Amleto: il dubbio e l’eternità

Amleto: il dubbio e l’eternità

Giuseppina Borghese

Amleto: il dubbio e l’eternità

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lunedì 13 Aprile 2015 - 11:28

Si è conclusa con un buon successo di pubblico la prima dell’Amleto di Ninni Bruschetta, in scena al Teatro Mandanici di Barcellona. Considerevole la prova attoriale di Angelo Campolo nel ruolo di un irriverente principe del dubbio

Un urlo muto lacera la scena poi, nel silenzio, si consuma la parola, l’atavico dilemma.

Prende le mosse così, in un concitato e ansimante susseguirsi di parole nella lingua dei segni l’Amleto di Ninni Bruschetta che decide di affidare l’incipit della narrazione al gesto.

La fissità della cornice, delineata da una scenografia asciutta e essenziale, non ci dà il tempo di discernere tra finzione e realtà: ci si ritrova proiettati quasi immediatamente nell’intimo dolore di Amleto, nello sgomento per la perdita del padre, nel disgusto verso la madre che sposa il fratello a pochi mesi dalla dipartita del marito.

L’Amleto interpretato da Angelo Campolo è un personaggio dinamico, vivace, strafottente. La tragedia che lo divora dall’interno diventa una danza di parole e gesti, pura energia fisica e intellettiva. Campolo disegna un principe contemporaneo ma dolorosamente romantico, ostaggio del sudiciume umano che lo circonda, ma sempre padrone della propria follia.

Il paradosso del pensiero che deve farsi azione, l’eterna questione intorno alla quale si sviluppa la vicenda, si riflette sull’altro volto della tragedia: Laerte, figura immobile e autoritaria che prende forma nella solenne e granitica persona di Ivan Bertolami.

Il movimento è continuo.

La scena si sfalda ripetutamente e si ricompone assumendo le sembianze di un dipinto: l’Ofelia di John Everett Millais, gravemente adagiata tra le acque scure del fiume, serena nella propria immobilità funerea, in una cornice di margherite e ortiche.

Ofelia, la cui grazia evanescente e tetra viene messa in risalto dall’intensa interpretazione di Celeste Gugliandolo, labbra rosse e minigonna, diviene la sintesi cruciale del conflitto tra desiderio amoroso e impossibilità di amare in condizioni avverse.

Decisivo l’uso della colonna sonora a cura di Tony Canto con musiche eseguite dal vivo: le continue dissolvenze sonore, i ritmi intensi delle percussioni che annunciano le apparizioni del fantasma (un emozionante Giovanni Boncoddo), l’irriverente rhytm and blues sul quale si consuma il duello finale, rendono la narrazione intensa e coinvolgente e fanno dell’opera di Ninni Bruschetta uno scatto metropolitano e minimalista degli abissi umani esplorati da William Shakespeare.

Giuseppina Borghese

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