Speciale Messina e il Risorgimento – La stampa locale prima dell'Unità d'Italia

Speciale Messina e il Risorgimento – La stampa locale prima dell’Unità d’Italia

Speciale Messina e il Risorgimento – La stampa locale prima dell’Unità d’Italia

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venerdì 13 Maggio 2011 - 07:44

Il prof. Bottari spiega gli aspetti più impotrtanti dell'informazione messinese dalla Rivoluzioine francese in poi

Il diffondersi della stampa, e il conseguente formarsi di un’opinione pubblica, costituisce un elemento fondamentale per sgretolare l’alleanza tra trono e altare e per modernizzare una società che, nel XIX secolo, chiede risposte più alte dalla politica. Da ciò scaturisce la crisi di quelle entità statuali preunitarie che non forniscono adeguate risposte. L’acquiescenza rispetto al concetto ormai vetusto della sovranità come derivante dal volere divino va in frantumi. I ceti culturalmente e socialmente più avanzati si sentono non più sudditi ma cittadini e la sanzione formale di una loro cittadinanza attiva deve essere la costituzione. È questo il portato più importante della Rivoluzione francese ed è questo il motore che accende le esperienze – variegate per altri aspetti ma univoche su questo punto – del Risorgimento italiano.

È importante sottolineare e ribadire questo concetto giacché oggi il profluvio di una pubblicistica becera di varia matrice (confessionale, neoborbonica o leghista) – opera di poligrafi e giornalisti che hanno poca dimestichezza con la ricerca storico-archivistica e scarso acume storiografico – rischia di offuscare le ragioni, le speranze, gli ideali e gli interessi che maturano nell’età del Risorgimento e che costituiscono la spiegazione dell’imporsi e del prevalere dell’idea nazionale italiana.

Da questo punto di vista risulta significativa l’analisi del giornalismo messinese nell’età del Risorgimento, che propongo brevemente in questa occasione, ma che sviluppo assai più diffusamente in un saggio incluso nel libro Messina 1860 e dintorni. Uomini, idee e società tra Risorgimento e Unità, a cura di Rosario Battaglia, Luciana Caminiti e Michela D’Angelo, di imminente uscita per la casa editrice Le Lettere di Firenze.

La riforma amministrativa che Ferdinando I di Borbone decide di attuare con le leggi del 1816-1817 ha come obiettivo non quello di bloccare la modernizzazione bensì di guidarla e incanalarla entro argini capaci di contenerne la potenzialità eversiva nei confronti delle istituzioni.

Figura centrale della riforma è l’Intendente, in quanto esecutore delle direttive provenienti dall’alto ma anche mediatore delle richieste che giungono dal basso. Gli intendenti, tra l’altro, hanno l’obbligo di rendere noti gli atti amministrativi e di governo attraverso la pubblicazione di un periodico: da questa esigenza nasce il «Giornale dell’Intendenza del Vallo di Messina» che comincia ad essere diffuso dal maggio 1818. I timori per l’ordine pubblico e le preoccupazioni che destano le riunioni hanno delle concrete ragioni poiché la città dello Stretto diviene la centrale della carboneria siciliana, riuscendo a saldare il tessuto settario calabrese col giacobinismo massonico della Sicilia sud-orientale. Quando scoppiano i moti del 1820-21 Messina rimane fedele al nuovo governo costituzionale napoletano e non aderisce al programma separatistico di Palermo e di Agrigento, e il dibattito che si sviluppa sui periodici quali «Il Tempo», il «Corriere Costituzionale» e la «Costituzione» e «L’Osservatore Peloritano» ne riflette l’orientamento.

In una mutata congiuntura storica, in seguito “al tradimento di Lubiana” di Ferdinando I e alla repressione dell’esperienza costituzionale da parte dell’esercito austriaco giunto a ripristinare l’assolutismo borbonico, il carattere di novità della stampa messinese dei tardi anni Venti e dei primi anni Trenta – e di parte ragguardevole della stampa siciliana – è l’accresciuto interesse per le questioni economiche come emerge chiaramente dallo spoglio di periodici come il «Mercurio Messinese» e il «Monitore Economico-Tecnologico-Agrario della Società Economica della Valle di Messina».

Negli anni Trenta penetrano i principi del romanticismo di cui si fa propugnatore lo «Spettatore Zancleo» in polemica non solo con «Il Maurolico», organo dei classicisti, ma anche con parte cospicua della stampa palermitana, assai più tradizionalista ed intrisa di umori indipendentistici. Tra gli anni Trenta e Quaranta la stampa contribuisce a costruire un discorso pubblico che, pur sottoposto alle maglie strette della censura, ormai si addensa attorno al concetto di “patria siciliana” in funzione antiborbonica. Le vicende politiche e culturali di quegli anni portano a precipitato tensioni accumulate nei decenni precedenti che trovano come obiettivo e parola d’ordine l’indipendenza della Sicilia dal dispotico governo napoletano e che culminano nella rivoluzione del 1848-1849. Erano affiorate anche idee nazionali italiane, soprattutto grazie alla efficace propaganda mazziniana unitaria, ma fino ai primi mesi del 1849 la stragrande maggioranza della società politica siciliana (per Messina, com’è ovvio fino al settembre del ’48, quando avviene la cruenta riconquista borbonica) e della stampa che ne riflette le idee vuole una Sicilia indipendente da Napoli e da Ferdinando II, ritenuto un sovrano dispotico e infido.

Recentemente alcuni libri scadenti, che hanno avuto successo commerciale ma che non hanno alcuno spessore scientifico, hanno alimentato un equivoco che è opportuno liquidare. Deve essere sottolineato con chiarezza, infatti, che il concetto di “patria siciliana” cresce e matura in chiave antiborbonica: essere borbonici e indipendentisti allo stesso tempo è un ossimoro, una contraddizione in termini che non ha alcun addentellato nella realtà storica.

Dopo il 1849, la censura borbonica si fa più guardinga e il conformismo appare il carattere di fondo della stampa dell’epoca. Dalla seconda metà degli anni Cinquanta, però, le aspirazioni unitarie italiane – che circolano in Sicilia grazie a fogli e opuscoli clandestini – trovano eco anche su alcuni giornali, come ad esempio su «Il Caduceo. Giornale di Scienze Commercio Lettere ed Arti» e su «Il Tremacoldo», che incappano nei rigori della censura.

Con l’impresa garibaldina, il cemento unitario con cui s’innalza l’edificio nazionale mentre si sfalda lo stato borbonico, trova alimento in una serie di giornali d’ispirazione democratica («L’Indipendente», «Abbiccì», ecc.) ma anche in fogli d’impronta moderata («L’Italia», ecc.).

Dopo l’Unità d’Italia cambia lo scenario e la costruzione dello stato/nazione diviene il tema di fondo dei giornali. Con il passare degli anni, però, il quadro culturale e sociale si farà più complesso e la stampa messinese assumerà una fisionomia più articolata palesando i problemi, le rivendicazioni e i progetti di una grande città italiana.

Salvatore Bottari
Docente di Storia Sociale Europea, Istituzioni di Storia Moderna e Storia della Sicilia Moderna nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Messina
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