Padre Ettore: "Si può condannare una soluzione ma non il problema"

Padre Ettore: “Si può condannare una soluzione ma non il problema”

Padre Ettore: “Si può condannare una soluzione ma non il problema”

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domenica 01 Settembre 2013 - 06:07

Riceviamo da padre Ettore, parroco della Chiesa di San Giacomo, alcune riflessioni in vista delle prossime assemblee nella diocesi e che possono offrire alcuni spunti sulle problematiche della chiesa locale. "Spesso il problema

Anche quest’anno nella nostra diocesi si terranno assemblee nelle quali verranno presentate le linee programmatiche per il nuovo percorso pastorale. Non voglio intralciare il lavoro di esperti e responsabili, ma ritengo utile premettere alcune considerazioni.

E’ illuminante una frase di Yves Congar: “Si può condannare una soluzione se questa è falsa, ma non si condanna un problema”.

Tanti problemi nella chiesa da non saper da dove iniziare. Certamente la maggior parte non le giungono per cause esterne. A livello generale si osserva perdita di fedeli, calo di vocazioni, depravazioni clericali. Se stringiamo l’obiettivo sui problemi della nostra ”Chiesa locale”, che tutti assieme dovremmo affrontare, si rimane senza parole. A mio parere essi sono originati e sostenuti da tre “peccati originali” che accompagnano ormai da tempo: la stupidità, l’imbecillità, l’incapacità. Absit injuria verbis (non vi si offesa nelle parole)!

Ampi passaggi della vita diocesana potrebbero essere riletti attraverso queste categorie. Ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale.

Stuzzicante il significato etimologico di queste parole. Rispettivamente: la prima deriva dal verbo latino “stupeo” che alla lettera significa “essere fuori di sé”; la seconda – nella lingua di Cicerone – si rifà a “imbecillus” che alla lettera significa “debole”, ma in senso lato anche “pusillanime”; l’ultima affonda le sue origini in “capio” con il significato di “comprendere con la mente” e, nel prefisso negativo, “non riuscire a capire” .

La stupidità si contrappone alla sapienza, quella insegnata dalla Bibbia. Vuol dire decidere e agire senza alcun parametro e criterio di razionalità.

Fatti spiacevoli fanno ancora molto male perché dettati dall’insensato e contradditorio atteggiamento di chi sulla pelle degli altri segna ferite profonde e spesso indelebili. Qui vanno inclusi anche i balletti di avvicendamenti “pastorali” i quali anche alla semplice osservazione dell’uomo della strada fanno capire che di pastorale c’è quasi nulla, mentre abbonda il frutto sorboso di strategie di allontanamento, dispersione, punizione, accentramento. Escogitazioni di una sola mente o interazione di pochi illuminati? Si abbia almeno il pudore di non affermare che sono stati pensati e realizzati per il bene (quale? e di chi?) delle comunità. I problemi che vanno esplodendo in tante comunità erano prevedibili e si conoscevano bene sin dall’inizio. Mi duole non aver fermamente preso le distanze da questo modo di fare inconcepibile, feudale, inumano e talvolta non aver dato la dovuta solidarietà agli interessati. Che dire poi di fedeli esclusi, inascoltati, privati del diritto di essere doverosamente informati. Quando passerà il tempo di questa “stupidità”?

L’imbecillità è il collante che tiene insieme i pezzi di un sistema. Sintomatici ed emblematici tanti modi di dire e di fare di quanti sono stati collocati come ingranaggi più o meno grossi, più o meno vicini al pignone principale. “Io non ero d’accordo su questo punto… Io avevo chiesto che ci si soffermasse su un’altra problematica… ma poi altri hanno imposto diversamente… Io non c’entro”. Sono indizi linguistici usati come maschere per pusillanimi. Perché non si lascia la poltrona e non si rifiuta di farsi usare per logiche e strategie contrarie alla propria coscienza? Quanto fa male vedere e sentire chi prima si scagliava contro il potere e poi – beneficato nei propri interessi – ne diventa strenuo difensore.

