Il 2015 alla Regione: il fallimento di una Sicilia che frana mentre la politica sta a guardare

Il 2015 alla Regione: il fallimento di una Sicilia che frana mentre la politica sta a guardare

Rosaria Brancato

Il 2015 alla Regione: il fallimento di una Sicilia che frana mentre la politica sta a guardare

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giovedì 31 Dicembre 2015 - 17:00

Dal caso Tutino alla polemica con Vecchioni, dalle riforme impallinate dal governo alla terza mozione di sfiducia, dall'assessore numero 40 in 3 anni alla vicenda Borsellino. L'anno 2015, il terzo dell'era Crocetta sembra come il crollo del viadotto Hymera.

L’immagine più simbolica e sicuramente riassuntiva del 2015 che si chiude in Sicilia è la fotografia del governatore Crocetta nella spiaggia di Tusa, con il Giornale di Sicilia in primo piano per attestare la data, e cioè un soleggiato mattino di dicembre e rispondere così a Roberto Vecchioni ed alla sua “Siete un’isola di m…”.

Le polemiche di quei giorni sulla forma (se cioè tocchi ad un artista piuttosto che ad un politologo dirci di che materiale è fatta la Sicilia o ad un milanese piuttosto che ad un emigrante siracusano) più che sulla sostanza e il fatto che il presidente abbia sentito l’urgenza di rispondere, ed in quella maniera, sono il simbolo che siamo davvero “a mare” e non in quello di Tusa. Si chiude così, con quella fotografia il 2015, anno terzo dell’era Crocetta, annunciata come rivoluzione e finita come immobilismo e gattopardismo, fallimento di un centro-sinistra che arriva nelle stanze dei bottoni e smarrisce la sua identità, i sogni, gli ideali, i principi guida.

Impossibile fare una cronistoria mese per mese, basta soltanto dire che il governo Crocetta chiude il 2015 toccando quota 40 assessori cambiati, a poco più di metà mandato, più di quelli delle giunte Cuffaro e Lombardo messi insieme (e se proprio dobbiamo essere pignoli molti dei neo crocettiani sono gli stessi delle puntate precedenti). Ma arrivare al Crocetta quater che da Battiato passa in 3 anni a Cracolici non equivale a dire che ci siano stati atti concreti per la Sicilia.

In questo 2015 si arriva alla terza mozione di sfiducia contro Crocetta e la sua maggioranza arcobaleno, il caso Tutino e quello Borsellino, le dimissioni a raffica degli assessori regionali e le impugnative delle uniche 3 riforme varate nell’estate della finta crisi, la barzelletta della riforma delle Città Metropolitane, le dimissioni dell’unico deputato regionale che ha avuto il coraggio della coerenza Fabrizio Ferrandelli, il “commissariamento” della Regione attraverso il tutor Baccei inviato da Renzi che tra bilanci e riunioni col Pd tiene ben saldi i tubi dell’ossigeno, c’è la Leopolda siciliana ed il trasformismo accolto tra gli applausi e c’è infine l’ultima seduta, quella che ha portato all’esercizio provvisorio, peraltro dopo la bocciatura in prima battuta del Dpef, il principale documento di programmazione economica e finanziaria della Regione.

C’è un anno di fallimenti dietro quella fotografia e quel battibecco tra il presidente della Regione ed un cantautore.

Sulle mozioni di sfiducia, 3 in 3 anni, presentate dal M5S e firmate anche da Forza Italia e Lista Musumeci, non c’è molto da dire. Scontata la loro bocciatura da parte di una maggioranza che va dal Pd agli alfaniani ed all’Mpa passando per transfughi e miracolati del 2012 uniti tutti dal morbo di Attack e dalla paura di Grillo più che dall’amore verso Crocetta. L’ultimo no è arrivato grazie alle truppe Ncd ed Mpa, esattamente i rivali del 2012 della giunta della rivoluzione e che in quell’ottobre hanno votato Miccichè. Ma 3 anni sono lunghi rispetto alla memoria, fino al punto che lo scettro di capogruppo del Pd all’Ars (quello che fu di Cracolici per intenderci) è andato, per giochi di corrente, ad Alice Anselmo, giovane deputata alla prima esperienza che però è riuscita a cambiare 7 gruppi politici in 3 anni. Ma nel Pd crocettiano e renziano c’è posto per tutti, ex lombardiani, ex cuffariani, nuovi alfaniani e illuminati sulla via di Damasco.

