Come ne venimmo fuori. Cronache di un secolo buio

Come ne venimmo fuori. Cronache di un secolo buio

Domenico Colosi

Come ne venimmo fuori. Cronache di un secolo buio

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sabato 19 Novembre 2016 - 08:11

Un Candido postmoderno per narrare gli orrori del neoliberismo. Prima dello spettacolo la protesta della FP CGIL

Il riferimento a Voltaire è calibrato al millimetro, inserito quasi con noncuranza in un discorso più ampio sulle forme citazioniste del web: una frase apocrifa, imbevuta di retorica, ancora efficace poiché sufficiente a restituire intatto un illuminismo per principianti. In un futuro prossimo un Candido postmoderno passa in rassegna l’esperienza umana negli anni intercorsi tra il 1989 e il 2041, un periodo oscuro cui solo una catastrofe imprecisata ha posto la parola fine. Da ventiquattro eroi scampati all’apocalisse il ritorno alla civiltà: con essa lo studio del misterioso passato, l’analisi attenta di una umanità condotta al collasso dal neoliberismo, dalla tecnologia invasiva, dalla fine delle relazioni interpersonali.

Una cornice solida, un espediente quasi manzoniano per raccontare il presente: in tempi di continui sconfinamenti di campo, Sabina Guzzanti trova nel distacco temporale il mezzo per limitare verbosità e ridondanze. Non mancano manie onnicomprensive in Come ne venimmo fuori, ma la spina dorsale, che è debitrice anche del Flaubert di Bouvard e Pécuchet, regge senza contraccolpi alla scarica di invettive sulla neoschiavitù dei tempi moderni. Il Candido di Sabina Guzzanti si interroga sulla Buona scuola, sulla guerra delle Isole Falkland/Malvinas, sul colpo di stato in Cile del 1973, sulla lenta e costante distruzione dei vari sistemi di welfare occidentali: una disamina talvolta sermoneggiante che non lesina sponde ad un certo complottismo ormai in voga, ma compiuta come teorema complessivo sul tracollo di un intero ordine di valori fondamentali. Pochi e vaghi gli accenni al prossimo referendum costituzionale, piccolo meccanismo in un discorso che abbraccia la decadenza di ogni tipo di istituzione. In mezzo le gag celebri dal TG Porco, le imitazioni di Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e Maria De Filippi, la vana ricerca di significato nelle relazioni umane al tempo di Facebook e WhatsApp: da semplice corollario, risultano invece tra i momenti più apprezzati dal pubblico del Vittorio Emanuele.

Detto della parte artistica, necessario un accenno alle modalità con cui si è aperta la serata: prima con un volantino distribuito all’ingresso, poi con un intervento dal palco, i rappresentanti della FP CGIL del Teatro Vittorio Emanuele hanno chiesto ai presenti solidarietà per le condizioni lavorative cui sarebbero sottoposti in questa stagione. Il dito puntato contro la classe politica locale e regionale, le accuse per una disparità di trattamento nei contributi erogati al teatro messinese rispetto alle realtà catanesi e palermitane, gli interrogativi per una stagione teatrale, improntata sulla prosa, ritenuta non in sintonia con lo Statuto dell’ente. La protesta ha messo in risalto la situazione di ventuno tecnici, quaranta orchestrali, dieci sarte e svariati attori costretti ad un riposo forzato per la mancanza di produzioni. Nello stesso documento si fa riferimento alla “cattiva gestione del Teatro Vittorio Emanuele che ha causato debiti fuori bilancio e continui sequestri da parte della Guardia di Finanza”.

Domenico Colosi

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