“Caterina”, una storia siciliana di Donatella Venuti

“Caterina”, una storia siciliana di Donatella Venuti

Lavinia Consolato

“Caterina”, una storia siciliana di Donatella Venuti

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sabato 09 Gennaio 2016 - 07:58

La regista e drammaturga Donatella Venuti porta in scena alla Sala Laudamo “Caterina”, una storia familiare tragica con tinte grottesche. Nel ruolo della protagonista, una magistrale Margherita Smedile

Tre donne, tre generazioni di donne sottomesse ad un uomo, che uomo non è: un orco, come quello delle fiabe, che tiene prigioniera una fanciulla e le usa violenza, per anni e anni e anni.

Caterina (Margherita Smedile) è quella fanciulla, che oramai ha passato i trent’anni e da due è ricoverata in una clinica. Un dottore (Nicola Buonomo) si prende cura di lei, che vorrebbe amarlo: si è venuto a creare un transfert comico che allevia le sofferenze mentali di Caterina. Batte con la mano per terra, per scacciare i brutti pensieri, con violenza, in una coazione a ripetere ossessiva che ha il suo culmine quando il dottore le annuncia che la sua famiglia verrà a trovarla. Giungono quindi la nonna (Alessio Bonaffini) che spinge la carrozzella della madre invalida di Caterina (Donatella Venuti) e il padre, Totò Pennisi (Gerri Cucinotta), detto “U baruni”. La madre non prende le medicine per la memoria perché non vuol ricordare certe cose che non si possono dire, la nonna è una figura grottesca, ma affettuosa e protettiva, il padre, in quanto orco, spande la sua violenza fisica e verbale come a dover dimostrare la sua onnipotenza patriarcale.

Onora il padre e la madre.. Ma che comandamento è onora il padre se il padre è tinto?” si chiede Caterina. Il dottore viene a conoscenza di quanto il baratro sia profondo: “Dudici anni avia, tu scuddasti?”, rinfaccia Caterina al padre, che non si può chiamare padre. Inutile provare la vendetta, è una bestemmia anche solo pensare di poter uccidere l’orco; la nonna e la madre sottopongono Caterina ad un esorcismo inquietante e grottesco, recitando la “Preghiera del Lunedì santo”, tratto dalle raccolte di Giuseppe Pitré. Caterina stringe un cuscino, figurando di cullare un bambino, testimonianza di quell’orrore impronunciabile. Non può tornare a casa finché l’orco sarà padrone, lui sì che vuole che la sua bambina torni a casa. E’ una violenza che ha colpito nel profondo la psiche di questa povera innocente, che non si può ribellare e trova nelle mura spoglie della clinica il rifugio dall’orco.

“Caterina” prende spunto dalla storia vera di una ragazza di 16 anni di Trabia segregata in casa, vittima di violenze. È una storia di patriarcato meridionale e di donne che solo dopo molti, troppi anni, riescono a trovare la loro vendetta, se non vengono uccise prima. Il femminicidio, la violenza sulle donne sono ormai fatti che apprendiamo quotidianamente, ma l’incesto è un tabù così violento da portare in scena, che Donatella Venuti, per alleggerire la tensione, ha scelto di mitigare il tragico con il grottesco, che si impersona soprattutto nella figura della assurda nonna-Bonomo. Il dialetto messinese, così musicale, è la lingua di questo spettacolo profondo e unico, che la regista ha dedicato a Giuseppe Luciani, scomparso l’anno scorso.

Donatella Venuti è drammaturga prima di tutto di figure femminili: Margherita Smedile, soprattutto nel monologo iniziale, ha dato una prova attoriale magistrale, come ovviamente gli attori maschili, e la stessa Venuti, sia nel tragico che nel grottesco.

Le repliche dello spettacolo alla Sala Laudamo saranno stasera, sabato 9, alle ore 21 e domani, domenica 10, alle ore 17:30.

Lavinia Consolato

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