“Dallas Buyers Club” di Jean Marc-Valée

“Dallas Buyers Club” di Jean Marc-Valée

Tosi Siragusa

“Dallas Buyers Club” di Jean Marc-Valée

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lunedì 28 Marzo 2016 - 17:25

Sulla rotta della decima musa: sull’AIDS non si può mai abbassare la guardia. Impressioni a cura di Tosi Siragusa

Pellicola di forte impatto, diretta da Jean Marc Vallée ed interpretata da un irriconoscibile ed iconico Matthew McConaughey, smagrito e scavato, dalla star Jared Leto, irriconoscibile nel ruolo di un trans malato e da Jennifer Garner, alias una dottoressa eticamente ineccepibile e dalla encomiabile umanità. Siamo nei fantasmagorici anni ’80, che iniziano a scolorare con la terrificante comparsa dell’AIDS ed il lungometraggio (di genere biopic-drammatico) è ispirato alla storia vera di Ron Woodroof, rude cowboy, alcolizzato, omofobo e puttaniere, che contrae il virus – apprendendo sulla propria pelle che non è propriamente solo “malattia dei gay” – ed ingaggia una impari lotta per prolungare la sopravvivenza, riuscendo a superare il termine di trenta giorni prognosticati dalla medicina ufficiale e, cambiando pelle e battendosi per la libertà di cure, a vivere, invece, duemila giornate, in una sorta di sofferta trasformazione interiore, che diviene purificazione.

Il film si regge sull’interpretazione, estremamente toccante, di McConaughey, che rende l’anti-eroe protagonista veramente immortale, simbolo come diviene di un percorso che lo porta a rivedere la propria scala di valori (basata su indotti pregiudizi) fino alla liberazione del sé, quando morente, esprime ancora speranza: una luce speciale brilla, ora, nei suoi occhi. Il trans, incontrato casualmente nel corso di un forzato ricovero ospedaliero, lo affianca nel mettere in piedi un traffico di farmaci, illegali in USA e reperiti con metodi irrituali, nel tentativo di offrire aiuto anche ad altri, afflitti dallo stesso morbo. La famosa rock-star, Jared Leto, è perfettamente calata nei certo scomodi panni – ed estremi – del travestito tossico Rayon, dai modi materni e gentili, fragile e magro oltre misura, ma emotivamente consistente: e anche questo è personaggio che difficilmente si dimentica…

Sia McConaughey, che Leto, hanno meritatamente vinto agli Oscar 2014, rispettivamente, quale migliore attore in un film drammatico, e migliore attore non protagonista, e sono stati vincitori di due Golden Globes per questo film di grande forza emozionale, in cui la recitazione (grandissima) fa la differenza, conferendo statura elevata ad una storia di vita – una qualunque vita – in cui HIV fa il suo devastante ingresso, in un crescente calvario, interrotto solo dalla volontà rabbiosa di trovare una auto-cura con medicine non testate, in un estenuante braccio di ferro con un governo irremovibile nelle sue formali e poco etiche scelte in campo farmacologico. È rappresentata la parabola di una esistenza che, come sovente accade, solo giunta alle battute finali, riesce, in un tardivo ed estremo tentativo, ad invertire la rotta dell’autoannientamento, in una lotta, in uno, contro un sistema che è sordo e contro il sé negativo, prima ancora che contro la malattia, per divenire migliore, portando avanti un percorso quasi mistico, che diviene liberatorio anche per lo spettatore – anche quello più coriaceo – che può, alfine, esprimendo ammirazione per quella vita non convenzionale, lasciarsi andare ad una commozione non indotta con sistemi stereotipati, ma che irrompe… sincera.

Tosi Siragusa

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