Anche Mediterranea Natura presenta le sue osservazioni: “L’inceneritore incompatibile con il PTP”

Anche Mediterranea Natura presenta le sue osservazioni: “L’inceneritore incompatibile con il PTP”

Giovanni Passalacqua

Anche Mediterranea Natura presenta le sue osservazioni: “L’inceneritore incompatibile con il PTP”

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lunedì 23 Novembre 2015 - 17:24

L’associazione ha presentato un dettagliato documento, in cui si sofferma principalmente sul contrasto insanabile tra il progetto di A2A e le direttive del Piano Territoriale Paesaggistico, redatto dalla Soprintendenza ai Beni Culturali. Ma non solo

In vista del termine del 21 novembre, anche l’associazione Mediterranea Natura ha trasmesso le osservazioni al Ministero dell’Ambiente riguardo il progetto di riconversione della centrale Edipower di San Filippo del Mela a CSS. Punto cardine della documentazione presentata è l’assoluta incompatibilità del progetto con le direttive del Piano Territoriale Paesaggistico, redatto dalla Soprintendenza ai Beni Culturali di Messina. La stessa Soprintendenza, nelle sue valutazioni di competenza, ha richiamato il PTP, e in particolare la direttiva che vieta il potenziamento e l’ampliamento delle aree interessate dai “poli industriali a maggior incidenza sui fattori di degrado del paesaggio locale” – RAM ed Edipower, per l’appunto. Ma c’è molto altro.

Le prescrizioni del PTP – Ambito 9

La corposa documentazione si apre con una rapida descrizione della valle del Mela, che negli anni ha subìto le conseguenze di un’area industriale sviluppatasi a partire dagli anni ’50; basti pensare alle morti per asbestosi causate dalla Sacelit, azienda produttrice di amianto, che ha chiuso i battenti solo nel 1992. Ed è in questo drammatico contesto che è stato calato nel 2009 il PTP, con l’obiettivo di “promuovere un’inversione di tendenza rispetto al progressivo degrado paesaggistico/ambientale, e che oggi ci consente di chiedere un alt ad una ennesima violenza alla vocazione naturale del territorio. Lo proponiamo pertanto” – scrive l’associazione – “come ostacolo insuperabile per l’approvazione del progetto Edipower, del quale chiediamo la bocciatura immediata senza rinvio”.

Con l’emanazione, da parte del Dipartimento Regionale dei Beni Culturali, del decreto che ha adottato il PTP dell’Ambito 9, sono dunque entrate in vigore le Norme di Salvaguardia previste dall’art. 153, comma 9, del D.Lgs. 42/04 “Codice di Beni Culturali”. L’applicabilità immediata di tale norma, che impedisce “interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela previste nel Piano stesso”, è stata confermata da una recente sentenza del TAR di Catania (la 2933/2014).

L’articolo 55 del PTP riguarda direttamente la pianura e la penisola di Capo Milazzo, da Capo Tindari a Rometta Marea. Nel testo i principali impianti industriali del territorio – RAM ed Edipower – vengono definiti “detrattori paesaggistici tra l'altro lesivi di potenzialità economiche non indifferenti”; la Soprintendenza continua poi spiegando che “lo sviluppo Industriale ha avuto gravi ricadute sia sullo sviluppo urbanistico e più in generale sul contesto territoriale delle aree limitrofe, soggette a grave degrado paesaggistico¬ ambientale, che minaccia di estendersi ai comuni contigui”.

“In un'ottica di sviluppo sostenibile” – si legge ancora nel Piano – “è necessario rimuovere gradualmente i fattori di degrado, recuperare e riconvertire l'area, favorendo attività produttive a basso impatto ambientale”. A questo scopo una direttiva stabilisce che “per contemperare le esigenze socio-economiche con quelle della tutela del paesaggio, è necessario che vengano adottati tutti i possibili accorgimenti per ridurre il carico inquinante e mitigare l'impatto visivo di tali impianti, ed è vietato il potenziamento degli stessi e l'ampliamento delle aree interessate”. Il Piano è inoltre sovraordinato rispetto alle varie pianificazioni: come previsto dall’art. 145 comma 3 del D.Lgs. 42/04 “le previsioni dei piani paesaggistici (…) non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico”.

