesi che pur di lavorare sono costretti a star zitti, ad accettare condizioni non sempre tollerabili, a non denunciare se non in forma anonima, dall’altro ci sono altri messinesi che sono gli utenti, i più deboli dei deboli, perché sono gli utenti dei servizi sociali e sono quelli, tra tutti gli anelli della catena, che pagano il costo più caro. L’Ugl ha raccontato alcune irregolarità, la più diffusa delle quali è il mancato pagamento degli stipendi per 5, 8 mesi, oppure l’utilizzo degli impiegati in appalti diversi da quelli per i quali erano stati assunti. Ma il grande mare dei servizi sociali e delle cooperative nasconde molto di più, molto peggio, basterebbe solo voler davvero leggere i “numeri”, le cifre, quelle relative al personale, ai servizi, ai fondi, agli appalti, agli straordinari, agli stipendi. Basterebbe solo saper leggere, magari dare un’occhiata a quelle buste paga sempre uguali, tutti i mesi, tutti gli anni, talmente uguali da far paura. “Mi chiamo Raffaele Fornaro, ho 43 anni, un bambino di un anno, non lavoro da sei anni e se non lavoro è colpa vostra”. Basterebbe per una volta decidere di tagliare per sempre con le leggi del passato, quelle che hanno trasformato il diritto al lavoro in un favore, un servizio pubblico in un’elargizione, i lavoratori in clientes e i cittadini in mendicanti.
ROSARIA BRANCATO

(FOTO STURIALE)

Un commento

  1. La colpa, Raffaele, non è dei politici. La colpa è nostra, è mia ed è tua, perché non li abbiamo ancora detronizzati, licenziati per giusta causa, presi a calci nel deretano, esiliati, condannati a risarcire la città per tutto il male che stanno facendo… la colpa non è loro: sono solo stupidi esseri attaccati alla poltrona con le unghie e con i denti, collusi, mafiosi, strafottenti, ignoranti, alienati, egoisti. Sono ominicchi inutili alla società, non adatti a “governare”, per niente illuminati e degni solo di ricevere sputazzate in faccia.

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