Messina e le sue fiumare, evoluzione storica e prospettive (Parte II)

Messina e le sue fiumare, evoluzione storica e prospettive (Parte II)

Diego Buda

Messina e le sue fiumare, evoluzione storica e prospettive (Parte II)

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martedì 02 Ottobre 2012 - 10:24

A tre anni dall'alluvione che ha colpito la riviera ionica, Tempostretto ripropone, in tre parti, le principali tappe del millenario rapporto tra la città ed i suoi torrenti

Dopo la liberazione di Messina vengono ricostruite e rafforzate le mura urbiche. Queste hanno inizio dal Palazzo Reale (attuale Dogana) e corrono lungo il litorale fino alla foce del torrente Boccetta. Salgono quindi lungo l’argine destro rinserrando la fortezza di Matagrifone (attuale Sacrario di Cristo Re), il colle della Caperrina (dove oggi sorge il Santuario di Montalto) e i quartieri sulla riva sinistra del torrente Portalegni. Esse scendono poi verso il mare circondando la contrada del Paraporto dove sono stabiliti numerosi mercanti stranieri interessati alle attività portuali: greci, genovesi, amalfitani, fiorentini, pisani, veneti ed anche ebrei.

Tale disposizione si conserverà, sostanzialmente invariata, fino alla fase cinquecentesca. Con la venuta a Messina dell’imperatore Carlo V nel 1535, infatti, sono avviati i lavori per la costruzione di una nuova imponente cinta muraria, progettata dai più importanti ingegneri militari del tempo. A nord viene inglobato l’abitato venutosi a formare nella zona degli “orti di San Giovanni” (attuale Villa Mazzini-Prefettura), utilizzando come nuovo fossato della cortina fortificata il letto del torrente Trapani; ad ovest viene compreso il quartiere del Tirone fino alla collina del Noviziato; ad est, infine, si include tutto il “piano di Terranova” fra il Palazzo Reale e il mare.
Il complesso sistema di fortificazioni che si realizza giova anche a rideterminare la configurazione dell’abitato. La fiumara Portalegni, che sboccava all’interno del porto, viene difatti deviata all’esterno dello stesso in direzione sud, sulla direttrice dell’attuale via Tommaso Cannizzaro. Il nuovo limite acqueo così generato andrà ad indicare il percorso sul quale si organizzeranno le difese cittadine più meridionali.

L’immagine complessiva della città, dopo la profonda opera di ridefinizione rinascimentale, risulterà definitivamente delineata con l’edificazione nel secolo successivo della “Palazzata”: un unicum architettonico che avvolge buona parte dell’affaccio a mare e che sarà l’oggetto caratterizzante dell’iconografia municipale almeno fino agli inizi del XX secolo.

Se questo risulta essere l’assetto dello spazio più strettamente urbano, allo stesso tempo non è da sottacere come la particolare situazione orografica del Comune messinese abbia favorito – nel tempo – la formazione di numerosi centri rurali satelliti, concentrati per lo più nelle valli intorno alla città e, solo più di recente, lungo il litorale.
Tale presenza scaturisce dalle potenzialità economiche e abitative delle fertili colline retrostanti, ma è stata anche la conseguenza di condizioni di vita maggiormente difficili sulla fascia costiera. Anche in questo caso sarà la presenza di un torrente a determinare gli insediamenti, segnandone talvolta i limiti e più spesso la via d’accesso.

Le fiumare dell’Annunziata, di Pace e di Guardia, sulla riviera nord, hanno costituito le uniche opportunità di raggiungere l’entroterra dove erano arroccati i cosiddetti casali di Tramontana: Castanea delle Furie, le Masse e Faro. Sul versante tirrenico, parimenti, i torrenti di Gesso e Salice hanno permesso la formazione dei villaggi che ne portano i corrispondenti nomi.

