Il Barbiere di Siviglia, opera mirabile

Il Barbiere di Siviglia, opera mirabile

giovanni francio

Il Barbiere di Siviglia, opera mirabile

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lunedì 16 Aprile 2018 - 08:00

Degna celebrazione di Rossini in occasione del centocinquantesimo dalla morte

Il 13 novembre di centocinquanta anni addietro moriva a Parigi Gioacchino Rossini. Quale modo migliore di celebrare questo importante anniversario, che rappresentare l’opera più famosa del grande compositore pesarese, diventata l’emblema stesso della musica di Rossini e dell’intera opera buffa. Sabato 14 aprile è andato in scena al Teatro Mandanici di Barcellona Pozzo di Gotto il Barbiere di Siviglia per la regia di Pierluigi Cassano, eseguito dall’Orchestra sinfonica delle Terre Verdiane diretta da Stefano Giaroli, con il Coro dell’Opera di Parma.

Di particolare qualità i cantanti: il baritono Marzio Giossi (Figaro), la soprano Paola Cigna (Rosina), il tenore Alejandro Escobar (il conte D’Almaviva), il basso comico Giacomo Almagià (Bartolo), il basso Luca Gallo (Basilio), il baritono Lucas Moreira Cardoso (Fiorello) e la soprano Silvia Fontanili (Berta). La più celebre opera buffa della storia della musica, in due atti su libretto di Cesare Sterbini, e tratta dalla Trilogia del Figaro di Beaumarchais, fu rappresentata per la prima volta al Teatro Argentina di Roma nel 1816, e fu un colossale fiasco. Ma dalla seconda rappresentazione in poi il successo fu trionfale, e le repliche non si contarono più. La nota vicenda del Conte di Almaviva, innamorato di Rosina – pupilla del vecchio dottor Bartolo, intenzionato a sposarla – che per sottrarre la fanciulla, che ricambia il suo amore, al vecchio geloso, si avvale di mille diavolerie escogitate da Figaro, il barbiere di Siviglia, è assecondata dalla musica rossiniana con una fantasia e una verve inesauribile. Le continue scene comiche – travestimenti del conte ora da soldato ubriaco, ora da maestro di musica, la lezione di musica, la barba al dottor Bartolo ecc. – si susseguono con un ritmo incessante, grazie alla musica di Rossini, che crea un rapporto canto musica gestualità dei cantanti fino ad allora sconosciuto nell’opera buffa. L’opera contiene alcuni fra i più mirabili “crescendo “ rossiniani, come quello della celeberrima aria di don Basilio “La calunnia è un venticello” o l’indimenticabile finale corale del primo atto. Un’opera buffa della quale si innamorarono anche i più severi pensatori, come Schopenhauer, che lo definì “una medicina irresistibile, serenatrice, obliosa”, o Hegel, che lo preferiva addirittura al Figaro mozartiano. Anche Beethoven adorava il Barbiere, e consigliò Rossini di non discostarsi mai dall’opera comica. Un’orchestra corretta e disciplinata, con qualche trascurabile imperfezione nel settore degli ottoni, è stata diretta plasticamente dal maestro Stefano Giaroli, un’interpretazione accademica ma non priva di personalità, e talora connotata da pregevoli raffinatezze, come l’accompagnamento alla celebre aria di Bartolo “A un dottor della mia sorte” tra l’altro cantata magnificamente da Giacomo Almagià, forse il più in forma fra i cantanti – comunque tutti assolutamente all’altezza – ed infatti applauditissimo. Buona prova di Marzio Giossi nel ruolo del principale protagonista (Figaro), voce chiara e sicura, forse però un po’ statico nei movimenti del factotum, che dovrebbero essere più briosi, più ricchi di vis comica.

Molto bene Alejandro Escobar nella parte del conte D’Almaviva, bella voce di tenore leggero, e abbastanza naturale nelle parti di “attore” che il libretto gli riserva, bravo in particolare nella resa del soldato ubriaco. Benissimo Paola Cigna, splendido soprano, perfettamente in parte nel ruolo di Rosina, bene anche il Don Basilio del basso Luca Gallo, interprete di una delle arie più celebri (la mia preferita) “La calunnia è un venticello”. Impeccabili i comprimari (il baritono Lucas Moreira Cardoso nel ruolo di Fiorello e la soprano Silvia Fontanili in quello della serva Berta), così come il Coro dell’Opera di Parma. I costumi sono stati quelli classici dell’epoca, (scelta sempre condivisibile) mentre per quanto riguarda la coreografia scenica è sembrata semplice ma appropriata, di buon gusto, con gli interni della stanza del dottor Bartolo essenziali e gradevoli, e uno sfondo ispirato all’architettura moresca di Siviglia, per quello che ho potuto vedere. Ed infatti, venendo alle dolenti note, purtroppo devo ribadire la constatazione fatta due anni fa in occasione della rappresentazione de Il lago dei cigni: la postazione riservata dalla direzione del Teatro Mandanici alla stampa è particolarmente infelice, collocata in un palco estremamente laterale, che non permette in alcun modo la vista del palcoscenico e che probabilmente mi costringerà ad abbandonare per il futuro il buon proposito di recensire spettacoli di questo teatro, pur riconoscendone la buona qualità e l’interessante programmazione.

Giovanni Franciò

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