Grave perché profetica la scelta di Karl Barth. Per prendere le distanze dai suoi maestri tedeschi che avevano dichiarato il loro sostegno alla prima guerra mondiale, preferì andare a fare il pastore in un piccolo villaggio svizzero anziché stare su una cattedra universitaria. Ci viene in aiuto un passaggio di un antico canto gregoriano: “Sancta Maria, succurre miseris; iuva pusillanimes; refove flebiles; ora pro populo; interveni pro clero”.

L’incapacità indica l’inadeguatezza di ricevere, donare, accettare, provvedere… perché non si arriva a capire. Ampi passaggi della vita diocesana potrebbero essere letti così. Mi sembra necessario per il bene della comunità giungere ad una “griglia” di lettura, di comprensione, di valutazione pastorale condivisa da tutti almeno nei suoi aspetti fondamentali e che dia legittima possibilità di confronto e di elaborazione delle divergenze che ancora oggi sono ricchezze, anche se scomode. Quale timore impedisce di dare a tutti la possibilità di sedersi allo stesso tavolo con pari dignità e opportunità di intervento?

So bene che anche altre chiese locali sono più o meno impelagate in questo terribile trinomio. Però mal comune non può essere mezzo gaudio. Non mi va questa consolazione. Rifiuto di stare nascosto dietro questa maschera anestetizzante.

Le assemblee sono appuntamento importante ed è doveroso parteciparvi, ma dopo aver attivato e potenziato in sé stessi docilità alla sapienza e nel discernimento, libertà e corresponsabilità, generosità e impegno anche a costo di sacrificio. Ne derivano il gusto e la gioia di parteciparvi.

Padre Ettore Sentimentale

7 commenti

  1. Reverendo, fra la riflessione di qualche mese fa (Padre Ettore: “A volte i giochi di potere non sono soltanto in politica” pubblicato Venerdì, 25 gennaio, 2013 – 07:20) e questa, salta agli occhi una sola cosa: LEI HA IL DENTE AVVELENATO. Per liberarsi dalle tossine accumulate perchè non va a chiedere spiegazioni de visus a coloro ai quali fa riferimento fra le righe? Forse le ha già chieste e l’hanno mandata a pascolare e invitata a curarsi del suo gregge nel modo consono al suo ruolo…? Non è edificante nè tanto meno cristiano leggere che si rifugia dietro due lingue morte, che sono ormai ad uso consumo degli addetti ai lavori, per tirare una secchiata di guano, in quanto dalla frase citata il comune mortale che legge può trarre solo che alla guida della Diocesi ci siano, ignoranti, incoscienti, ladri e deficienti mentali. Se faccio mente locale, ogni volta che si prospetta un cambiamento nella diocesi riguardo alla vita pastorale diocesana o nella Curia, a Lei scendono i canini del vampiro che non è riuscito ad azzannare la gola giusta e ci riprova di nuovo. Alla prossima….

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  2. giovanni.giaimis 1 Settembre 2013 22:27

    ….

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  3. Massimo Briguglio 3 Settembre 2013 08:27

