“I siciliani”, due volte poeti

“I siciliani”, due volte poeti

Domenico Colosi

“I siciliani”, due volte poeti

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sabato 16 Aprile 2016 - 06:59

Ninni Bruschetta firma un commosso omaggio al poeta avolese Antonio Caldarella: storia individuale che si fa portavoce delle illusioni perdute di una generazione, linea d’ombra tra adolescenza ed età adulta

Suggestioni da “Velluto blu”, con le note di “Don’t Explain” di Billie Holiday ad isolare la solitudine di un notturno hopperiano. Il poeta, imbonitore di se stesso, parla da un mondo oramai al di là del bene e del male: il racconto si contamina di leggiadra franchezza, ogni difficoltà quotidiana rovesciata nel suo aspetto comico, paradossale, con le contraddizioni della modernità ad offrire lo spunto per narrare una gioventù caotica spesa tra circoli politicizzati, paradisi artificiali e i relitti di un’identità siciliana al tramonto. Una parentesi con il difficile rapporto tra due jazzisti americani, le piccole rivalità di individui ai margini della società dello spettacolo: avanti e indietro tra echi d’oltreoceano e vicende isolane, fino al ritorno del poeta sulla scena, con la malattia ed un testamento di bellezza da condividere affacciati ad una finestra sul mare.

Commosso ricordo prima ancora di essere opera: “I siciliani” di Ninni Bruschetta sonda le distanze tra l’ordinario e il poetabile, fissando sul palcoscenico una sintesi magmatica, più vicina alle variazioni jazzistiche che all’incardinamento di un copione teatrale. Falso reading, come “Zelig” di Woody Allen è un falso documentario: poesie recitate in successione inframezzate da prose sparse, ammiccamenti al cinema di John Huston o Scorsese sul sentiero di una poetica siciliana che ricorda i vezzi di un gioviale Bufalino. Al centro la figura di Antonio Caldarella, poeta, attore ed artista avolese prematuramente scomparso nel 2009: storia individuale che si fa portavoce delle illusioni perdute di una generazione, linea d’ombra tra adolescenza ed età adulta; le responsabilità della maturità scisse nel ricordo di un mondo scomparso, in un’autocritica sofferta, nella saggezza femminile della condivisione. Uno, nessuno, tre Caldarella sul palco della Sala Laudamo: Annibale Pavone come immediato suggerimento, Maurizio Puglisi e Margherita Smedile come correlativi oggettivi della medesima figura. Nel caos di un flusso di coscienza impossibilitato a dispiegarsi secondo un regolare ordine di priorità, le poesie-monologhi travolgono la staticità della Sicilia per narrare una speranza di cambiamento spesso tradita, una storia sempre sul punto di ripetersi come farsa. La sofferta interpretazione di Margherita Smedile a testimoniare il ricordo privato di amici che prova a farsi arte: Puglisi e Pavone, due facce della stessa medaglia nel nonsense esibito come prova della contraddizione siciliana, “ogni uomo uccide ciò che ama”. Il pianoforte sulla scena, con le note jazz di Giovanni Renzo ad illuminare i passaggi di svolta di una narrazione che preferisce perdersi nei mille rivoli del paradosso.

Volutamente assente la compattezza nel lavoro di Ninni Bruschetta, che imbastisce una rapsodia figlia di mille suggestioni: nulla è levigato alla perfezione, il flusso non consente la minima interruzione. Un ricordo leale in una tempesta ovattata di parole.

Domenico Colosi

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