Mentre si vedono sfilare in un anno più assessori che modelli in una passerella di cambio stagione, in primavera crolla il viadotto Hymera lungo l’autostrada Catania-Palermo, dividendo in 2 la Sicilia per la bellezza di 7 mesi. Nel mezzo c’è spazio per le polemiche, per la difesa d’ufficio del Cas e degli stipendi del Cda da parte del governatore “non devono dimettersi. E non possono certo lavorare gratis”, e per la trazzera inaugurata dai grillini con le somme restituite dalle loro indennità e confluite nel fondo alle piccole imprese.

Nel frattempo giace senza vita la riforma delle ex Province, la cosiddetta riforma Giletti, annunciata nel lontano 2013 e non ancora partorita, neanche oggi che scriviamo questa nota. Ma a dare il “la” all’estate più folle che si sia vista, sono le dimissioni a catena ad inizio giugno, di una serie di assessori. Se passa sotto silenzio la lettera di Caleca subito dopo l’ingresso in giunta di Pistorio (già assessore lombardiano) “avverto un totale senso di estraneità di fronte ad un incomprensibile ritorno al passato”, l’incendio divampa con l’addio di Lucia Borsellino, assessore nominato sin dal Crocetta I (in quota “simbolo dell’antimafia”) e con una lettera dirompente. I primi giorni tutti fanno finta di non aver letto le parole della figlia del giudice ucciso dalla mafia: “ per ragioni di ordine etico e morale”. Era appena esploso il caso Tutino, medico personale del governatore e deus ex machina di Villa Sofia, chirurgo plastico finito in carcere per una serie di reati connessi alla sua professione e con anelli di collegamento con gli uffici della Regione. Il clima si fa torrido fin quando L’Espresso pubblica l’intercettazione nella quale Tutino direbbe a Crocetta: “Lucia va fatta fuori, come suo padre”. Esplode il caso, intervengono Renzi e Mattarella, il procuratore capo di Palermo smentisce l’esistenza dell’intercettazione, Crocetta annuncia dimissioni e suoi intenti suicidi, la maggioranza traballa, il giornalista Piero Messina viene indagato, Crocetta ritira le dimissioni e querela L’Espresso. Insomma giorni di fuoco a ridosso dell’anniversario di Borsellino. I fratelli Lucia e Manfredi annunciano di non voler partecipare alle vetrine dell’antimafia e il mondo politico si accorge di quella lettera dell’ex assessore alla sanità che fino a pochi giorni aveva artatamente ignorato. Manfredi va alla commemorazione al Palazzo di Giustizia e dichiara: “Non sono qui per commemorare mio padre, altri lo faranno. Sono qui per mia sorella Lucia. La lettera di dimissioni da assessore alla Sanità ha prodotto un silenzio sordo delle istituzioni, soprattutto quelle regionali. Quella lettera dice tutto, andrebbe riletta mille volte. Non credevo che Lucia dopo 23 anni dovesse vivere un calvario simile a quello di mio padre. Da oltre un anno era consapevole dell'ostilità dell'ambiente e delle offese ricevute per avere adempito al suo dovere. Non sarà la veridicità di un'intercettazione a raccontare lo scenario drammatico in cui lei ha operato. Lucia ha portato la croce perché voleva una sanità libera e felice ed è rimasta per amore di giustizia, per spalancare le porte di una Sanità al centro da sempre di interessi e malaffare anche mafiosi. Lei è e sarà sempre la più degna figlia di suo padre". Il presidente della Repubblica si alza ed abbraccia Manfredi Borsellino.