Ritrovamenti archeologici e vocazione territoriale

Il PTP nasce per tutelare la naturale vocazione del territorio, rilevante anche a fini della VIA – Valutazione di Impatto Ambientale. E che questa vocazione vada in direzione della valorizzazione culturale e paesaggistica lo confermano i numerosi ritrovamenti archeologici, recentemente confermati persino all’interno dell’area su cui insiste la stessa centrale Edipower.

“Nella scorsa estate” – si legge ancora nelle osservazioni – “la ditta Magaldi Industrie Srl ha presentato la richiesta di autorizzazione paesaggistica per la realizzazione e sperimentazione di un impianto solare termodinamico, su concessione del terreno da parte della stessa Edipower. Con l’occasione sono stati effettuati dei saggi che hanno evidenziato la presenza, al di sotto del piano di campagna dell’area proposta, di un insediamento rurale del periodo post-imperiale. L’autorizzazione finale è stata rilasciata dalla Soprintendenza di Messina, ma con il vincolo della dismissione totale dell’impianto sperimentale entro il 2018, per procedere agli scavi archeologici”. Emerge dunque la limitata prospettiva dell’impianto a energia rinnovabile, che entro tre anni sarà smantellato; un ulteriore motivo di dubbio sulle prospettive a lungo termine del progetto di riconversione della centrale Edipower.

Oltre alle evidenze archeologiche, ci sono poi numerosissimi beni architettonici e naturalistici, riconosciuti anche a livello europeo. Tra quelli elencati il Castello, il Borgo di Milazzo e i SIC – Siti di Interesse Comunitario – di Capo Milazzo, degli affluenti del torrente Mela, Pizzo Mualio – montagna di Vernà e Fiumedinisi – Monte Scuderi.

SIN, AERCA e aspetti sanitari

Il degrado del quadro ambientale della valle del Mela è noto sin dai primi anni del 2000, quando il Ministero dell’Ambiente, in una riunione con l’omonimo Assessorato regionale, presentò studi e indagini sul comprensorio che avrebbero portato all’istituzione dell’AERCA – Area ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale. Poco dopo sarebbe arrivata anche la perimetrazione del SIN – Sito di Interesse Nazionale -, riguardante parte dell’AERCA.

A distanza di ben tredici anni dal decreto regionale e di dieci anni dal provvedimento nazionale, non è stato fatto niente di quanto previsto: manca ancora una caratterizzazione completa dei suoli inquinati e si è consolidata la piena consapevolezza che il territorio da bonificare si estende ben oltre i confini individuati a suo tempo. La situazione si è ulteriormente aggravata con il completamento di un ennesimo elettrodotto, il Sorgente-Rizziconi, senza che sia mai stata avviata un’altra bonifica, quella prevista dal DL. 239/2003 per gli elettrodotti già esistenti.

A confermare la necessità di una bonifica del territorio è poi un’ampia letteratura scientifica, citata nelle osservazioni. In questo contesto, un inceneritore aggiungerebbe ulteriori elementi inquinanti già conosciuti come dannosi per la salute. “È pacifico che le diossine e i furani che si producono con l’incenerimento, e soprattutto le molecole più tossiche tra queste, come il TCDD, costituiscano al contempo un veleno potentissimo ed agenti sicuramente cancerogeni a dosi infinitesimali” – spiega ancora l’associazione MAN – “ed è anche nota la loro lunga persistenza nell’ambiente, così come la loro capacità di accumulo nei tessuti degli organismi viventi, umani compresi, e di risalire la catena alimentare”.

