Padre Ettore: "Impariamo ad usare la "parrhesìa, ovvero la franchezza"

Padre Ettore: “Impariamo ad usare la “parrhesìa, ovvero la franchezza”

padre Ettore Sentimentale

Padre Ettore: “Impariamo ad usare la “parrhesìa, ovvero la franchezza”

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domenica 24 Febbraio 2013 - 09:40

Nella lettera mensile ai suoi parrocchiani padre Ettore Sentimentale li invita a fare uso della "parrhesìa", che altro non è se non la schiettezza, la franchezza nei rapporti con le autorità e la comunità

Carissimi,

abbiamo ripreso il consueto ritmo della nostra attività pastorale e siamo già tempestati, da mane a sera, dalla pubblicità elettorale in vista delle elezioni politiche del 24/25 febbraio p.v. In questi casi, come ben sappiamo, di colpo diventiamo tutti “amici” e siamo fatti oggetto di molta attenzione da parte di tutti i concorrenti alla vittoria. E’ un momento importante perché ciascuno è chiamato a esercitare il proprio ruolo di cittadino con diritti e doveri attraverso una scelta oculata dei nostri governanti. Non spetta a me indicare quale partito o candidato scegliere, ma è compito mio ricordare ai cristiani (candidati e non) che anche in tale tornata elettorale si devono testimoniare i valori evangelici. Fra i tanti, ne vorrei ricordare uno che a mio giudizio sta alla base: la “parrhesìa”. Un termine di origine greca che vuol dire “franchezza, sincerità, fiducia gioiosa, libertà”.

A dire il vero la parola in oggetto non è presente solo nella Bibbia, ma pure nel mondo greco, ove indica la “libertà di parola” del libero cittadino nella democrazia ateniese. Tale prerogativa, tuttavia, era ammessa soltanto fra uguali e se veniva usurpata dagli schiavi, era avvertita come “arroganza”.

Oggi pur non essendo più in vigore la schiavitù e avendo il supporto di tante dichiarazioni internazionali circa la pari dignità civile di ogni uomo e quella religiosa dei battezzati (LG 32), purtroppo resta vero quello che scriveva don Lorenzo Milani molti anni fa: “Non c’è nulla che sia più ingiusto che fare parti uguali fra disuguali”. Anche se il contesto sociale è mutato rispetto a 50 anni fa, purtroppo rimangono molte disuguaglianze “strutturali”. Pensiamo per un attimo al trattamento delle varie amministrazioni verso i cittadini: quest’ultimi oberati tutti dallo stesso peso fiscale, ma non tutti fruitori dei medesimi servizi… Quanti villaggi hanno visto sparire l’ufficio postale e quanti altri, più o meno popolosi hanno un servizio solo a giorni alterni… Così moltissime persone battezzate, di cui il Concilio nel paragrafo citato scrive che non vi è “nessuna ineguaglianza in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione sociale o al sessosi trovano di fronte all’ incomprensibile esclusione delle donne ai ministeri (laicali) istituiti.

Davanti a queste incongruenze bisogna, con rispetto verso l’autorità e con coraggio personale, essere testimoni della novità di Gesù.

Mi confronto con il libro degli Atti degli Apostoli per proporre una breve riflessione sulla parrhesìa.

Le persone davanti alle quali siamo invitati a parlare con franchezza evangelica sono: le autorità (più o meno ostili) e i nostri fratelli di cordata. Lo sfondo e la finalità entro i quali collocare l’intervento è la professione della nostra fede.

Qualcuno potrà obiettare – come avvenne per gli apostoli Pietro e Giovanni – che certi discorsi cristiani siano frutto di persone “illetterate e idiote” (At 4,13, nella traduzione letterale). Nessun problema: il coraggio e la franchezza evangelici non possono essere confusi con l’arte di chi detiene la potenza della parola… Anche se bisogna saper dialogare con gli altri a livello culturale. A tal proposito si veda lo sprone di don Milani ai suoi ragazzi: “Ogni parola che non impari oggi è un calcio nel culo domani”.

Ho tratteggiato rapidamente le coordinate della parrhesìa cristiana per invitare tutti a una rinnovata comunicazione comunitaria. Il Signore dice: “Il vostro parlare sia sì, sì, no, no” (Mt 5,37). Purtroppo ci si trincera spesso dietro le ambiguità, non solo lessicali, ma soprattutto comportamentali perché siamo impegnati a percepire da che parte tiri il vento in modo da metterci al riparo da eventuali folate pericolose… per la scalata al potere.

Stacchiamo dalle nostre persone le croste delle furbizie programmate, dei giochi di dominio progettati e, riprendendoci per intero le nostre responsabilità, chiamiamo le cose con il proprio nome. Facciamolo con franchezza, senza arroganza, né sfacciataggine, né impudenza: così annunciamo la bellezza di aver incontrato il Signore.

Auguri di ogni bene. p. Ettore

2 commenti

  1. na vota i parrini pinsaunu a iutari cu avia i bisognu….iddi non hannu bisognu picchi u manciari ntra tavula nun ci manca mai…e pensunu a sintinziari….saria igiustu chi i parrini facissiru i parrini e starissuru fora da politica….se stu scimpiu avemu, iè puru cuppa so chi pi tant’anni iutaru a cu non aviunu aiutari….muti, e prigati u signuri , iddu nun avi culuri puliticu e saravi l’unicu giustizieri!!!
    Paci e beni

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  2. La “parrhesìa”:Un termine di origine greca che vuol dire “franchezza, sincerità, fiducia gioiosa, libertà”.
    Caro P. Ettore, “parrhesìani” in giro ne vedo pochi. Se analizzo obiettivamente tutti i “settori” con cui ogni giorno sono a contatto, mi rendo conto che di “franchezza, sincerità, fiducia…”nememno l’ombra!Nemmeno la Chiesa è esclusa da questa non “parrhesia!”.
    Le virtù che il termine “parrhesìa” traduce, per me sono valori non negoziabili! LO so, la nostra società, altro che valori, ma disvalori!!!
    Nelle nostre comunità di “parrhesìani” ne vedo, non tanti ma ci sono. Spesso però questi “parrhesìani”, sol perchè hanno il coraggio di essere tali, vengono tacciati di gelosia, vengono “allontanati” e spesso obbligati, loro malgrado, a fare scelte di “rinuncia” nei rapporti interpersonali.Le chiedo: ma nella Chiesa, che dovrebbe “tifare” per questi valori “parrhesìani”, perchè spesso i “parrhesìani” non vengono considerati?
    Io? So una “parrhesìana” a 360°!

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