A Mezzogiorno la situazione risulta più variegata, avendo le numerose fiumare che discendono dalla dorsale peloritana formato valli più o meno profonde, le quali ospitano da uno a tre casali: Camaro, Bordonaro, Cumia, S.Filippo, Zafferia, Larderia, Mili, S.Stefano Medio, S.Stefano Briga, Pezzolo e Briga sono tra gli abitati più interessanti.
Ancora più a sud, al confine con il Comune di Scaletta Zanclea, l’importante vallata del torrente Giampilieri accoglie vicino alla foce l’omonimo borgo, nella zona mediana Molino ed arroccato in alto Altolia (dal greco akte alos, “lontano dalla spiaggia”). La zona fu con tutta probabilità già abitata in tempi remoti, vista la presenza nel sottosuolo di vari minerali tra cui piombo, rame e ferro.

Risale tuttavia al tempo delle incursioni saracene, tra il IX e il X secolo, la necessità per le popolazioni rivierasche di cercare rifugio sulle alte colline, fondando nuovi villaggi o andando ad ingrossare quelli già esistenti. In questo contesto si inserisce l’origine del villaggio di Altolia, il primo ad essere fondato verso la fine del IX secolo. Seguirono Molino e Giampilieri, i quali sorsero intorno ad alcuni antichi mulini che funzionavano nella valle. Nel XIII secolo, con la denominazione di Daptilia, era inteso un unico casale comprensivo dei tre insediamenti, sebbene questi mantenessero una propria identità urbana e demografica.

L’amenità della riviera ionica messinese, al pari della sua naturale predisposizione a frane e smottamenti, fu subito nota tra i viaggiatori d’ogni epoca. Nel 1843 il turista britannico Henry Clark Barlow, percorrendo la carrozzabile a sud di Messina, la definisce “molto montuosa e pittoresca, […] di gran lunga la parte più interessante del percorso per Catania”. Sulla destra spiccavano le vette dei Peloritani “di aspetto ardito e impervio”, mentre la strada veniva attraversata da numerosi corsi d’acqua che ogni tanto si “perdono nella sabbia e nella ghiaia trascinate dall’acqua già dalle colline ai piedi della valle”. A tal proposito, Barlow osservava con malcelata preoccupazione come nella stagione piovosa “la strada deve diventare quasi, se non del tutto, impraticabile”.

Il connazionale David Herbert Lawrence, originale romanziere che soggiornò a Taormina nei primi anni 20’, si chiedeva “perché letti di fiume così vasti, di pallidi ciottoli, escano dal cuore delle alte, drammatiche montagne di pietra, a poche miglia dal mare”. Ed ancora, egli si sorprendeva nel vedere “solo poche gocce d’acqua” in quelle fiumare che, al contrario, “scivolano in letti abbastanza ampi per il Reno”.
Anche la già citata “Guida” del 1902, d’altra parte, evidenziava come in questi torrenti “l’alveo varia continuamente di altezza; e frequenti scoscendimenti e denudazioni avvengono lungh’esso per il mancato rimboschimento delle colline incassanti”.

Non a caso, si ha traccia di una disastrosa alluvione che colpì Molino già nel 1613, mentre altre rilevanti calamità si abbatterono sulla medesima borgata nel 1750 e nel 1805. Notizie di questi avvenimenti si hanno dall’Archivio Parrocchiale: “Nell’anno 1805 nel giorno quinto del mese di aprile, verso le ore 23 e mezza, si distaccò per le continue piogge la montagna di lato del Casale, quella stessa che cadde all’anno 1750, e miseramente morirono numero 12 persone, cioè 11 subito restarono vittime delle fabriche, perché la terra sbucata gettò tre case, dentro queste case in una stavano N. 6 persone e perirono tutte, nell’altra morirono all’istante N. 5 persone, e la moglie dopo avere campato per lo spazio di altri 13 giorni alla fine morì, restando in questa casa 7 figli piccoli, e nella terza casa si salvarono tutti”.

(fine seconda parte)

D.B.

Un commento

  1. Complimenti poer l’analisi storica e geologica di queste prime due parti.
    Conoscere la storia e la natura del nonstro territorio è il primo passo per imparare ad amarlo, a proteggerlo, e, sperabilmente, conviverci.

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