Manchester by the Sea. Il gelido vento del Nord

Manchester by the Sea. Il gelido vento del Nord

Tosi Siragusa

Manchester by the Sea. Il gelido vento del Nord

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mercoledì 22 Febbraio 2017 - 09:45

Sulla rotta della decima musa: rappresentazione di un’esistenza amara e violenta senza possibilità di un compiuto riscatto. Impressioni a cura di Tosi Siragusa

Kenneth Lonergan ha sceneggiato e diretto questo lungometraggio che lascia incantati per l’essenzialità della trama, i rari dialoghi e l’attenzione massima allo sguardo degli interpreti, tutti oltremodo convincenti. I fratelli Chandler, il maggiore Joe e Lee, molto uniti – come si evince dai flashback sui ricordi del minore dopo il decesso dell’altro – hanno mogli e figli: Joe è coniugato con una alcolista alterata ed ha un figlio, Patrick, e Lee è sposato con Randi e ha tre bambini.

La tragedia si abbatte prima sulle esistenze di Lee e Randi, che a causa di un incendio, generato da contingenze sfavorevoli frammiste alla disattenzione di un ubriaco e drogato Lee, perdono casa e figli e non riuscendo ad affrontare l’accaduto si allontanano. Poi la morte di Joe, già abbandonato dalla moglie fa rimanere solo Patrick e costringe Lee ad occuparsi del nipote. Il ritorno del protagonista da Boston a Manchester by the Sea, la cittadina americana dell’intitolazione, risveglierà poco a poco tutto il dolore e le emozioni intense di quelle perdite. Casey Affleck, assolutamente calato nel ruolo dell’attonito personaggio, che si estranea dai propri simili, divenendo chiuso e anzi inaccessibile, di pochissime parole e tanta aggressività, è praticamente perfetto, così come il giovanissimo Lucas Hedges, nei panni di un adolescente difficile, che pare reagire alla tragedia con eccessiva frenesia e vitalità. Parimenti lodevole l’interpretazione di un’intensa Michelle Williams, così come quella di Kyle Chandler. La provincia del Massachusetts, colta nella fotografia di Jody Lee Lipes in una dimensione invernale, fra le nevicate e l’oceano plumbeo, con le su casette di legno e i suoi fari, rimanda la memoria alla pittura di Edward Hopper ed è centrale nella storia, quale luogo che racchiude cose ed eventi del passato con i quali fare i conti. L’opera è candidata – giustamente – a sei Oscar, fra i quali miglior attore protagonista e migliore attrice non protagonista. La tematica principale è quella dell’elaborazione del lutto, con il tempo passato che si accende attraverso i ricordi per una discesa agli inferi dei sensi di colpa, e gelido appare anche il destino, come la natura intorno del paesino battuto da quei venti del nord. Lee, nella sua seconda vita vive in un cantinato a Boston, svolgendo lavori di custodia, finchè la morte del fratello lo pone di fronte alla scelta se accettare o meno di svolgere il ruolo di tutore nei confronti del nipote, come il testamento di Joe ha previsto(probabilmente anche per dare al fratello una nuova ragione di vita) e il ritorno nel paese natio segna anche l’incontro con la ex moglie, che con un bebè in carrozzina, sta tentando con qualche chance di rifarsi una vita con un nuovo compagno: è questa una sequenza chiave, che dà il senso dell’impossibilità di tornare alla normalità. Randy, rispetto al marito, è molto più vittima dell’accaduto e sceglie di proseguire la vita nonostante la tragedia, Lee, invece, ha delle responsabilità e non ce la fa, vorrebbe essere un bravo zio, ma non può esserlo del tutto.

Gran bel film, che vale un giudizio di ottimo, questo, delicato e triste, ma in uno pieno di demoni e tormenti, di responsabilità rinnegate (perché ne richiamano alla mente altre) di impossibilità di superare le prove dell’esistenza e la perdita più grande, quella dei figli, con il connesso tentativo di divenire impermeabili e insensibili per proteggersi e certo anche un po’ miserabili nel non riuscire a riscattarsi. Un uomo in frantumi, un padre che ha perso i suoi figli e la compagna e si è perso, divenendo ormai separato da un universo di emozioni positive. Le musiche a cura di Lesley Barber sottolineano con gravità e solennità, ma anche con soave dolcezza, i momenti clou, facendosi parte della rappresentazione di quel mondo solitario di autopunizione del desolato protagonista.

Tosi Siragusa

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