Polvere. Nero su nero

Polvere. Nero su nero

Domenico Colosi

Polvere. Nero su nero

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mercoledì 22 Febbraio 2017 - 11:52

Alla Sala Laudamo l’inquisitorio dialogo di Saverio La Ruina, metafora delle mille storie di violenza che assediano quotidianamente le pagine di cronaca nera

Un fotoreporter instaura una relazione con una donna insicura, che plagerà fino a possederne pensieri, parole, memorie. Sussulti emotivi abbandonati come carcasse sulla battigia, relitti arrugginiti dalle intemperie, organismi smembrati da ordinarie difficoltà. Un incessante interrogatorio per ricavare la verità nelle menzogne o, viceversa, un’attendibile ipocrisia che confini la realtà nell’inverosimile. Di paradosso in paradosso, due persone sono proiettate verso il comune annichilimento: al di là delle differenze di genere, solo anime alla deriva.

Riapre i battenti la Sala Laudamo per Polvere di Saverio La Ruina, metafora delle mille storie che assediano quotidianamente le pagine di cronaca nera: rapporti malati, intransigenze caratteriali, spirali inquisitorie solo volgarmente addebitate a sentimenti come la gelosia o l’amor proprio. Un dialogo serrato quello dispiegato tra lo stesso attore calabrese e Cecilia Foti, dalle intenzioni nouvelle vague che impreziosiscono la prima parte (l’attrice come rediviva Jeanne Moreau, ispirazioni in stile Louis Malle) alle tensioni latine del finale prodotte da asprezze provinciali e ruvidezze comunicative. Una storia nera segnata da continue dissolvenze che rabbuiano una scena sempre più spoglia, dove l’elemento di potenziale erotismo è occultato in nome di una morale personale e personalistica forse erede di un cattolicesimo insudiciato da scurrili mitologie. La strada è segnata nel testo di La Ruina, l’epilogo trascenderà il palcoscenico per materializzarsi nelle colonne di un quotidiano o nell’apertura di un telegiornale: tra lo sgomento di pochi e le artificiose giustificazioni di molti, è lecito immaginare.

Il pubblico rumoreggia più volte, segno di un transfert forse atipico per le attuali produzioni teatrali. Grazie all’abilità degli attori – al netto di manierismi e semplificazioni necessari per allargare il campo dal particolare all’universale – interpreti di un disagio diffuso soprattutto in Meridione: il sano spirito di provincia, più resistente di ogni modernità.

Domenico Colosi

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