L’unico a dimettersi in quei giorni, dimostrando che è possibile rinunciare a poltrona ed indennità, è Fabrizio Ferrandelli, deputato Pd, che fonda il movimento dei Coraggiosi, perché è solo di questo che la Sicilia ha bisogno: il coraggio della coerenza. Resta un caso unico. E, ironia della sorte, prende il suo posto Francesco Riggio, sotto processo per il caso dell’Ente di Formazione Ciapi, che, eletto con il Pd, va subito al gruppo misto.

Di lì a poco scoppia una crisi nella maggioranza che dopo alcune riunioni di vertice finisce “a tarallucci e vino”. Nessuno vuol porre fine al mandato, dal momento che finirebbe con lo spianare la strada al M5S. Per dimostrare impegno l’Ars approva nei pochi giorni precedenti la pausa estiva la riforma delle Province e quella sull’acqua pubblica. Entrambe verranno impugnate dal governo. Quella delle province peraltro cade su 2 punti: le norme contra-personam (nella fattispecie volute dal Pd contro Bianco e Orlando) e quelle sulle indennità alla giunta (quelle volute da tutti nonostante si sia annunciata una riforma contro gli sprechi). E’ già la terza riforma che il governo impallina dopo l’abolizione del Commissario dello Stato. A proposito di Commissari il governo Renzi ha messo da tempo sotto tutela la Sicilia, tenendo stretti i cordoni della borsa e allentandoli alla bisogna e puntando sull’assessore al bilancio Baccei come “tutor” di una stagione politica che resta in piedi solo per non consegnare l’isola ai 5Stelle o al centro-destra (che a fine anno vede il ritorno di Miccichè per ricompattare le truppe di Forza Italia).

La riforma delle ex Province non è ancora completa così che la vicenda Masterplan sconfina nella fantapolitica. Le elezioni del sindaco delle Città Metropolitane, fissate per fine novembre, vengono annullate dopo l’impugnativa e si arriva all’ennesima proroga dei commissari.

Il caso Piemonte, chiude l’anno nel peggiore dei modi, con un’Assemblea che ignora Messina e le sue istanze e lascia l’Aula pensando al Capodanno mentre i deputati messinesi non bastano a mantenere il numero legale. Non si vota quindi la legge che porta alla salvezza del Piemonte, tutto rinviato al 7 gennaio, a ridosso del termine di scadenza del decreto attuativo. Cominceremo il 2016 così come l’abbiamo chiuso: senza certezze sul fronte Piemonte.

Nella seduta prima del Natale a causa delle assenze dei deputati della maggioranza arcobaleno viene bocciato il Dpef, poi riacciuffato per i capelli il 30 dicembre. Una fotografia impietosa di una Sicilia sempre più povera, disoccupata, disperata. Il 30 grazie ad un maquillage passa il sì dell’Aula, come quello per l’esercizio provvisorio di un’isola in quasi default conclamato.

Cala il sipario sul 2015 ma il 2016, con queste premesse, fa paura. Più di ogni altra cosa fa paura la mancanza di memoria di una classe dirigente che ha cancellato quanto successo in estate e nei 3 anni appena trascorsi e pensa che con la frase: “serve un cambio di rotta” possa trasformare le macerie in grattacieli e i morti e i feriti in resuscitati.

Rosaria Brancato

4 commenti

  1. concordo pienamente non auguro nulla ai politici, anzi..

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  2. concordo pienamente non auguro nulla ai politici, anzi..

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  3. Per questi miracoli ci servirebbe un’altra ambasceria (formata da chi? Di certo non da politici) in visita alla Madonna che presenti il grido di dolore che proviene da Messina per far impietosire di nuovo la Madonna, il che mi sembra abbastanza improbabile.Quindi saremo capaci di risollevarci da soli in questo 2016? Cmq auguri a tutti, nessuno escluso, con uno più spiccato senso civico!

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  4. Per questi miracoli ci servirebbe un’altra ambasceria (formata da chi? Di certo non da politici) in visita alla Madonna che presenti il grido di dolore che proviene da Messina per far impietosire di nuovo la Madonna, il che mi sembra abbastanza improbabile.Quindi saremo capaci di risollevarci da soli in questo 2016? Cmq auguri a tutti, nessuno escluso, con uno più spiccato senso civico!

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