Un ulteriore problema sta emergendo in relazione alle nanopolveri, in particolare quelle inferiori al millimetro. Non sono infatti le PM10 – le uniche rilevate dalle centraline ARPA – le più dannose per la salute, ma le nano particelle in grado di raggiungere facilmente gli alveoli polmonari e da qui il torrente circolatorio, accumulandosi nei tessuti. “Numerosi studi dimostrano come la nocività per la salute umana persista anche nel caso degli inceneritori di nuova generazione, dotati delle migliori tecnologie disponibili” – si legge nel testo.

Sostanze volatili come le diossine, i furani, le polveri sottili e gli altri numerosi inquinanti prodotti dalla combustione dei rifiuti sono poi molto difficili da monitorare, rendendo complesso un controllo efficace: “I campionamenti, per alcuni inquinanti quali le diossine, sono previsti solo poche volte all’anno e per la massima parte in regime di autocontrollo. Alcune emissioni sono però difficilmente controllabili: si pensi che in ogni fase di accensione e spegnimento si genera in 48 ore il 60% del totale della diossina prodotta in un anno di funzionamento a regime di legge, e che queste emissioni non sono conteggiate dalla normativa esistente nelle valutazioni previste per questi impianti”.

Inadeguatezza del progetto

Infine, le osservazioni dell’associazione prendono in considerazione gli aspetti riguardanti la sostenibilità economica del progetto e la qualità e reperibilità del CSS. Una prima perplessità riguarda il rapporto tra la quantità di CSS bruciato e quella di energia prodotta: “Difficilmente l’impianto potrebbe automantenersi da un punto di vista economico senza accedere ai contributi di produzione previsti per l’utilizzo delle fonti rinnovabili” – si legge nel testo – “e va evidenziato che il valore dei 60 MW indicati è appena sufficiente ad accedere ai suddetti contributi, ma è anche il valore massimo ricavabile. Una migliore caratterizzazione energetica del CSS non potrebbe che derivare da una raccolta differenziata meno spinta, con le conseguenze che il materiale ricavato avrebbe una presenza ancora maggiore di inquinanti”.

C’è poi la presenza del nuovo elettrodotto Terna a marginalizzare la rilevanza energetica dell’impianto; nonostante un eccesso di produzione del 7,5%, la Sicilia deve spesso importare energia elettrica a causa delle sue obsolete centrali, mai ammodernate. “Siamo pertanto in presenza di un progetto inutile ai fini energetici e comprensibile solamente come impianto per la termodistruzione dei rifiuti, che aspira a trarre profitti dalle criticità siciliane nella loro gestione” – insiste l’associazione.

Nel progetto non è chiara nemmeno l’esatta tipologia di CSS che verrà utilizzata: “Edipower sembra indicare ben 48 classi di CSS, di cui solo 18 consentite per la termovalorizzazione dal decreto Clini. Per altri versi, la tabella 2a del SIA sembra limitare la scelta per un CSS con PCI di classe tra 3 e 4, il dimensionamento dell’impianto lo rende idoneo a bruciare 510.000 tonnellate/anno di CSS che non può che essere rifiuto”. Ancora, “non è credibile la dichiarata disponibilità di 510.000 tonnellate annue di CSS dal territorio. Non esistono nel raggio di 200 km impianti pubblici in grado di produrre con trattamento meccanico-biologico tale quantità di CSS”.

Altre osservazioni riguardano l’aumento qualitativo dell’inquinamento; l’inammissibilità del sito Edipower ad accogliere il traffico di gommato pesante previsto per rifornire l’azienza – sono previsti ben 9 mezzi l’ora per un totale di 10 ore giornaliere, tranne il sabato e la domenica, per il solo trasporto del CSS; l’assenza di uno Studio di Incidenza; uno studio anemometrico adeguato; una valutazione degli effetti di cumulo con altre attività industriali presenti; una valutazione completa delle alternative di localizzazione, anche in relazione ai recenti ritrovamenti archeologici; una valutazione non egocentrica ed autoreferenziale della opzione zero.

Giovanni Passalacqua

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