    Caro Don Ettore, qualche mese fa avrei sottoscritto in pieno il tuo scritto. Sarebbe da ipocriti non affermare che quei pensieri non frullano soltanto nelle nostre teste. Ma riflettendo meglio in questi mesi ho capito che non è questa la via migliore per discernere e risolvere i tanti problemi pastorali che la nostra chiesa deve affrontare.
    Noi sacerdoti siamo stati ordinati per essere di aiuto al collegio episcopale, il quale porta su di se la piena responsabilità della vita e della missione della Chiesa. Il presbiterio diocesano, quindi, ha un compito subordinato al vescovo diocesano; limitato al consiglio, all’aiuto e alla comunità o al settore per il quale ciascuno  ha ricevuto la missio canonica.
    Uscire fuori da questo ambito significa pensare di essere noi i salvatori della Chiesa. Le nostre estemporanee e a volte concitate reazioni sono un rimedio peggiore del male. Dimentichiamo che Dio nella sua Provvidenza agisce, permette tollera, attende, esorta e corregge tutti i suoi figli secondo un Disegno che spesso a noi sfugge. Per diffondere il Regno non ha senso che una parte della chiesa si metta contro  la chiesa. Così facendo forniamo carburante al Nemico, il seminatore di zizzania, che nei nostri punti deboli trova spazi nei quali inserirsi. Ciò che, parafrasando San Paolo si dovrebbe dire di Massimo, Ettore e di qualunque membro di questa chiesa “tutto copre, tutto crede,  tutto spera, tutto sopporta.”È la carità, quindi, la misura e il timbro che autentica i rapporti ecclesiali. Mi conforta molto sapere che la chiesa è solo il germe e l’inizio del Regno di Dio. Attendersi nella sua vita pastorale una compiutezza che, su questa terra, neppure il Suo Divino Fondatore ha voluto ci rende rigidi e aggressivi. Fare affidamento sulla “Riserva Escatologica” può aiutarci a trovare pace interiore e speranza cristiana. Io che per temperamento tendo ad essere così cerco di pensarci e correggermi. Preghiamo e spendiamoci per far crescere il Regno di Dio anche se non sempre siamo compresi o comprendiamo. Le chiacchiere inutili, come le chiama Papa Francesco, ci allontano gli uni dagli altri, creano diffidenze e non servono al bene della Chiesa, la Sposa Bella, la Signora. Se i nostri peccati ne infangano la veste,  la speranza di vederla un giorno libera e splendente unirsi al Suo Signore ci spinge a cominciare, subito e da noi stessi quella purificazione alla quale il Signore Gesù ci chiama. Con fraterno affetto. Padre Massimo Briguglio

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  4. Celestina che fine ha fatto quel commento che hai messo ieri?

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  5. Carissimo Padre,
    Ritengo paradossale ed incongruo l’attacco che fà a don Ettore Sentimentale per un articolo che sostanzialmente lei condivide ma che non ha il coraggio di sostenere “apertis verbis”. Evviva l’ipocrisia clericale! Non è difficile capire i motivi di tale comportamento ma cerco di essere caritatevole con Lei.
    La sua Chiesa, reverendissimo Padre, è quella che riconosce gli errori del passato, ma che nasconde quelli del presente con la parola d’ordine del “silenzio necessario” e che all’occorrenza addita come traditori coloro che, dall’interno, si spingono non necessariamente fino all’aperta e diretta denuncia, ma anche solo fino alla critica più semplice, cauta e misurata. Paolo, l’ultimo apostolo, ha criticato – se lo ricordi – Pietro: “et resistit in faciem eius”. Per Lei e per molti preti, della Chiesa bisogna sempre parlare bene: essa è la “sposa di Cristo” e, per tal motivo “senza macchia”. Tutto, quindi nella Chiesa deve apparire lindo, perfetto, immacolato, privo di ogni macchia. Tutto deve essere esaltato: dalla figura di quel vescovo, scelto per essere il pastore di quella porzione di “gregge” a lui affidato da Dio e, perciò, da Lui reso immune da ogni male, dal modo di gestire i quattrini, all’ingiustizia presente anche negli uomini di Dio. Nulla è perfetto, naturalmente, ma tutto, per lei, deve apparire tale. Inevitabile, poi, che quando ci si trova di fronte a situazioni da codice penale, l’atteggiamento seguito non cambia: si è nascosto il poco, si nasconde il tanto e l’attendibilità della Chiesa – o quel che ne rimane – va davvero a farsi benedire. Trasparenza e verità, dunque, e anche un minimo di furbizia: meglio ammettere le proprie reali mancanze, anche sui mass media, anche su quelli legati a realtà ecclesiali, piuttosto che essere trascinati con ignominia (e con merito) dalle stelle alle stalle.

