“L’ultima madre”, gli uomini preferirono le tenebre

“L’ultima madre”, gli uomini preferirono le tenebre

Domenico Colosi

“L’ultima madre”, gli uomini preferirono le tenebre

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domenica 28 Febbraio 2016 - 10:04

Il corpo delle donne da cui passa la Storia: teatro politico tra violenta sensualità e tragica malinconia nel dramma di Giovanni Greco presentato a Messina in prima nazionale

Le fotografie dei desaparecidos alle pareti, un gioco macabro di somiglianze ed identità: svaniti nel nulla per un’attività di resistenza all’arroganza del potere, per un semplice sospetto o un incontro casuale al limitare tra orgoglio e passione politica. Due madri raccontano gli anni della dittatura argentina del generale Videla, storie di figli strappati alla nascita e capricci dell’alta borghesia per una genitorialità malata, straziante e dolorosa: da una parte Maria, una Madonna ai piedi di una croce immaginaria di Plaza de Mayo a piangere morti senza sepolcro, dall’altra Mercedes, fuggitiva senza futuro, braccata dall’orrore del ricordo. La luce della verità si fa strada tra i tentacoli dell’oblio, un’intervistatrice incalza chi ha collaborato ad una strage lenta e silenziosa. Le note di un tango a far da contrappunto alle vicende narrate. Argentina mon amour.

Presentato in prima nazionale alla Sala Laudamo, “L’ultima madre” di Giovanni Greco è operazione a carne viva, amputazione di guerra senza anestesia: meccanismo complesso di rivelazione e disvelamento, lo spettacolo tratto dall’omonimo romanzo dello stesso autore pubblicato nel 2014 per Feltrinelli/Nutrimenti mostra un approccio fisico alla ricostruzione delle reali circostanze che condussero negli anni settanta alla sparizione di migliaia di giovani nelle terre delle dittature (discorsi simili anche per il Cile di Pinochet o per il Brasile); il corpo delle donne protagonista, tra maternità reale o idealizzata, con il tema del doppio espresso con raffinata tensione: la guerra civile dei gemelli nel grembo materno, la sopraffazione, la distanza, il rapimento, la duplice anima di un popolo pronto ad immaginare il proprio futuro da opposte barricate. Esemplare in questo caso la prova delle due protagoniste: giovane prematuramente invecchiata, la Maria di Vittoria Faro guadagna convinzione e sicurezza con il passare dei minuti, da un’iniziale spavalderia prettamente maschile ad una regressione nel solco di una femminilità ferita; discorso opposto per Ilaria Geniatempo (Mercedes), che passa tra tic e ossessioni dai capricci giovanili al dolore provocato dal peso della colpa. Con un ritmo che sarà forse rivisto nelle successive repliche dello spettacolo, si riveleranno probabilmente ancora più preziose all’interno della narrazione le testimonianze offerte da Stefano Guerreri (Ministro della Cultura, Padre Zanchetta, Medico e marito di Mercedes) e Ilenia D’Avenia (intervistatrice e Antonia Ramirez), apparse spesso ridondanti in un contesto probabilmente autosufficiente. Ad arricchire il dramma il cameo dello stesso Giovanni Greco e la voce sofferta di Daniela Troilo che caratterizza la scena con una precisa scelta di tempi. Nessuna Argentina da cartolina dal gusto fatalmente retrò, ma l’anima di un popolo espressa con le opportune cadenze. Tragica malinconia e violenta sensualità.

Nato a partire da una collaborazione tra la compagnia messinese Daf – Teatro dell’Esatta Fantasia e l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma, “L’ultima madre” rinuncia a facili patetismi o architetture complottistiche per esaltare unicamente drammi privati riflesso di aberranti politiche di sfruttamento: la verità come unico faro per giungere all’umano, la parola, urlata o sussurrata, luce tra le tenebre dell’oblio.

Domenico Colosi

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