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  6. Carissimo Padre Massimo,
    grazie per la fraternità che hai dimostrato nell’intervenire al mio articolo. Visto che tu – a differenza di chi per viltà nasconde la propria faccia dietro un nickname – hai scelto la via della trasparenza, hai diritto a una risposta. Per qualcuno magari il web non è il luogo ideale per far dialogare due preti, eppure – in questo caso – serve a fare interagire liberamente.
    Intanto dico subito che il mio scritto va inquadrato in una serena e pacata riflessione (per nulla aggressiva o frutto di chiacchiere) su quella che è la situazione della nostra chiesa locale. L’ho fatto senza alcuna mistificazione, con dolore, con educazione e tenerezza nel dire cose anche amare. Fra i tantissimi messaggi (non pensavo che soprattutto molti confratelli fossero sostenitori convinti di tutti i passaggi presenti nell’articolo) ne trascrivo uno fattomi pervenire da Mimmo Allegra: “Carissimo P. Ettore, io non ho il tuo coraggio, ma proprio per questo ti stimo ancora di più. Il Signore della verità e dell’Amore ti dia forza e ti sostenga. Comprendo la sofferenza che porti in te. Ti abbraccio e se posso farmi tuo compagno in qualcosa fammi sapere. Dio ti benedica”. Dopo questa contestualizzazione, passo a chiarire alcuni punti.
    Scrivi che i sacerdoti sono di “aiuto al collegio episcopale”, eppure il Concilio li definisce “saggi collaboratori” dell’ordine episcopale (LG 28). PDV 28 li invita all’ “obbedienza … rettamente motivata e vissuta senza servilismi”. Mi sembra qualcosa in più del semplice essere “subordinati al vescovo”, anche se a norma del CJC can. 495 il presbiterio (rappresentato dal Consiglio presbiterale) ha il compito di coadiuvare il vescovo nel governo della diocesi. Interessante mi sembra l’autorevole commento esplicativo sul Consiglio Presbiterale che puoi trovare in http://www.vatican.va/romancuria/congregations “È evidente che l’ultima parola spetta al diritto positivo; sarà questo, universale o particolare, a fissare in modo specifico, ambiti precisi di intervento. In linea di principio, però, si deve rimarcare che il Consiglio presbiterale può essere chiamato ad agire nell’esercizio di tutto ciò che rientra nella potestà pastorale del Vescovo. Motivi di opportunità possono anche suggerire di riservare qualche campo al Vescovo personalmente o di demandarlo ad altri uffici o persone; tuttavia, per sé, nulla sarebbe tale da essere escluso dalla competenza del Consiglio”. Stando a questa indicazione e guardando con obiettiva serenità la nostra situazione, si può dire che in tale reciprocità vi siano stati “motivi di opportunità” o “linea di principio”?
    Ho sempre pensato che l’unico Salvatore dell’uomo è Gesù Cristo, al quale si farebbe bene a tornare. E il primo passo di questa operazione potrebbe essere costituito dal mettere in discussione le false sicurezze che intorpidiscono la mente e bloccano il cuore di fronte a orizzonti pastorali alternativi.
    Fai bene a invitare tutti a spendersi per l’accrescimento del Regno di Dio. E’ opportuno però, non tralasciare quello che la Bibbia insegna a tal riguardo: “Cercate il Regno di Dio e la sua giustizia”. Dal contesto è chiaro che questa ricerca deve iniziare su questa terra. Il prefazio della solennità di Cristo Re addirittura è ancora più esplicito, perché invita ad adoperarsi all’instaurazione e all’incremento del “regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace”. Non c’è scampo per bei discorsi, ma tutti dovremmo, ciascuno con il proprio carisma, lavorare quotidianamente in questa direzione.
    Infine mi permetto di indicarti una nota bibliografica circa la situazione “drammatica” della Chiesa odierna. La San Paolo ha pubblicato di recente un piccolo e preziosissimo libretto di Martin Werlen, abate di Einsiedeln dal titolo “fuoco sotto cenere”. Prova a leggerlo con libertà d’animo e dopo magari ne riparleremo. Con sincero affetto. Ettore Sentimentale

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